Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7078 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. I, 03/03/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 03/03/2022), n.7078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18629/2015 R.G. proposto da:

Combustibili Nuova Prenestina – C.N. P. s.p.a., in persona legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Sabotino n. 2-a, presso lo studio dell’Avvocato Valentino Vulpetti,

che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento n. (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona

del curatore Dott. P.R., elettivamente domiciliato in

Roma, Via Oslavia n. 40, presso lo studio dell’Avvocato Maria

Granillo, rappresentato e difeso dall’Avvocato Marcello De Sanctis,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Macerata depositato il 22/6/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/1/2022 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ammetteva al passivo della procedura il credito di Euro 576.114,94 vantato da Combustili Nuova Prenestina CNP s.p.a. per forniture di gasolio, collocando l’intero importo in chirografo.

2. Il Tribunale di Macerata, a seguito dell’opposizione presentata da Combustili Nuova Prenestina CNP s.p.a., riteneva che le spese relative alla presentazione dell’istanza di fallimento non potessero essere ammesse al passivo con il privilegio di cui agli artt. 2755 e 2777 c.c.; ciò sia perché le spese effettuate nei confronti di tutta la massa dei creditori possono essere solamente quelle sostenute quando la procedura concorsuale sia già aperta e tale momento non può essere collocato in data antecedente alla pronunzia della sentenza di fallimento, sia perché non poteva essere individuato alcuno specifico bene su cui riversare il privilegio speciale richiesto.

Escludeva, inoltre, la riconoscibilità del privilegio previsto dall’art. 2758 c.c., comma 2, per credito di rivalsa I.V.A., in assenza dei beni che avevano formato oggetto della cessione.

Osservava, infine, che ai crediti per le accise non poteva essere riconosciuto il privilegio previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 16, comma 3, dato che l’ammontare dell’accisa non era stato separatamente evidenziato nelle fatture relative alla cessione del gasolio.

3. Per la cassazione di questo decreto, depositato il 22 giugno 2015, ha proposto ricorso Combustili Nuova Prenestina CNP s.p.a. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione della L.Fall., art. 54, comma 3, artt. 2755 e 2770 c.c., in quanto il Tribunale, nel negare la collocazione privilegiata richiesta alle spese sostenute per la presentazione dell’istanza di fallimento, non ha tenuto conto dell’equiparabilità dell’istanza di fallimento all’atto di pignoramento e del fatto che le relative spese vanno a beneficio di tutta la massa dei creditori.

5. Il motivo è fondato.

Il collegio di merito ha negato il riconoscimento del privilegio richiesto reputando “coerente con la ratio dell’art. 2755 c.c. ritenere rientranti nel diritto al pagamento in prededuzione solamente le spese effettuate nei confronti di tutta la massa dei creditori (cfr. Tribunale Padova 28.5.2001), tali potendo essere considerate solamente le spese sostenute quando la procedura concorsuale si sia aperta e tale momento non può essere collocato in data antecedente alla pronuncia della sentenza di fallimento”.

Simili considerazioni operano un’indebita promiscuità fra gli istituti della prededuzione e del privilegio, giacché la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell’attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente, mentre il privilegio, quale eccezione alla par condicio creditorum, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito, poiché ne suppone l’esistenza e lo segue (Cass. 15724/2019).

La richiesta di collocazione del credito in sede privilegiata ex artt. 2755 e 2770 c.c. – e non in prededuzione -, dunque, non contrastava affatto con il riferimento ad un’attività svolta dal creditore istante in epoca anteriore all’apertura della procedura concorsuale, dato che le spese di giustizia che legittimano il riconoscimento di tali privilegi sono quelle che si riferiscono all’attività, conservativa o espropriativa, sul patrimonio del debitore svolta nell’ambito di una procedura giudiziale nell’interesse comune anche dei creditori successivamente intervenuti (Cass. 763/1980, Cass. 3461/1968) ed entrano in concorso, nella fase di distribuzione dell’attivo, con tutti gli altri crediti vantati nei confronti del debitore esecutato, trovando soddisfazione secondo l’ordine dei privilegi previsto dall’art. 2777 c.c..

La giurisprudenza di questa Corte – da tempo risalente (Cass. 6787/2000) e con orientamento costante (v. Cass. 26949/2016, Cass. 1186/2006), condiviso da questo collegio – ha poi ritenuto di riconoscere il privilegio per le spese di giustizia al credito maturato per l’attività relativa alla richiesta di fallimento, valorizzando il principio fissato nell’art. 95 c.p.c. – in forza del quale le spese sostenute dal creditore procedente sono a carico di chi subisce l’esecuzione, con il privilegio degli artt. 2755, 2770 e 2777 – e rinvenendo un sostanziale parallelismo tra il creditore procedente nell’esecuzione singolare ed il creditore istante nella procedura concorsuale “tale da attribuire anche a quest’ultimo il diritto alla ripetizione prelatizia delle spese sostenute per l’esercizio dell’unico mezzo consentitogli al fine di recuperare il proprio credito, che è poi mezzo realizzante il suo come l’interesse degli altri creditori, cui indubitabilmente giova la sottrazione dei beni alla disponibilità dal debitore e la loro destinazione al soddisfacimento dei propri crediti, in forza della dichiarazione di fallimento da lui (obbligatoriamente) richiesta”.

Le spese sostenute per provocare la dichiarazione di fallimento consentono di aggredire tutti i beni del fallito, in ragione degli effetti previsti dalla L.Fall., art. 42, comma 1, trovando così giustificazione il fatto che il privilegio riconosciuto dalle norme in discorso, pur avendo natura di privilegio speciale e non generale, investa, in questo specifico caso, ciascuno dei beni, mobili e immobili, interessati dall’esecuzione collettiva.

6. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2758 c.c. in relazione al privilegio richiesto rispetto al credito di rivalsa I.V.A.: il Tribunale – in tesi di parte ricorrente – ha erroneamente escluso la possibilità di riconoscere tale privilegio, limitandosi a considerare l’avvenuta vendita del gasolio fornito e non considerando che il creditore istante avrebbe potuto soddisfarsi sul corrispettivo percepito a seguito della vendita.

7. Il motivo è inammissibile.

La critica in esame intende superare il rilievo compiuto dal collegio di merito – secondo cui “l’art. 2758 prevede un privilegio speciale sopra i beni che hanno formato oggetto della cessione”, sicché “la loro assenza determina l’inoperatività del detto privilegio” – sostenendo che il privilegio in parola, in caso di alienazione dei beni oggetto della cessione che ha prodotto il credito I.V.A., si sposta sul relativo corrispettivo.

La decisione impugnata non fa il minimo cenno a una simile questione, che ivi non risulta fosse stata posta dall’opponente; né dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il creditore, con la domanda di ammissione al passivo, avesse descritto i beni su cui la prelazione si esercitava – L.Fall., ex art. 92, comma 3, n. 4, – facendo riferimento non solo al gasolio venduto, ma anche al corrispettivo della sua alienazione, allegando che lo stesso era stato effettivamente versato.

Trova perciò applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno all’interno della decisione impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).

8. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 16, comma 3: il Tribunale – a dire del ricorrente – ha erroneamente escluso il privilegio generale per le accise in ragione della mancata indicazione del loro importo sulle fatture, sia perché l’accisa in realtà era stata separatamente indicata in ciascuna fattura e risultava anche riepilogata in un apposito prospetto riassuntivo, sia perché la norma deve essere interpretata in senso sostanziale, venendo in rilievo non la formale segnalazione dell’importo dell’accisa all’interno della fattura, bensì il fatto che tale importo possa essere determinato tramite un calcolo matematico, tenendo conto della quantità di gasolio indicata, e scorporato dal complessivo ammontare della fattura.

Il motivo si duole inoltre – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – del fatto che il collegio dell’opposizione non abbia tenuto conto che il Tribunale di Roma, in un caso del tutto analogo, abbia ammesso in privilegio l’importo delle accise.

9. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.

Il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 16, comma 3, prevede che “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa e dai titolari di licenza per l’esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad imposta assolta, verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno comunque corrisposto tale tributo, possono essere addebitati a titolo di rivalsa ed hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore con lo stesso grado del privilegio generale stabilito dall’art. 2752 c.c., cui tuttavia è posposto, limitatamente ad un importo corrispondente all’ammontare dell’accisa, qualora questa risulti separatamente evidenziata nella fattura relativa alla cessione”.

La norma, nel suo inequivocabile contenuto letterale, ricollega espressamente il riconoscimento del privilegio per l’importo corrispondente all’ammontare dell’accisa al fatto che lo stesso sia stato evidenziato in maniera separata all’interno della fattura di cessione.

Non è quindi possibile dubitare che una simile indicazione – espressa, interna alla fattura e separata dalle ulteriori voci – sia condizione per il riconoscimento del privilegio, come il collegio di merito ha correttamente ritenuto, a nulla rilevando la possibilità di giungere a un computo dell’accisa attraverso l’utilizzo di altre indicazioni presenti in fattura (indicazioni, peraltro, evocate in questa sede in maniera del tutto generica, in violazione dell’obbligo di autosufficienza stabilito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Il profilo di critica volto a sostenere che, in realtà, le fatture contenessero una specifica indicazione dell’importo delle accise, diversamente da quanto rilevato dal Tribunale, risulta inammissibile, perché l’errore di valutazione delle prove, consistente nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare, non è sindacabile in sede di legittimità, non essendo previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., mentre l’errore di percezione è censurabile con la revocazione ordinaria, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 9356/2017).

Infine, il fatto che il credito di CNP fosse stato ammesso in altra sede sulla base di documenti di identico contenuto risultava privo di alcuna decisività, in quanto l’interpretazione della norma in questione compiuta nella diversa sede giudiziale non valeva certo ad imporre la medesima ermeneusi anche nell’ambito di questo procedimento.

10. Il provvedimento impugnato è dunque cassato, con rinvio al Tribunale di Macerata, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

La cassazione parziale del decreto impugnato ha effetto, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1, sulla parte del provvedimento, dipendente dalla statuizione cassata, relativa alla regolazione delle spese di lite.

Rimane di conseguenza assorbito il quarto motivo di ricorso, con cui è stato denunciato che la liquidazione delle stesse sia avvenuta in violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quarto, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Macerata in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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