Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7076 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 7076 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

PU

SENTENZA

sul ricorso 185-2010 proposto da:
WINDISCH GRAETZ MARIANO HUGO (c.f. WDNMNG55L27L424W),
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA
TORTOLINI 13, presso l’avvocato GIAN GUIDO PORCACCHIA,
che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine

Data pubblicazione: 11/04/2016

del ricorso;
– ricorrente

2016
454

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

1

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 4855/2008 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 24/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

PIETRO LAMORGESE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato G. PORCACCHIA che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato R. TORTORA
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 25/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO

T

2

Svolgimento del processo
1.- Con atto di citazione notificato nel 1983, Mariano Hugo
Windisch-Graetz, in proprio e quale rappresentante di nove
coeredi, chiese al Tribunale di Roma di condannare l’allora
Ministero del tesoro a pagare l’indennizzo dovuto per la

perdita di numerosi e consistenti beni, tra i quali
un’azienda agricola, nei territori ceduti alla Jugoslavia
alla fine della seconda guerra mondiale. Il Tribunale, con
sentenza n. 7978/1988, determinò l’indennizzo ed escluse
gli interessi e la rivalutazione monetaria, che furono
riconosciuti, in accoglimento del gravame di WindischGraetz, dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza n.
1547/1991.
2.- Successivamente, in data 30 aprile 1992, il Ministero
autorizzò l’emissione degli ordinativi di pagamento in
attuazione della predetta sentenza d’appello, ma la
Cassazione, con sentenza n. 9941/1993, la annullò: escluse
gli interessi e la rivalutazione per il periodo anteriore
all’entrata in vigore della legge 5 aprile 1985 n. 135,
ritenendo che l’indennizzo fosse onnicomprensivo, e rimise
ogni decisione sulla loro spettanza e decorrenza per il
periodo successivo al giudizio di rinvio che, però, non fu
riassunto.
3.- Quindi, il Ministero emise, in data 15 maggio 1996,
un’ingiunzione di pagamento, a sensi del r.d. 14 aprile
1910 n.

639, per la restituzione delle somme già
3

corrisposte ai privati a titolo di interessi, rivalutazione
e spese legali.
4.- Avverso la predetta ingiunzione Mariano Hugo WindischGraetz

propose

opposizione,

chiedendo

la

condanna

dell’Amministrazione al pagamento degli interessi e della

rivalutazione maturati in epoca successiva alla legge n.
135/1985, nonché l’ulteriore indennizzo per la perdita
dell’avviamento del complesso agricolo-forestale, a norma
dell’art. 1 della legge 29 gennaio 1994 n. 98.
5.- Il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione, ritenendo
avverata la prescrizione per gli accessori maturati
successivamente alla legge n. 135/1985, visto il tempo
trascorso dalla domanda introduttiva del giudizio di primo
grado (nel 1983) a quella proposta in sede di opposizione
all’ingiunzione di pagamento (emessa nel 1996), e ritenne
non dovuta l’indennità per la perdita dell’avviamento, per
mancata prova della tempestiva presentazione della domanda
nei termini stabiliti dall’art. 2 della legge n. 98/1994;
in

accoglimento

della

domanda

riconvenzionale

del

Ministero, condannò l’opponente al pagamento degli
interessi legali sulla somma ingiunta dal 16 maggio 1996 al
saldo.
6.-

Avverso questa sentenza Windisch-Graetz propose

appello, lamentando che con l’ingiunzione opposta gli era
stato chiesto di restituire somme che aveva percepito non
solo in proprio, ma anche quale procuratore di alcuni
4

coeredi; che l’ingiunzione era invalida per incompetenza
della Direzione degli affari generali e del personale del
Ministero, in luogo della Divisione XIX della Direzione
generale del Tesoro; che il procedimento ingiunzionale,
previsto dal rd del 1910, non era applicabile per il

recupero di somme indebitamente pagate dal Ministero; che
erroneamente il Tribunale aveva dichiarato la prescrizione
del suo diritto al pagamento degli interessi e della
rivalutazione per il periodo successivo alla legge n. 135
del 1985 e aveva negato l’ulteriore indennizzo per la
perdita dell’avviamento delle aziende agricole, sul
presupposto erroneo che egli non avesse dimostrato di avere
proposto la relativa istanza, della quale aveva provato
l’esistenza e la tempestività. Il Ministero ha insistito
nell’eccezione di prescrizione del credito per gli
accessori successivi alla legge del 1985, decorrente
dall’unico atto interruttivo risalente alla domanda
giudiziale del 1983, per effetto dell’estinzione del
processo a causa della mancata riassunzione del giudizio di
rinvio, a norma del combinato disposto degli artt. 393

c.p.c. e 2945, commi 2 e 3, c.c.
7.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza 24 novembre
2008, ha rigettato il gravame e compensato integralmente le
spese del grado. La Corte ha ritenuto legittima l’azione
restitutoria del Ministero, anche sotto il profilo del
procedimento disciplinato dal rd. n. 639/1910, utilizzabile
5

per le entrate patrimoniali sia di diritto pubblico che di
diritto privato; infondate le doglianze di incompetenza
dell’organo, le cui determinazioni erano pur sempre
riferibili al Ministero, e di indebita estensione del
debito restitutorio, dal momento che all’attore era stato

chiesto il pagamento di quanto da lui dovuto all’esito
della ripartizione del debito complessivo tra tutti gli
interessati, comprensivo di una quota parte delle spese di
lite e degli interessi legali; con riguardo agli interessi,
ha ritenuto che la questione della debenza degli accessori
per il periodo successivo alla legge del 1985 fosse rimasta
sfornita di supporti probatori, essendosi estinto il
giudizio di rinvio nel quale la questione avrebbe dovuto
essere affrontata; con riguardo alla domanda di avviamento,
la Corte ha ritenuto che non si trattasse di un diritto
valutabile autonomamente dall’azienda agro-forestale e che
la relativa domanda non fosse accoglibile, poiché il
giudicato (risultante dalla citata sentenza della
Cassazione del 1993) formatosi sull’indennizzo relativo
all’azienda agro-forestale comprendeva ogni voce inerente
all’azienda, quindi anche quella per la perdita
dell’avviamento, insensibile allo

jus superveniens e alla

sua retroattività.
8.- Avverso questa sentenza Mariano Hugo Windisch-Graetz ha
proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi,

6

cui si è opposto il Ministero dell’economia. Le parti hanno
presentato memorie.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di
motivazione per avere ritenuto legittima l’ingiunzione

emessa dal Ministero nei suoi confronti per la restituzione
delle somme riscosse sulla base della sentenza d’appello
annullata dalla Cassazione (con sentenza n. 9941/1993), in
tal modo ignorando che egli le aveva percepite anche quale
procuratore speciale dei suoi congiunti e che l’importo di
cui gli era stato ingiunto il pagamento non rappresentava
la quota dell’indennizzo di sua pertinenza esclusiva.
1.1.- Il motivo è infondato. Esso si basa sul presupposto
che la Corte d’appello avrebbe avallato la tesi secondo cui
il procuratore speciale che abbia ricevuto somme in nome e
per conto di terzi dovrebbe restituirle come se le avesse
percepite in proprio, ma questa tesi si basa su un fatto
diverso da quello insindacabilmente accertato, che il
ricorrente vorrebbe mettere in discussione provocando una
impropria revisione del giudizio di fatto compiuto dai
giudici di merito in senso implicitamente adesivo alla tesi
del Ministero controricorrente (il quale assume di avere,
con l’ingiunzione opposta, recuperato dall’attore soltanto
le somme di sua pertinenza, poiché coloro che gli avevano
originariamente rilasciato la procura avevano ceduto il
loro

credito

alla

società

Sogesco,

alla

quale
7

l’amministrazione aveva effettuato il pagamento e poi
chiesto il recupero delle somme).
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 5 e 7 del rd. n.
639/1910, 389 c.p.c. e 144 disp. att. c.p.c., per avere

disposto il recupero delle somme pagate in esecuzione di
una sentenza cassata con rinvio in sede di legittimità, sul
quale avrebbe dovuto provvedere il giudice in sede di
rinvio o, comunque, di cognizione ordinaria e non la stessa
Amministrazione con ingiunzione emessa, in base al rd. n.

639/1910, tra l’altro, da un organo incompetente e privo di
rappresentanza esterna (il dirigente della Direzione
generale degli affari generali e del personale del
Ministero) e per un credito privo dei caratteri di
certezza, liquidità ed esigibilità.
2.1.- Il motivo è infondato. Il quesito posto a questa
Corte è se per la restituzione di somme corrisposte in
esecuzione di sentenza annullata dalla Cassazione, laddove
il processo si sia estinto per mancata riassunzione del
giudizio di rinvio (art. 393 c.p.c.), l’Amministrazione
creditrice di quelle somme possa utilizzare lo strumento
dell’ingiunzione di pagamento, di cui al rd. n. 639/1910,
anziché attivare un giudizio di cognizione ordinaria. La
risposta è affermativa, alla luce del principio secondo cui
lo speciale procedimento disciplinato dal regio decreto
citato è utilizzabile non solo per le entrate di diritto
8

pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando
il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della
medesima pubblica amministrazione, a condizione che il
credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare la
somma dovuta sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun

potere di determinazione unilaterale dell’Amministrazione,
dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazione
quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da
fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati
(v. Cass., sez. un., n. 11992/2009). Queste condizioni
sussistono nella fattispecie in esame, trattandosi della
restituzione di quelle medesime somme corrisposte in base a
un titolo giudiziario, successivamente caducato, sicché il
potere esercitato dall’Amministrazione, ai fini della
formazione del titolo esecutivo, è stato di mero
accertamento, senza alcuna valutazione discrezionale, anche
con riferimento all’ammontare delle spese processuali
recuperate nei confronti dell’attore in misura di un terzo
dell’importo complessivo. Infondata è l’eccezione di
incompetenza dell’organo (dirigente della Direzione
generale) che ha emesso l’ingiunzione di pagamento: è
principio generale del diritto amministrativo (di cui si
rinviene conferma nell’art. 4 del d.lgs. 30 marzo 2001, n.
165) che, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, le
cui strutture siano connotate da organizzazione gerarchica
(come i ministeri), la delegabilità delle funzioni, da
9

parte dell’organo posto al vertice, ai collaboratori dotati
di adeguate qualifiche e cognizioni, costituisce la regola,
salvo che la legge non disponga diversamente, prevedendo
una competenza funzionale ed inderogabile dell’organo
anzidetto (v. Cass. n. 10202/2010), evenienza, questa, non

riscontrabile nella specie e, comunque, non dedotta nel
giudizio di merito.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1224, coma 2,
c.c., per omessa pronuncia sul motivo di gravame avverso la
sentenza del Tribunale che aveva dichiarato prescritta la
domanda di pagamento degli interessi e del maggior danno
successivi alla legge n. 135/1985, nonché vizio
motivazionale, non avendo la Corte d’appello valutato che,
avendo ricevuto il pagamento (nel 1992), egli aveva perduto
ogni interesse a porre in essere ulteriori atti
interruttivi e, comunque, li aveva posti in essere, dal
momento che il diritto al riconoscimento degli interessi e
del maggior danno era sorto con l’entrata in vigore della
citata legge del 1985 e che tale diritto egli aveva
azionato proponendo appello (notificato il 16 ottobre 1988)
avverso la sentenza del Tribunale.
3.1.- Entrambe le censure svolte nel motivo sono infondate.
Quella concernente l’omessa pronuncia è infondata, avendo
la Corte pronunciato sul motivo di gravame concernente la
prescrizione del diritto agli interessi e la rivalutazione
lo

successivi all’entrata in vigore della legge n. 135/1985,
rilevando che la domanda è rimasta “completamente sfornita
di qualsivoglia supporto” (v. sentenza impugnata a p. 4).
Infondata è anche la censura di vizio motivazionale.
Infatti, estintosi il giudizio

ex

art. 393 c.p.c. per

mancata riassunzione del giudizio di rinvio (a seguito
della sentenza della Cassazione n. 9941/1993), è venuto
meno l’effetto interruttivo della prescrizione previsto
dall’art. 2945, comma

2,

c.c. per tutta la durata del

giudizio (“fino al passaggio in giudicato della sentenza”)
ed è rimasto fermo l’effetto interruttivo istantaneo della
domanda giudiziale, a norma dell’art. 2945, comma 1, c.c.,
in base al quale “il nuovo periodo di prescrizione comincia
,
dalla

data

dell’atto

interruttivo”

(cfr.

Cass.

n.

8720/2010). Pertanto, risalendo la domanda giudiziale di
pagamento dei predetti accessori al maggio 1983, la
prescrizione decennale è maturata, avuto riguardo alla data
della successiva domanda proposta, nel 1996, in sede di
opposizione all’ingiunzione di pagamento notificata dal
Ministero. Di questa ratio decidendi l’impugnata sentenza
ha implicitamente dato atto, aderendo al decisum del primo
giudice, in tal modo restando immune dalla critica che le è
stata mossa.
Inoltre, il ricorrente invoca infondatamente la valenza
interuttiva dell’atto di appello risalente al 1988 (dopo
.

l’entrata in vigore della legge del 1985). Infatti,
11

premesso che gli atti di impulso processuale successivi
all’atto introduttivo del giudizio possono spiegare


autonoma efficacia interruttiva della prescrizione, a
condizione che abbiano i connotati dell’atto di
costituzione in mora del debitore, ai sensi dell’art. 2943,

comma 4, c.c., e cioè contengano una richiesta di pagamento
comunicata direttamente al debitore, l’atto di gravame
proposto avverso la sentenza del giudice di primo grado è
privo di tale efficacia, sia perché non è diretto
personalmente alla parte ma al suo procuratore, sia,
soprattutto, perché non ha il contenuto di un atto di
costituzione in mora, essendo volto al riesame della
sentenza di primo grado nei limiti del devoluto (v. Cass.
n. 13669/1999, a differenza della domanda proposta nel
corso del giudizio d’appello).
Infondata

è

l’ulteriore

invocazione

della

valenza

interruttiva del pagamento effettuato in suo favore
dall’Amministrazione nel 1992 (in attuazione della sentenza
della Corte d’appello di Roma del 1991, successivamente
cassata), non potendo riconoscersi efficacia interruttiva
della prescrizione, sotto il profilo del riconoscimento del
debito altrui (art. 2944 c.c.), all’adempimento di un
obbligo di pagamento in attuazione di un titolo giudiziale.
Se, invece, nella deduzione in esame fosse implicita la
rivendicazione del diritto a trattenere le somme già
ricevute, allora il ricorrente avrebbe dovuto sollevare,
12

evidentemente nel giudizio di merito, una specifica
,

eccezione di prescrizione della pretesa restitutoria
azionata

dall’Amministrazione,

anziché

dedurre

l’interruzione della prescrizione, eccepita
dall’Amministrazione, del proprio credito avente ad oggetto

il pagamento di quelle medesime somme. E comunque, anche in
tale prospettiva, la prescrizione non sarebbe maturata,
tenuto conto del breve periodo intercorso tra il pagamento
(risalente al 1992) e la richiesta restitutoria contenuta
nell’ingiunzione del 1996.
4.- Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa
applicazione degli artt. l della legge n. 98/1994, 2909 e
2135 c.c., 11 e 12 disp. sulla legge in generale, per avere
omesso di considerare che la domanda di avviamento non
avrebbe potuto essere proposta prima dell’entrata in vigore
della legge n. 98/1994, sicché erroneamente era stata
ritenuta preclusa dal giudicato formatosi nel giudizio
estinto.
4.1.- Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha fatto
applicazione del condivisibile principio secondo cui, in
tema di indennizzo – previsto dalla legge 5 dicembre 1949,
n. 1064, e successive modificazioni ed integrazioni – in
favore dei titolari di beni situati nei territori ceduti
alla ex Jugoslavia per effetto del Trattato di pace del 10
febbraio 1947, qualora sia stata proposta domanda di
.

indennizzo in relazione alla perdita di azienda agricola ed
13

il relativo giudizio sia stato definito con giudicato, è
inammissibile una successiva richiesta di indennità per
l’avviamento agricolo, espressamente riconosciuta dal
sopravvenuto art. l della legge 29 gennaio 1994, n. 98
(qualificato in rubrica come norma di interpretazione

autentica). Oggetto dell’indennizzo in questione è
infatti, la perdita dell’azienda agricola, con tutto ciò
che essa comporta, compreso l’avviamento, il quale
costituisce, quindi, soltanto una delle voci che concorrono
alla determinazione della somma dovuta, ma non un bene
indennizzabile indipendentemente dall’azienda di cui
esprime una qualità, con la conseguenza che il dedotto
giudicato, formandosi in relazione a ciascun bene
fisicamente identificato, definisce il rapporto giuridico
ad esso relativo – salva espressa riserva di richiesta in
altro giudizio di voci ulteriori di danno derivanti dalla
stessa causa e resta insensibile alle successive
modificazioni normative del rapporto stesso, anche di
natura retroattiva (v. Cass.

n.

17207/2004). In

giurisprudenza è stato ulteriormente precisato, da un lato,
che l’indennità relativa all’avviamento di cui all’art. 1,
comma 1, della legge n. 98/1994 non costituisce un diritto
a sé stante, valutabile indipendentemente dalla ditta, ma
solo una delle voci che concorrono alla determinazione
della somma dovuta per la perdita dell’azienda (v. Cass. n.
19165/2015) e, dall’altro, che la citata legge del 1994,
14

avendo una portata interpretativa delle leggi n. 16/1980 e
n. 135/1985, come risulta in modo univoco dallo stesso
titolo e dal tenore delle disposizioni in essa contenute,
non ha comportato una riapertura dei termini con riguardo a
danni occorsi prima della sua entrata in vigore e

precedenti, avendo essa invece inteso solo estendere
l’indennizzabilità al valore d’avviamento delle attività
ablate, correlando l’assegnazione del nuovo beneficio alle
posizioni soggettive dei beneficiari delle norme precedenti
(v. Cass. n. 6371/2005).
5.- In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese
seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle
spese del giudizio di cassazione, liquidate in

e

7000,00,

oltre SPAD.
Roma, 25 febbraio 2016.
Il cons. rel.

Il Pres dente

successivamente ai termini indicati nelle due leggi

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