Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7076 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 24/03/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 24/03/2010), n.7076

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A.G.C., nella sua qualità di

liquidatore, pro tempore, della ARMET s.r.l., elettivamente

domiciliato in Roma, Via Tacito 64, presso lo studio dell’avv.

CARLETTI Daniela che lo rappresenta e difende, unitamente all’avv.

Enrico Allegro del foro di Milano giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato e domiciliati

presso i suoi uffici in Roma Via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 80/01/03 della Commissione tributaria

regionale di Milano, emessa il 17 ottobre 2003, depositata il 12

dicembre 2003, R.G. 1803/01;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 26 novembre

2009 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Paolo Gentili per l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.A.G.C. ha impugnato l’avviso di rettifica con il quale l’Ufficio II.DD. di Milano gli aveva richiesto, nella sua qualità di liquidatore della ARMET srl, il pagamento di L. 726.000.000 per l’infedele dichiarazione IRPEP e di L. 327.000.000 per l’infedele dichiarazione ILOR. Il ricorrente ha dedotto l’illegittimità dell’atto per mancanza di motivazione, insussistenza della pretesa nei suoi confronti, erronea ricostruzione dello stato patrimoniale della società, carenza di legittimazione passiva tributaria.

Si è costituita l’Amministrazione finanziaria rilevando che l’accertamento era stato formulato all’esito di una verifica generale della Guardia di Finanza a carico della s.r.l. ARMET ed era stato notificato, oltre che al curatore della società, al P. che aveva firmato e depositato la dichiarazione dei redditi della società relativa agli esercizi in cui era stato liquidatore della stessa e che risultava essere stato l’amministratore di fatto della società. La curatela fallimentare non aveva impugnato l’avviso che si era quindi reso definitivo nei suoi confronti.

La C.T.P. di Milano ha rigettato il ricorso. P.A.G. C. ha proposto appello deducendo la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98 e la violazione della par condicio creditorum.

La C.T.R. ha rigettato l’appello rilevando la posizione assolutamente prevalente del P. nella gestione della società e contestando che il P. potesse proporre l’eccezione relativa alla violazione della par condicio creditorum che ha ritenuto in ogni caso infondata.

Ricorre per cassazione P., nella qualità di liquidatore, pro tempore, della Armet s.r.l., e si affida a due motivi di impugnazione.

Si difendono con controricorso il Ministero e l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce l’erronea e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, e l’erronea valutazione circa la carenza di legittimazione passiva tributaria del liquidatore che non è responsabile per soprattasse e sanzioni pecuniarie ma solo per le sanzioni civili di cui al titolo 3^ del D.P.R. n. 602 del 1973 a meno che non gli venga attribuito un comportamento doloso contra societas (Cassazione n. 5055/1993). Tale interpretazione secondo il ricorrente trova conferma nella recente disposizione normativa introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito in L. n. 326 del 2004, secondo cui le sanzioni amministrative, relative al rapporto di società o di enti con personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica, disciplina che è applicabile retroattivamente per il principio dell’applicabilità dello jus superveniens più favorevole al contribuente (D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3 e 25 dello Statuto del contribuente). Sul punto il ricorrente richiama la pronuncia della Cassazione n. 17587/2003.

Le controricorrenti eccepiscono la inammissibilità del motivo perchè proposto per la prima volta in sede di giudizio di legittimità. Contestano comunque la tesi del ricorrente perchè la solidarietà sussiste sempre se vi è stata attività dolosa o omissione colposa dell’amministratore e perchè ritengono infondato il richiamo al D.Lgs. n. 472 del 1997.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione della L. Fall., art. 51. Secondo l’assunto del ricorrente l’azione proposta dall’Ufficio viola il divieto di azioni esecutive individuali.

Anche questo motivo viene ritenuto inammissibile, per la sua genericità, dalle amministrazioni controricorrenti e comunque infondato perchè l’atto impositivo non è soggetto alle ordinarie procedure di accertamento concorsuali.

Il primo motivo di ricorso è infondato. Come rileva la C.T.R. la posizione del P. nella società AKMET era quella di socio di maggioranza che agiva in virtù di procura generale rilasciata dall’altro socio di minoranza e amministratore unico. Inoltre il P. presentò le dichiarazioni dei redditi della società che si dimostrarono infedeli all’esito della verifica eseguita dalla Guardia di Finanza.

Come rilevato dalla C.T.R. e ribadito dalle Amministrazioni controricorrenti la notifica dell’avviso di rettifica al P. avvenne quindi in relazione alla sua partecipazione diretta ai fatti contestati e alla conoscenza che egli aveva della società in virtù della sua qualità di amministratore di fatto e socio di maggioranza della ARMET s.r.l. Non si vede dunque per quale ragione il ricorrente escluda che l’Amministrazione finanziaria abbia notificato l’avviso di rettifica proprio in relazione alla sua partecipazione diretta alla commissione degli illeciti tributari. Nè si vede per quale ragione il ricorrente non abbia incentrato la sua impugnazione nei confronti della vera ratio decidendo, della sentenza impugnata e cioè il riscontro della assoluta irrilevanza della società, ai fini dell’accertamento della responsabilità per le attività delittuose intraprese dal reale dominus della stessa. In questa prospettiva è infatti irrilevante ai fini del decidere, cosi come lo è stato, del resto, nell’iter decisionale della C.T.R., la corretta interpretazione e applicazione dell’art. 98 e delle modifiche legislative successive, dato che al P. è stata ascritta proprio la diretta ed esclusiva responsabilità per gli illeciti tributari contestati anche alla società, che costituiva uno schermo all’attività personale del ricorrente.

Quanto al secondo motivo di ricorso se ne riscontra la palese infondatezza per le ragioni già esposte nella sentenza della C.T.R. che consistono nel difetto di legittimazione attiva e di interesse del P. a proporre tale censura.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

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