Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7077 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/03/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 12/03/2021), n.7077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23652-2015 prcposto da:

F.A., F.M., quali eredi di FA.MA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBRICCI n. 16, presso lo

studio dell’avvocato ANNA CAPORICCI, rappresentati e difesi

dall’avvocato OTELLO ZAMBARDI;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione

dei crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ESTER ADA SCIPLINO, ANTONINO

SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA GERIT S.P.A;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3412/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/06/2015 R.G.N. 8886/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

A. e F.M., quali eredi di Fa.Ma., proponevano opposizione alla cartella esattoriale con cui l’Inps aveva chiesto il pagamento di Euro 23.789,99 per contributi previdenziali IVS dovuti dal dante causa per gli anni 1985-1994, innestando il contraddittorio con l’Inps e la società di riscossione Esatri s.p.a. in ragione della prescrizione dei medesimi contributi;

rigettata l’opposizione da parte del Tribunale di Cassino, la Corte d’appello di Roma (sentenza del 30.6.2015) rigettava l’appello basato sulla reiterazione dell’eccezione di prescrizione che si affermava essere divenuta quinquennale per effetto della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, e non decennale;

in particolare, la Corte territoriale ha osservato che il termine di prescrizione, interrotto dalla notifica della cartella di pagamento in data 5 febbraio 2004, non era decorso in ragione della avvenuta proposizione di domande di condono in data 30 aprile 1993, 30 marzo 1995 e 2 giugno 1997; tali domande – seppure non qualificabili quali atti di riconoscimento del debito con valenza interruttiva della prescrizione – avevano innescato una procedura di recupero del crediti contributivi che rendeva applicabile il previgente termine decennale di prescrizione, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità;

avverso tale sentenza, propongono ricorso per cassazione A. e F.M. con due motivi;

l’Inps resiste con controricorso, mentre la Esatri Esazione Tributi s.p.a. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con i due motivi, dedotti per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, e per contraddittoria motivazione, i ricorrenti lamentano, nella sostanza, il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione di tutti i contributi previdenziali, assumendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel non rilevare che, quanto al primo condono (presentato il 30 aprile 1993 e relativo agli anni 1982-1986), anche a considerare il termine decennale di prescrizione, certamente tardiva avrebbe dovuto considerarsi la notifica della cartella avvenuta solo 5 febbraio 2004; tale prescrizione, ad avviso dei ricorrenti, doveva ritenersi maturata anche per il periodo compreso tra il 1982 ed il 1994, oggetto della domanda di condono del 30 marzo 1995, mentre, quanto alla domanda di condono presentata il 2 giugno 1997 e riferita agli stessi anni in precedenza indicati oltre a quelli successivi, si sarebbe dovuto fare applicazione del termine quinquennale introdotto dalla L. n. 335 del 1995;

tali articolati motivi sono in parte infondati ed in parte inammissibili in quanto non tengono conto degli effetti della presentazione della domanda di condono sul decorso del termine prescrizionale;

si è, in particolare, affermato (Cass. sez. lav. n. 13831 del 6.7.2015) che in tema di prescrizione del diritto ai contributi di previdenza ed assistenza obbligatoria, dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro ai fini dell’applicabilità del regime transitorio L. 8 agosto 1995, n. 335, ex art. 3, commi 9 e 10, la domanda di condono previdenziale non costituisce riconoscimento del debito e non è quindi idonea ad interrompere la prescrizione, ma innescando una procedura di recupero dei contributi, costituisce una “procedura già iniziata”, che rende applicabile il previgente termine decennale di prescrizione;

la Corte d’appello ha rilevato, in modo corretto, che il dante causa degli odierni ricorrenti aveva presentato più domande di condono, tutte riferite alla contribuzione oggetto di causa, in data 30 aprile 1993, 30 marzo 1995 e 2 giugno 1997; in particolare, quella anteriore al 31 dicembre 1995, pur non assumendo il valore di atto interruttivo della prescrizione, era rilevante come atto della procedura di riscossione utile a determinare la permanenza del termine decennale di prescrizione, interrotto tempestivamente dalla notifica della cartella intervenuta il 5 febbraio 2004;

ciò in ragione degli effetti della domanda di condono la quale, pur non assumendo come si è detto valore di riconoscimento del debito, ha determinato il prodursi di effetti di sospensione del termine di prescrizione fino al momento del rispetto delle modalità di pagamento delle somme richieste;

in tal senso si è espressa questa Corte di legittimità (Cass. sez. lav. n. 24280 del 29.9.2008; Cass. n. 26664 del 2017) precisando che in tema di condono previdenziale l’esigenza pubblicistica di garantire all’ente creditore una rapida realizzazione dei suoi diritti, riducendo il contenzioso attraverso una parziale remissione dei debiti, comporta, ove il contribuente acceda al condono, la parziale sottrazione del rapporto obbligatorio al regime civilistico attribuendo al termine per l’adempimento un carattere decadenziale, non prorogabile quali siano le ragioni dell’inadempimento o del ritardo, per cui la domanda di condono, pur non assumendo valore di riconoscimento del debito, determina ugualmente la sospensione del termine prescrizionale sino a quando l’interessato rispetti le modalità di pagamento delle somme richieste;

da ciò discende che l’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, evidentemente correlato alla concreta operatività di tali effetti nel computo del tempo trascorso al fine di stabilire il decorso della prescrizione, non viene incrinato dai motivi prospettati in ricorso;

gli stessi non deducono circostanze idonee ad intaccare l’incidenza sospensiva derivante dalla presentazione delle diverse domande di condono colta dalla sentenza impugnata; quest’ultima ha correttamente considerato, che la pendenza della procedura anteriormente al 31 dicembre 1995 ha, da un canto, sicuramente determinato la persistenza del termine decennale di prescrizione per tutti i periodi contributivi in oggetto e che il complessivo effetto sospensivo, connesso alla presentazione delle tre domande di condono ed al parziale pagamento delle relative rate, ha in concreto dilatato l’arco temporale di decorso del termine decennale;

i motivi non danno conto di tale effetto e propongono una ricostruzione della disciplina non coerente con la citata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, alludendo a sostanziali effetti novativi che deriverebbero dalla presentazione della domanda di condono e dal pagamento di una sola rata, giacchè dalla data dell’ultimo pagamento si fa derivare non già la riattivazione del termine sospeso ma, bensì, l’inizio di un nuovo termine, quinquennale, di prescrizione;

peraltro, la formulazione del primo motivo risulta priva di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., difettando la esatta indicazione dei contenuti delle singole domande e le concrete modalità previste per il pagamento delle relative rate, mentre il vizio di motivazione (oggetto del secondo motivo) è pure inammissibile in quanto non conforme al parametro previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che ritiene ammissibile la deduzione di un vizio della motivazione solo laddove si prospetti l’omessa considerazione di un fatto principale o secondario, storicamente inteso, decisivo per la soluzione della questione e che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (vd. Cass. n. 8053 del 2014);

pertanto, il ricorso va rigettato;

le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo esclusivamente in favore dell’Inps, atteso che la società di riscossione Equitalia Gerit s.p.a. è rimasta solo intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità liquidate nella misura di Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200, per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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