Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7079 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 12/03/2020), n.7079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. TINARELLI FUOCHI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11591-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PODERE CASTELLO 1997 SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CRESCENZIO 62, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DE STEFANO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CECILIA

MARTELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9846/2016 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 30/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

lette le conclusioni scritte del Pubblicò Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 12.5.2013, l’Agenzia delle Entrate notificò a Podere Castello 1997 s.r.l. un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008, con cui, accertatane la natura di società di comodo ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, recuperò a tassazione maggiori imposte per IRES e IRAP, irrogando le relative sanzioni. Proposto ricorso dalla società, la C.T.P. di Roma lo accolse con sentenza n. 20543/36/15, stante l’intervenuta decadenza dal potere di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. L’Ufficio propose appello limitatamente al recupero ai fini IVA, a suo dire anch’essa oggetto dell’accertamento in parola, per la quale non era maturato il termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57. La C.T.R. del Lazio, con sentenza del 30.12.2016, rigettò il gravame, evidenziando che l’accertamento impugnato concerneva soltanto l’IRES e l’IRAP, mentre nessuna rettifica e recupero erano stati effettuati dall’Ufficio ai fini IVA.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso Podere Castello 1997 s.r.l., che ha pure depositato memoria. Il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che del tutto erroneamente la C.T.R. non ha tenuto conto della duplice natura dell’avviso di accertamento impugnato, emesso sul presupposto della non operatività della società: avviso tendente, da un lato, alla ripresa fiscale in tema di IRES e IRAP, e dall’altro a trarre le conseguenze previste dalla norma in rubrica e derivanti dallo status accertato (quello, appunto, di società di comodo), non potendo chiedersi a rimborso o compensarsi l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione a fini IVA. Stante la propria acquiescenza quanto al primo profilo, ritiene l’Agenzia che l’ulteriore profilo (ossia, quello concernente l’IVA) debba ancora considerarsi sub iudice, perchè l’avviso, al riguardo, era stato tempestivamente notificato ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57. In ciò consiste, secondo la ricorrente, l’error in iudicando della C.T.R., che ha invece escluso questa ricostruzione.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente lamenta il fatto che la C.T.R. è giunta alle suddette conclusioni, affermando che il credito IVA vantato dalla società non era stato chiesto a rimborso, nè utilizzato in compensazione, laddove invece dallo stesso avviso di accertamento impugnato risulta che l’azione dell’Ufficio era stata avviata proprio a seguito della richiesta di rimborso da parte della società.

2.1 – Il primo motivo è inammissibile.

Nel rigettare l’appello dell’Ufficio, che propugnava una duplice natura dell’avviso di accertamento impugnato (in quanto concernente, in tesi, sia l’imposizione diretta, che quella indiretta) la C.T.R. ha accertato l’esatto contenuto dell’atto impositivo, escludendo che esso concernesse anche l’IVA. Ciò ha rilevato, in particolare, evidenziando la correlazione tra parte motiva e dispositiva dell’atto impugnato, entrambe incentrate esclusivamente sulla rettifica del Quadro RN ai fini IRES e del Quadro IC ai fini IRAP, e sul conseguente recupero delle maggiori imposte in tal guisa accertate.

Se così è, rilevato che “l’atto impositivo (….) costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio” (così, ex multis, la recentissima Cass. n. 19806/2019), risulta di tutta evidenza come la censura in esame miri non tanto a denunciare la violazione o falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, quanto piuttosto a rideterminare la res iudicanda, oggetto però di una puntuale valutazione del giudice d’appello, di classico stampo meritale.

In tale evenienza, il soccombente può solo denunciare, in sede di legittimità, o il vizio motivazionale (nei limiti in cui è ancora ammesso a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – v. ex plurimis, Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), o l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dello stesso “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ciò che in effetti, sul punto, l’Agenzia ha fatto col secondo mezzo, di cui si dirà nel par. seguente), oppure – in caso di errore percettivo sul fatto – proponendo l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4.

Ebbene, la prima e la terza soluzione non sono state all’evidenza percorse dall’Agenzia delle Entrate, che s’è invece affidata, in proposito, alla denuncia di una pretesa violazione e falsa applicazione di una norma – quella, appunto, di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 – che a ben vedere nulla c’entra con la questione nodale sopra esposta. Donde, l’inammissibilità del mezzo in esame.

3.1 – Quanto alla seconda soluzione (la denuncia, cioè, di omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti), essa è stata perseguita col secondo motivo, ed è del pari inammissibile.

Infatti, l’inciso della C.T.R. riguardo alla circostanza che la società non aveva presentato l’istanza di rimborso o che non aveva fruito della compensazione (laddove invece – sostiene l’Agenzia – l’accertamento impugnato era stato esitato proprio a seguito della presentazione di una istanza di rimborso del credito IVA da parte di Podere Castello 1997 s.r.l.) è privo di decisività, perchè si tratta di un argomento ad abundantiam sul fatto – che resta pienamente conclamato e non efficacemente attinto dalla ricorrente – che la questione del predetto credito IVA non rientrava nell’oggetto dell’accertamento e, quindi, del giudizio. In altre parole, ove anche la C.T.R. avesse affermato che la società aveva effettivamente avanzato richiesta di rimborso del credito IVA, la relativa mancata attività impositiva da parte dell’Agenzia, in seno all’avviso di accertamento impugnato, non avrebbe comunque comportato un diverso esito della controversia, quest’ultima restando confinata al perimetro oggettivo accertato dalla stessa C.T.R.

4.1 – In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Nulla va infine disposto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, trattandosi di ricorso proposto da Amministrazione dello Stato, ammessa alla prenotazione a debito (Cass. n. 1778/2016).

P.Q.M.

la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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