Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7081 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. I, 03/03/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 03/03/2022), n.7081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9203/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore avv.

A.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Buonfantino Enrico Maria, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale

Mazzini n. 73, presso lo studio dell’avvocato Zazza Roberto, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Veneruso Renato,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3873/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2022 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 23/04/2012 il curatore del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. (di seguito Fallimento) promuoveva azione di responsabilità L.Fall., ex art. 146 a carico di S.G., amministratore unico e poi liquidatore della predetta società, ritenuto l’artefice di varie condotte che avevano cagionato un danno quantificabile in Euro 446.548,04.

1.1. In particolare, la curatela fallimentare aveva dedotto che lo S.: I) aveva ordinato nel (OMISSIS), quando la società versava ormai in stato di decozione, ingenti quantitativi di merce dall’unico fornitore esclusivista Max Mara s.r.l., contraendo un debito di oltre 450 mila Euro, in forza del quale lo stesso fornitore aveva instato per il fallimento della società; II) aveva prelevato dal conto corrente societario nel (OMISSIS) (sette mesi prima del fallimento) ingenti somme senza adeguata giustificazione causale, tra cui Euro 50.000,00 trasferiti sul conto personale, con la causale “restituzione soci”, in violazione dell’art. 2467 c.c.; III) aveva tenuto irregolarmente le scritture contabili, per cui le rimanenze di Euro 329.957,00 erano state appostate dopo otto mesi al valore di Euro 91.780,00 (laddove, anche vendendole a prezzo di costo, avrebbe dovuto ricavare Euro 238.177,00); IV) aveva dirottato gli assets e le merci verso la neocostituita società “Le Nuvole s.r.l.” – poi oggetto di sequestro cautelare autorizzato dal GIP del Tribunale di Napoli – il 50% delle cui quote era detenuta dalla propria moglie M.A.M.; V) aveva trascritto al PRA dopo la dichiarazione di fallimento la vendita di un’autovettura Passat, sebbene poi restituita.

1.2. Con sentenza del 13/03/2014 il Tribunale di Napoli, dopo aver ritenuto superflua la c.t.u. inizialmente disposta dal precedente g.i., ha rigettato la domanda, ritenendo: quanto ai punti I) e IV) sopra indicati, che “l’attrice non aveva fornito la prova documentale degli ingenti quantitativi dai quali scaturiva il credito della Max Mara”; sul punto III), che era “”plausibile” la giustificazione addotta dal convenuto secondo cui la significativa oscillazione per la tipologia di merce caratterizzata dal rapido deprezzamento da una stagione all’altra avrebbe indotto ad una revisione del valore delle rimanenze”; quanto ai punti II) e V), che “alcun danno era derivato alla società dal pagamento preferenziale di Euro 50.000,00 per restituzione soci”.

1.3. La Corte d’appello di Napoli, facendo espressa applicazione dell’art. 342 c.p.c. “nel testo applicabile nel presente giudizio, pendente da epoca anteriore all’11.9.2012″, ha dichiarato inammissibile l’appello del Fallimento, per difetto di specificità dell'”unico complesso motivo di doglianza”, per essersi l’appellante “limitato a richiamare le difese spiegate nel primo grado di giudizio”, senza fare alcun riferimento critico alle rationes decidendi della sentenza del tribunale, e in particolare senza svolgere alcuna specifica argomentazione idonea ad evidenziare (testualmente) “l’erroneità della pronuncia del Tribunale a fondamento della ritenuta infondatezza della domanda di manutenzione nel possesso”.

1.4. I giudici d’appello partenopei si sono poi pronunciati sulla allegata sentenza del Tribunale di Napoli n. 8739/2015, di condanna dello S. “per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per le medesime condotte oggetto di causa”, e, pur dando atto che “il principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, operante al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 651651 bis e 654 c.p.p., esclude l’obbligo per il giudice civile di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale, ma non giustifica da parte di questi la totale omessa considerazione delle argomentazioni difensive, che si fondino sulle prove assunte nel processo penale o sulla motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione nel processo civile (cfr. Cass. 1665/16)”, hanno osservato che “l’appellante alcuna argomentazione difensiva ha svolto nel presente giudizio in relazione alle risultanze probatorie acquisite in sede penale costituite dalla relazione del curatore ed accertamenti effettuati dalla GDF sulla società fallita e su altre società ad essa collegate limitandosi a segnalare alla Corte l’intervenuta condanna penale”.

2. Per la cassazione della suddetta sentenza il Fallimento ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui lo S. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. – nella versione successiva a quella ritenuta applicabile dalla corte territoriale (per l’erroneo riferimento all’inizio del giudizio di primo grado), stante la proposizione dell’appello nel luglio 2014 – in quanto l’atto di appello conteneva in realtà aspre e puntuali critiche alle motivazioni addotte dal tribunale, riportate testualmente da pag. 15 a pag. 18 del ricorso.

2.2. Il secondo mezzo denuncia la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 146, nonché artt. 2467,2476 e 2626 c.c., in relazione allo “stringato esame nel merito compiuto dalla Corte di Appello, effettuato con il mero richiamo alla sentenza di primo grado”.

2.3. Il terzo motivo si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avuto riguardo alla incidenza delle motivazioni della sentenza penale di condanna in primo grado dello S. e all’omessa pronuncia sulla richiesta di c.t.u. avanzata dal ricorrente.

3. Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento dei restanti due.

3.1. Preliminarmente si osserva che il testo dell’art. 342 c.p.c. applicabile alla fattispecie concreta è quello risultante dalla modifica ad opera della L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito in legge il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 – applicabile ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione, come caso di specie, a far tempo dall’11 settembre 2012 – per cui “La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.

3.2. Orbene, da quanto riportato nella stessa sentenza impugnata – ed ancor più dai brani trascritti in ricorso – emerge che l’appello non aveva le caratteristiche di genericità ed acriticità attribuitegli dalla Corte partenopea, contenendo, se non altro, la censura di erroneità sul danno derivante dall’acquisto di merce da Max Mara “nonostante la sentenza di fallimento sia stata pronunciata su istanza del creditore medesimo” (pag. 4) e di “mancata analisi degli elementi contabili… messi a disposizione della curatela” e segnatamente la movimentazione del conto corrente della società, in base alla quale, “contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, doveva ritenersi provato lo svuotamento delle casse sociali da parte dello S.” (pag. 5).

4. Questa Corte ha da tempo affermato che ai sensi dell’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, precisando, però, che non occorre all’uopo l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U, 27199/2017; Cass. 13535/2018).

4.1. Su queste basi è stato successivamente chiarito che, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., è sufficiente una chiara esposizione delle doglianze rivolte alla pronuncia impugnata, sicché l’appellante che lamenti l’erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare ex novo le prove già raccolte e sottoporre le argomentazioni già svolte nel processo di primo grado (da ultimo, Cass. 40560/2021).

4.2. E’ stato altresì precisato che la specificità dei motivi di appello dev’essere commisurata all’ampiezza e alla portata delle argomentazioni della sentenza impugnata, sicché, qualora per rigettare la domanda il primo giudice abbia escluso la valenza probatoria di determinati documenti, è sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, ribadire l’idoneità di tali documenti ad asseverare i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. 21401/2021). Analogamente, ove l’atto d’appello denunci l’erronea valutazione, da parte del giudice di primo grado, degli elementi probatori acquisiti, è sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’appello, l’enunciazione dei punti sui quali si chiede al giudice di secondo grado il riesame delle risultanze istruttorie per la formulazione di un suo autonomo giudizio, e ciò anche sulla base delle argomentazioni difensive già svolte in primo grado, non essendo necessario che l’impugnazione medesima contenga una puntuale analisi critica delle valutazioni e delle conclusioni del giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Cass. 24464/2020, 3115/2018).

4.3. La stessa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto invocate a sostegno del gravame può quindi consistere nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. 23781/2020).

5. In conclusione, la statuizione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi ai sensi dell’art. 342 c.p.c. è illegittima e va cassata, a prescindere dalla fondatezza dei motivi medesimi che dovrà essere valutata dal giudice di rinvio, cui si rimette anche la statuizione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo e del terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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