Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7081 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 12/03/2020), n.7081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13292/2012 proposto da:

R.G.D. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata

presso la Cancelleria della Corte, rappresentata e difesa dall’avv.

Salvo Muscarà

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore p.t., elettivamente

domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 329/16/2011 della COMM.TRIB.REG. SICILIA

SEZ.DIST. di SIRACUSA, depositata il 22/11/2011, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/12/2019 dal consigliere Gori Pierpaolo.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 329/16/11 depositata in data 22 novembre 2011 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Siracusa, rigettava l’appello proposto da R.G.D. Srl, impresa di costruzioni edili, avverso la sentenza n. 298/5/10 della Commissione tributaria provinciale di Siracusa, la quale a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla contribuente, contro un avviso di accertamento per II.DD., IRAP inclusa, e IVA 2005. In particolare, il p.v.c. alla base dell’avviso di accertamento in primo luogo contestava la sottovalutazione di rimanenze finali riferite ad un determinato cantiere (via caduti di Nassirya), contestazione analitica che riprendeva a tassazione elementi positivi di reddito non dichiarati dalla società. In secondo luogo, ad l’esclusione del cantiere citato, l’accertamento analitico induttivo portava alla ricostruzione dei ricavi derivanti dalle attività residue. Quest’ultimo accertamento era adottato pur in presenza di contabilità formalmente regolare, alla luce della riscontrata antieconomicità della gestione per esposizione di ricavi contabilizzati per l’anno di imposta in misura notevolmente ridotta rispetto ai costi dichiarati, e portava alla determinazione di maggiori ricavi non contabilizzati per Euro 231.196,00.

– La CTR confermava la decisione di primo grado, ritenendo in via preliminare adeguatamente motivato l’avviso di accertamento e, nel merito, legittimo l’accertamento.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo quattro motivi, che illustra con memoria. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

-Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il difetto o comunque l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per aver la CTR confermato la ripresa a tassazione di parte delle rimanenze finali (cantiere via caduti di Nassirya) per il periodo di imposta sulla base della mera antieconomicità, senza tener conto di tutti i rilievi documentati di parte ricorrente volti a dimostrare il minor valore delle giacenze finali.

– Con il terzo motivo di ricorso la contribuente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio motivazionale, per aver la CTR, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi non contabilizzati per le attività residue diverse dal cantiere predetto, confermato con una motivazione carente la ripresa nonostante l’Ufficio avesse ritenuta corretta la presunta incidenza dei costi diretti nella misura dell’80% dei ricavi complessivi relativi a tali attività, ed avendo adottato una motivazione contraddittoria constatando prima il fatto che l’Agenzia ha “applicato un ricarico del 20% sui costi di diretta imputazione”, e poi giustificandolo in quanto il “ricarico del 25% (che) appare congruo per l’attività di costruzioni edili esercitata dalla società”, come si legge a pag.3 della sentenza.

– I motivi possono essere affrontati congiuntamente, in quanto diretti ad aggredire la motivazione della sentenza secondo una medesima logica, e sono inammissibili.

– Va al proposito rammentata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il vizio di omessa, o insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile ai sensi del 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, come nella specie (cfr. Cass. Sez. U. Sent. 5002 dell’11/06/1998, Cass. Sez. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16456 del 2013).

-Orbene la contribuente, nel corpo dei motivi in parola non evidenzia elementi di prova o fatti decisivi e contrari al ragionamento del giudice d’appello che non siano già stati soppesati in sede di merito. Quanto alle rimanenze finali (art. 93 TUIR), non solo la motivazione della sentenza si estende per cinque capoversi, e poggia sulla disamina analitica degli importi e degli elementi di prova derivati dal p.v.c., ma il ricorso pecca di evidente astrattezza ed omette di introdurre prove e fatti decisivi e contrari, riproducendole se del caso per compiuta autosufficienza.

-Ad es., a pag.7 e ss. la ricorrente contesta su un piano solo teorico la motivazione (“non è sufficiente atteso che in tal modo si negherebbe in radice l’eventualità di conseguire perdite nell’esercizio dell’attività commerciale che è invece, per definizione, aleatoria e a rischio”) e erroneamente inverte l’onere della prova in quanto, a fronte della contestata antieconomicità da parte dell’Agenzia, la contribuente pone in via esclusiva a carico del giudice del merito l’onere di fornire una giustificazione di tale anomalia (“omette di valutare completamente fatti idonei a spiegare l’andamento negativo di quello specifico affare”) mentre in presenza di macroscopica antieconomicità delle operazioni (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 2240 del 30/01/2018, Rv. 646901 – 02) quale quelle sottocosto accertate (ricavi per Euro 103.165,00 a fronte di costi per Euro 267.489), l’onere, non assolto, era rimesso alla parte.

-Ancora, quanto alla presunta motivazione carente e contraddittoria circa la determinazione dei maggiori ricavi non contabilizzati per le attività residue diverse dal cantiere predetto, il riferimento in motivazione all’80% dei costi di diretta imputazione è determinato attraverso una somma numerica (267.489,00) frutto di esame analitico degli elementi di prova di cui al p.v.c., cui non è opposto alcun elemento di prova decisivo e contrario ritualmente introdotto nel processo e non esaminato dal giudice del merito.

-Infine, il fatto che nel primo capoverso della terza pagina della sentenza si legga prima il 20 e poi il 25% in riferimento ai costi di diretta imputazione è un chiaro errore materiale ininfluente ai fini della decisione, come confermato dal fatto che per due volte la percentuale è indicata nel 25% nel corpo della sentenza, e ciò è riscontrato anche dal calcolo matematico: “267.489,00×1,25=334.361,00)” riprodotto dalla CTR e che corrisponde a tale percentuale.

-Con il secondo motivo di ricorso la contribuente censura – ai fini del-l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 93 TUIR per aver il giudice d’appello confermato la ripresa per le giacenze finali sommando ai sensi dell’art. 92 TUIR, alle giacenze iniziali per il periodo d’imposta i costi di diretta imputazione del periodo, realmente effettuati, e non ai sensi dell’art. 93 TUIR, comma 2, i corrispettivi pattuiti in ordine a cinque immobili costruiti e compravenduti con atti rogati in data 10.5.2006 e 7.6.2006.

– Il motivo è in parte inammissibile e, in parte, destituito di fondamento. Oggetto pacifico della ripresa in questione è il calcolo delle rimanenze finali alla data del 31.12.2005 e i fatti indicati nella censura non sono occorsi nel periodo di imposta oggetto di ripresa, a nulla rilevando che la società abbia approvato il bilancio relativo all’anno 2005 in data 8 luglio 2006.

– Inoltre, non è stata impugnata la ratio decidendi espressa a pag.2 della sentenza a sostegno della ripresa di cui trattasi nei seguenti termini: “se i costi non sono di competenza dell’esercizio, poichè in esso non hanno ceduto la loro utilità all’impresa, quelli che vengono rinviati al futuro esercizio devono essere rilevati quali rettifiche di tutti i costi sostenuti nell’esercizio”, con conseguente incremento del reddito di impresa imponibile. Al proposito va rammentato che “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass., n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882 – 01; conforme, da ultimo, Cass., n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023 – 01).

– Con il quarto motivo di ricorso si censura – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per aver la CTR illegittimamente confermato la ripresa di Euro 231.196,00 a titolo di ricavi non contabilizzati per prestazione di servizi sia in quanto l’accertamento in concreto non sarebbe stato di tipo analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 lett.d), ma di tipo induttivo puro ai sensi del comma 2, lett. d) di tale previsione, in quanto fondato su presunzioni indimostrate senza che sussistessero i presupposti di legge per tale accertamento e, comunque, l’intera ricostruzione poggerebbe sul riferimento alle condizioni di normale gestione economica da cui deriverebbe l’applicazione della percentuale di ricarico determinata ad libitum;

– Il motivo è in parte inammissibile e, in parte, destituito di fondamento. In primo luogo, la doglianza circa la natura e l’esistenza dei presupposti dell’accertamento applicato alla fattispecie, da analitico induttivo a induttivo puro è nuova in quanto la sentenza non ne dà conto e il motivo non riporta per autosufficienza i pertinenti passaggi del ricorso introduttivo e dell’appello in cui la questione sarebbe stata posta all’attenzione dei giudici di merito.

– In secondo luogo, va osservato che l’accertamento e il pvc, come si evince dalla lettura della sentenza, riposano sull’estrapolazione di una pluralità di dati, i quali rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, (Cass. 20 febbraio 2015 n. 3415; Cass. 13 luglio 2016 n. 14288), ossia presunzioni gravi precise e concordanti e non meramente super-semplici.

– Infine, sulla base della medesima giurisprudenza citata, è certo che anche in presenza di contabilità formalmente regolare, ma di significativo scostamento risultante dall’accertamento analitico-induttivo fondato su presunzioni semplici – ossia gravi, precise e concordanti incombe sul contribuente incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, onere pacificamente non assolto nel caso di specie.

– In conclusione, il ricorso va rigettato, e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite, secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA