Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 708 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 708 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 28076-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
2013
2283

– ricorrente contro
9.LT rtet& ilne(c ,(2-`ì’j:
POLITO MARIA GRAZIA, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio
dell’avvocato LIGUORI MICHELE, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 15/01/2014

difende;

controricorrente

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 20/10/2011; 24, 1 Ab go L2/98) i
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

z

udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. FELICE

IN FATTO
Con ricorso del 24.6.2008 Maria Grazia Polito adiva la Corte d’appello di
Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di
un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in

dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55, per
l’eccessiva durata di una causa civile instaurata innanzi al Tribunale di Torre
Annunziata nell’ottobre del 1994 e definita in grado d’appello dalla Corte
distrettuale di Napoli con sentenza pubblicata il 21.12.2006.
Resistendo l’Avvocatura dello Stato, la Corte d’appello di Roma con
decreto del 28.10.2011, accoglieva la domanda e liquidava in favore della
ricorrente la somma di E 6.250,00, in ragione di E 1.000,00 per ogni anno di
durata eccedente il limite di ragionevolezza, oltre interessi legali dalla
domanda.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero della Giustizia.
Resiste con controricorso Maria Grazia Polito.
Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione della sentenza in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Preliminarmente va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso

sollevata dalla parte ricorrente per difetto di esposizione sommaria dei fatti, in
violazione dell’art. 366, 1° comma n. 3 c.p.c.
Sebbene il ricorso non rifulga per il compendio narrativo, essendo
l’esposizione sommaria affidata in misura non trascurabile alla riproduzione
del ricorso ex lege n. 89/01 e del decreto impugnato, tra l’una e l’altra
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relazione all’art, 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti

duplicazione s’inserisce una parte originale (v. pagg. 7, 8 e 9 del ricorso) che
consente un sufficiente recupero in termini di sintesi e di comprensione dei
temi del contendere. Il che esclude, data l’intelligibilità delle censure svolte,
che questa Corte rimanga onerata della selezione di ciò che tuttora rileva ai

d’inammissibilità del ricorso, riconducibile ai precedenti di questa Corte
richiamati nell’atto difensivo della pai resistente (cui adde da ultimo, Cass.
S.U. n. 5698/12 e n. 10244/13).
1 bis.

Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione

dell’art. 2 legge n. 89/01 e dell’art. 75 c.p.c., in relazione al n. 4 dell’art. 360
c.p.c. Nel giudizio presupposto, sostiene il Ministero della Giustizia, ha agito
la madre dell’odierna controricorrente in rappresentanza legale di lei, anche
quando, all’epoca della proposizione dell’appello (17.6.2004), la figlia (nata il
25.8.1979) aveva ormai raggiunto la maggiore età.
Da ciò parte ricorrente ricava che Maria Grazia Polito, non avendo mai
preso parte direttamente e personalmente al giudizio presupposto, non
avrebbe legittim=ione attiva in sede di rimedio interno ex lege n. 89/01.
2. – Col secondo mezzo d’annullamento è dedotto il vizio di omessa
motivazione su un fatto decisivo, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non
avendo la Corte territoriale scomputato dal periodo di durata eccedente circa
sei mesi di ritardo, dovuti a due rinvii provocati dall’astensione degli avvocati
dalle udienze.
3. – Il terzo motivo denuncia il vizio d’omessa o insufficiente motivazione,
in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., in ordine alla liquidazione

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fini della decisione. E’ da escludere, pertanto, che si verta in una fattispecie

dell’indennizzo, che avrebbe dovuto essere di € 750,00 per ogni anno del
primo triennio di durata irragionevole.
4. – Il quarto motivo espone la violazione e falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c. e dell’art. 2 legge n. 89/01, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., per

indennizzo gli interessi legali dalla proposizione del ricorso, in assenza della
relativa domanda.
5. – Il primo motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di chiarire che in
tema di equa riparazione, ai sensi dell’art. 2 della legge 6 maggio 2001, n. 89,
il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale spetta al ni;norenne che
abbia partecipato al giudizio debitamente rappresentato, fino al momento
della maggiore età, al raggiungimento della quale, avendo acquistato il libero
esercizio dei propri diritti ed avendo la facoltà di costituirsi nel processo quale
parte autonoma, lo stesso soggetto perde da tale momento detto diritto, ove a
ciò non abbia provveduto (Cass. n. 11338/11). Pertanto, se al giudizio
presupposto abbiano partecipato ab origine i genitori di un minore (quali suoi
rappresentanti legali), ai fini della determinazione dell’indennizzo occorre
tener conto del periodo decorso fino al raggiungimento della maggiore età e di
quello relativo alla protrazione del giudizio nell’ambito della medesima fase
processuale in cui i genitori siano rimasti costituiti per effetto dell’ultrattività
della rappresentanza processuale, impregiudicato il diritto del rappresentato
ad intervenire, nell’ambito della stessa fase, con la costituzione volontaria in
conseguenza del raggiungimento della maggiore età e fermo l’onere della sua

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aver la Corte territoriale riconosciuto sulla somma liquidata a titolo d’equo

autonoma costituzione, per i fini in questione, nei successivi gradi di giudizio
(Cass. n. 4472/13).
Se nonostante il raggiungimento j,ila maggiore età l’ulteriore fase del
giudizio sia stata instaurata da o nei confronti dei genitori, sull’erroneo

oltre il grado in cui il figlio rappresentato aveva acquisito la capacità d’agire,
il giudice adito da quest’ultimo per l’equa riparazione ex lege n. 89/01 ha
l’onere di rilevare incidenter tantum tale difetto di legittimazione processuale
nel giudizio presupposto e di limitare, pertanto, l’indennizzo alla sola fase in
cui detta parte sia stata rappresentata in maniera legittima.
5.1. – Nel caso di specie, il giudizio di primo grado è stato instaurato e
portato a termine dai genitori dell’attuale controricorrente, che ha raggiunto la
maggiore età durante la pendenza di tale prima fase, mentre nel processo
d’appello Maria Grazia Polito, ormai maggiorenne, si è costituita in proprio.
Non si registra, dunque, nessuna fase del giudizio presupposto in cui vi sia
stato un difetto di legittimazione processuale, ostativo il riconoscimento
dell’indennizzo in questione.
6. – Il secondo motivo è inammissibile, perché introduce una questione da
reputarsi nuova, non avendo parte ricorrente allegato e dimostrato di averla
sollevata nel procedimento innanzi alla Corte capitolina.
Infatti, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di
cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente,
al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura,
non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice ji merito, ma
anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di
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presupposto che l’ultrattività della loro rappresentanza processuale valesse

indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar
modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione
prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675/13).
7. – Il terzo motivo è fondato.

applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere
ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe
giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purché motivate e
non irragionevoli. Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di
far appremre la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di
garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente
lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve
essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1000 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale
periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno
(cfr. per tutte, Cass. n. 17922/10).
7.1. – Nella specie, la Corte territoriale ha calcolato per ogni anno di durata
eccedente l’importo di E 1.000,00, senza indicare alcuna ragione specifica per
cui per i primi tre anni la liquidazione dell’indennizzo potesse discostarsi
dall’orientamento anzi detto. L’attribuzione di tale somma, pertanto, non è
sorretta da ragioni idonee a giustificare un incremento rispetto agli standard di
riparazione fissati da questa Corte Suprema.
8. – Il quarto motivo è infondato.

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Secondo il costante indirizzo di questo S.C., i criteri di liquidazione

In materia di liquidazione dell’equa riparazione per la durata irragionevole
del processo presupposto, dal carattere indennitario dell’obbligazione
discende che gli interessi legali decorrono dalla data della domanda di equa
riparazione, sempreché, tuttavia, essi siano stati richiesti (giurisprudenza

8.1. – Nella specie la ricorrente aveva avanzato una richiesta più eterogenea
ed ampia, volta ad ottenere il “danno da ritardo, ovvero lucro cessante”, da
calcolarsi “anno per anno sulle somme via via rivalutate dalla data di
proposizione della domanda” nel giudizio presupposto, “ovvero, quantomeno,
dalla data di proposizione della presente domanda al soddisfo, essendo la
ricorrente un’abituale risparmiatrice che reinveste il proprio denaro secondo le
più attuali e convenienti forme di investimento”.
In tale domanda, in cui sono frammisti elementi tipici sia
dell’aggiornamento dei debiti di valore sia della liquidazione del maggior
danno ex art. 1224, cpv. c.c., deve ritenersi compresa, come il meno nel più,
anche la richiesta degli interessi legali sulla somma liquidata a titolo di equa
riparazione, correttamente attribuiti, pertanto, dalla Corte di merito.
9. – In conclusione il decreto impugnato va cassato in relazione al motivo
accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che si
atterrà al principio di diritto enunciato sopra al paragrafo 7., e provvederà,
altresì, ai sensi dell’art. 385, 3° comma c.p.c., sulle spese del presente
giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti gli altri, e cassa il
decreto impugnato in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione
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pressoché costante di questa Corte: v. n. 24962/11).

della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile

della Corte Suprema di Cassazione, il 5.11.2013.

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