Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7075 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 7075 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 5970-2014 proposto da:
ZARBO MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.
FERRARI

11,

rappresentata

presso
e

l’avvocato MASSIMO VALENZA,

difesa

dall’avvocato

MAURIZIO

GIACONIA, giusta procura in calce al ricorso;

Data pubblicazione: 11/04/2016

– ricorrente contro

COMUNE DI LICATA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 81/2013 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 22/01/2013;

1

udita la

rúl,73Aione della wausa svolta nella pubblina

udienza del

25/02/2016 dal

Consigliere Dott. MARIA

GIOVANNA C. SAMBITO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato M. GIACONIA che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Maria Zarbo convenne in giudizio innanzi alla Corte

opposizione avverso la determinazione, ritenuta vile,
dell’indennità di espropriazione di mq. 2673 di aree di sua
proprietà, ablate con provvedimento del 24.8.2006, e chiedendo
la determinazione dell’indennità di occupazione, in precedenza
disposta su un’estensione di mq. 3820, con atto del 20.7.2001.
La Corte adita, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettò
l’opposizione, rilevando che: a) il suolo espropriato era composto
di varie porzioni, già destinate a strade ad opera dell’opponente
nell’ambito di una lottizzazione abusiva in precedenza da lei
attuata; b) il PPR del 1993, poi recepito nel PRG approvato il
20.7.2001, aveva costituito una sorta di legittimazione postuma
dello stato di fatto, allo scopo di attuare il progetto di
riqualificazione urbanistica, sicchè non poteva tenersi conto del
fatto che le aree ricadevano formalmente nell’ambito della zona
omogenea B3, in quanto la relativa edificabilità di fatto restava
esclusa, trattandosi di reticoli stradali interclusi da due file
parallele di fabbricati, che avevano assorbito l’edificabilità in
concreto; c) il vincolo a strade aveva natura conformativa, e
l’intervento del Comune costituiva un beneficio per gli immobili
circostanti, a nulla rilevando che parte di essi fosse stata alienata
a terzi; d) il criterio agricolo non poteva essere applicato essendo

i

d’Appello di Palermo il Comune di Licata proponendo

stato dichiarato incostituzionale e del resto il suolo, per detta sua
destinazione, non aveva di fatto alcun valore commerciale; e)
l’indennità di occupazione andava determinata, ex art. 20, co 3,

dell’indennità di espropriazione, quale determinata nell’ambito
del relativo procedimento.
Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso Maria
Zarbo con dieci motivi, successivamente illustrati da memoria. Il
Comune di Licata non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1, Col primo motivo ed il secondo mezzo, si deduce la
violazione degli artt. 40 della L. n. 2359 del 1865 e 112 cpc, per
avere la Corte territoriale omesso di considerare che si era in
presenza di un’espropriazione parziale, e di applicare i relativi
criteri di determinazione dell’indennizzo. La ricorrente afferma
che le aree espropriate costituivano porzioni di una più vasta
proprietà, come, del resto, aveva dato atto la stessa sentenza non
solo quando aveva evidenziato che la superficie espropriata era
pari a mq. 2673, mentre quella occupata era estesa mq. 3820 residuando, dunque, un relitto rimasto negletto- ma, anche,
quando le aveva addebitato asserite lottizzazioni di fatto e
cessioni di cubature dalle superfici espropriate in favore di altre
di sua proprietà. La ricorrente sostiene che, nell’escludere la
diminuzione di valore delle porzioni residue e nel dare rilievo a
presunte destinazioni di fatto, la Corte del merito ha, dunque,

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della L n. 865 del 1971, in ragione di un dodicesimo

errato perchè non ha applicato il criterio differenziale previsto in
ipotesi di espropriazione parziale e non ha considerato che i
supposti abusivismi erano stati superati dal PRG vigente al

operata la valutazione del carattere edificatorio dell’area.
2. Col terzo ed il quarto mezzo, si deduce la violazione
dell’art. 41 della L n. 2359 del 1865 e vizio di motivazione. La
ricorrente lamenta che la sentenza ha ritenuto che l’intervento
espropriativo non le aveva arrecato un danno, ma piuttosto un
beneficio, senza specificarne la relativa consistenza, e senza
considerare che ove tale beneficio fosse costituito del “reticolo
viario”, esistente da lunga data, il Comune lo avrebbe espropriato
senza versare l’indennizzo di cui all’art. 43 della L n. 2359 del
1865; ove invece le opere viarie fossero state realizzate dal
Comune, la detrazione del vantaggio dall’indennità avrebbe
imposto l’accertamento di un beneficio differenziato, particolare e
specifico che non era stato operato e che non era sussistente,
trattandosi, al più, di un vantaggio generico comune a tutti gli
immobili della zona, ma che, ciononostante, era stato quantificato
in misura pari all’indennità di espropriazione (in ragione della
legittimazione postuma della presunta lottizzazione abusiva),
senza alcuna spiegazione al riguardo.
3. Col quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, oltre che vizio di
motivazione in ordine al materiale probatorio, per avere la Corte

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momento dell’espropriazione, in riferimento al quale andava

territoriale concluso per l’avvenuta realizzazione della rete viaria
a servizio di una lottizzazione abusiva, senza che tale fatto fosse
stato affermato né dal CTU -che aveva ritenuto non documentata

accessi- e neppure dalla CT prodotta dal Comune, che era relativa
a terreni limitrofi di proprietà di terzi; errore ancor più grave
tenuto conto che la storia urbanistico-edilizia degli immobili
espropriati era irrilevante, dovendosi aver riguardo alla data del
decreto d’occupazione ed a quello di espropriazione, epoche in
cui il terreno era qualificato edificabile dallo strumento
urbanistico.
4. Col sesto motivo, si deduce la violazione dell’art. 18 della
L. n. 47 del 1985, per avere la Corte del merito ipotizzato la
realizzazione di una lottizzazione abusiva, in assenza di prova
degli elementi che la integrano, e senza tener conto che le
compravendite di terreni agricoli, di per sé insufficienti a
documentarla, non avevano comportato alcun procedimento
penale a suo carico, e che i relativi atti erano validi.
5. Con il settimo motivo, si lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 5 bis della L n. 359 del 1992, oltre che vizio
di motivazione, in ordine alla valutazione giuridica dell’area
espropriata. La ricorrente afferma che la Corte territoriale ha
escluso la natura edificatoria del fondo, in violazione del
principio cardine secondo cui il relativo accertamento va condotto
in riferimento alla destinazione urbanistica del bene, quale

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l’asserita cessione di cubatura derivata dalla realizzazione degli

riconosciuta dalla legge o dagli strumenti urbanistici generali, al
momento dell’adozione del decreto di espropriazione. A tale
momento, prosegue la Zarbo, le aree espropriate ricadevano in

riconnettersi nessuna rilevanza alla situazione di fatto esistente in
epoca antecedente all’adozione del decreto di espropriazione. Il
vincolo di destinazione a strada / impresso in seno alla delibera
della GM n. 215 del 1999, costituiva i dunque, un vincolo
espropriativo, di cui non tener conto ai fini della determinazione
dell’indennità: le NTA del PRG non ponevano né potevano porre
nuove zonizzazioni in aggiunta o in contrasto con quelle
compiute dal PRG, ma, in ottemperanza alla loro stessa funzione,
stabilivano quanta parte della zona B3 dovesse esser destinata ad
edificazione e quanta parte ad opere di urbanizzazione, che
provvedeva a localizzare.
6. Con l’ottavo motivo, la ricorrente lamenta, nuovamente, la
violazione dell’art. 5 bis della L n. 359 del 1992, oltre che vizio
di motivazione, in ordine alla ritenuta insussistenza
dell’edificabilità di fatto dei fondi, che invece era consentita
dall’art 45 della NTA del PRG, con un indice urbanistico di
fabbricabilità di 3M mc/mq, come accertato dal CTU. La
ricorrente aggiunge che il trasferimento della cubatura ipotizzato
in sentenza, neppure dedotto dal Comune e del tutto sfornito di
prova, si traduce in una congettura mentre, al contrario, l’errore

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zona B3, ed erano, quindi, legalmente edificabili, non potendo

della sentenza consiste nel mancato indennizzo della perdita della
volumetria edificatoria subita, per effetto dell’espropriazione.
7. Con il nono motivo, la ricorrente lamenta, in subordine, la

1865, 15 e 16 della L n. 865 del 1971 e 42 Cost, nonché il vizio
di motivazione, per avere la Corte territoriale rilevato
l’inapplicabilità

dei

agricoli

valori

medi,

dichiarati

incostituzionali ed escluso che il terreno avesse alcun valore,
lasciando in piedi quello di appena di E/mq. 0,48, calcolato dal
Comune, sulla scorta degli stessi VAM.
8. Con il decimo motivo, si lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 71 e 72 della L n. 2359 del 1865 in ordine
alla determinazione dell’indennità di occupazione, calcolata in
riferimento a quella, erronea, di espropriazione e per di più
riferita ad una superficie inferiore, essendo stati occupati mq.
3820 ed espropriati mq. 2673.
9. Le dedotte violazioni di legge vanno esaminate
congiuntamente, costituendo frazioni dell’unica questione relativa
alla determinazione della giusta indennità di espropriazione, e
vanno accolte per le seguenti considerazioni.
10. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in presenza
di una procedura espropriativa che non riguardi l’intera proprietà
del soggetto espropriato va applicato il meccanismo di calcolo
differenziale di cui all’art. 40 della L n. 2359 del 1865 (oggi art.
33 del dPR n. 327 del 2001), in costanza dei seguenti due

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violazione e falsa applicazione degli artt. 39 della L. n. 2359 del

presupposti: a) che la parte residua del fondo sia intimamente
collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed
obiettivo, tale da conferire all’intero immobile il carattere di

esso abbia influito, oggettivamente (con esclusione, dunque, di
ogni valutazione soggettiva), in modo negativo sulla parte
residua. 11. Ove detta indagine risulti affermativa, alla parte
espropriata è, quindi, dovuta un’unica indennità, ricavata dalla
differenza tra il giusto prezzo che l’immobile avrebbe avuto prima
dell’espropriazione ed il giusto prezzo della parte residua dopo
l’espropriazione stessa, in modo da ristorare l’intera diminuzione
patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento
ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua,
non essendo, invero, concepibile, in presenza di un’unica vicenda
espropriativa, l’attribuzione di distinte somme, imputate l’una a
titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di
risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui
terreni (cfr. da ultimo, Cass. n. 11504 del 2014). 12. Tale risultato
potrà esser conseguito dal giudice di rinvio mediante calcolo
differenziale, oppure accertando e calcolando detta diminuzione
di valore, mediante il computo delle singole perdite, ovvero
aggiungendo al valore dell’area espropriata quello delle spese e
degli oneri che, incidendo sulla parte residua, ne riducono il
valore.

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un’unità economica e funzionale; b) che il distacco di una parte di

13. Occorre quindi rilevare che, per effetto delle sentenze
della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011,
emesse anche alla luce delle sollecitazioni provenienti dalla

sistema indennitario, ormai svincolato dalla disciplina delle
formule mediane e dei parametri tabellari, di cui agli artt. 5-bis,
co. 1 e 2, della L. n. 359 del 1992 e 16, co. 5 e 6, della L. n. 865
del 1971, risulta agganciato al valore venale del bene, di cui
all’art. 39 della L. n. 2359 del 1865, riconosciuto applicabile ai
casi già soggetti al pregresso regime riduttivo (Cass. n. 11480 del
2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014),
ed ora sancito dall’art. 37, co 1, del dPR n. 327 del 2001, come
modificato dall’art. 2, co 90, della L. n. 244 del 2007.
14. Tanto non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai
fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non
edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione
della razionale programmazione del territorio -anche ai fini della
conservazione di spazi a beneficio della collettività e della
realizzazione di servizi pubblici- e che le regole di mercato non
possono travalicare. E l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro
ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo:
quello dell’edificabilità legale, posto dall’art. 5-bis, co 3, della L.
n. 359 del 1992, tuttora vigente, e recepito nel T.U.
espropriazioni di cui al dPR n. 327 del 2001, artt. 32 e 37. In base
a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa

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giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il

risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli
strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004;
10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001; Corte Cost. sentenze n. 348

vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico
vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la
zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente
pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità
ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di
destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di
trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione
tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello
ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con
l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass.
14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009).
15. Va, ulteriormente, precisato che il sistema dicotomico di
ricognizione legale dei suoli, rimesso, appunto, alle scelte
urbanistiche è connotato da indubbia discrezionalità (Corte Cost.
64/1963; 38/1966; Cons.St.9372 e 2843/2010), sia per quanto
concerne la ripartizione in zone del territorio comunale / sia per ciò
che riguarda il regime della proprietà privata nell’ambito delle
singole zone, in relazione alle esigenze, modificabili anche nel
tempo, della vita moderna e dell’espansione urbanistica: la
destinazione che il privato può aver di fatto impresso nel suo
fondo risulta, quindi, del tutto irrilevante, e di certo non

9

e 349/2007), e, per converso, le possibilità legali di edificazione

condiziona le autonome scelte dell’Amministrazione, quali che
siano le ragioni che le hanno determinate; dovendo, ancora,
ribadirsi che ai fini della determinazione dell’indennità di

essere inteso nel senso che la ricognizione delle possibilità legali
ed effettive di edificazione dell’immobile va compiuta con
riferimento al momento della vicenda espropriativa, identificato
in quello di adozione del decreto ablativo; che non presenta
alcuna rilevanza il regime urbanistico antecedente o successivo a
tale momento; che deve, perciò, escludersi che la destinazione
dell’area debba essere accertata risalendo ad una pianificazione
ovvero a vicende urbanistiche anteriori e non più attuali (Cass. n.
3146/2006, n. 3838/2004; n. 10570/2003).
16. Infine, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa
Corte (Cass. n. 26615 del 2008; n. 11236 del 2013) la
destinazione di un suolo ad opere di viabilità non è di per sè
espressione di un potere di pianificazione esercitato in via astratta
e generale in funzione della ripartizione in zone del territorio
comunale, sicché la natura di vincolo a carattere conformativo
della relativa previsione (e la natura non edificatoria dell’area)
ricorre soltanto se il PRG ha previsto la strada nell’ambito di una
destinazione delle zone del territorio con limitazioni di ordine
generale ricadenti su una pluralità indistinta di beni; sussiste,
invece, un vincolo preordinato all’espropriazione ove ricorra una

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espropriazione, l’art. 5-bis, co 3, della L. n. 359 del 1992 deve

localizzazione lenticolare della strada, incidente su specifici beni
e con un rilievo all’interno e a servizio delle singole zone.
17. I suddetti principi non sono stati correttamente applicati

del criterio legale in tema di espropriazione parziale e di
esaminare il relativo tema d’indagine di cui ai punti 10 e 11; II)
ha escluso il carattere edificatorio del suolo, nonostante abbia
dato atto che lo stesso fosse così classificato dal PRG (zona
omogenea B 3), erroneamente ritenendo il vincolo particolare
incidente sui beni (strada a servizio di una zona edificata) a
carattere conformativo (ed errando, anche in questo caso, in cui,
dopo la nota decisione n. 181 del 2011 della Corte Cost., sarebbe
stata necessaria la liquidazione del dovuto in base al valore
venale non edificatorio), e, soprattutto, dando rilievo al dato, che
si è detto ininfluente, ma sul quale si è sostanzialmente incentrata
la valutazione, del pregresso utilizzo del suolo da parte del
proprietario quale strada privata (cfr. Cass. n. 18003 del 2014);
III) ha manifestato l’intendimento di compensare gli impegni non assolti- che in base alle norme edilizie avrebbero dovuto
gravare sulla ricorrente in ipotesi di convenzione di lottizzazione,
senza considerare da una parte, che, nel caso, non ricorre lo
speciale istituto di cui all’art. 28 della L. n. 1150 del 1942 peraltro del tutto incompatibile con l’espropriazione per p.u.- né
si controverte sull’inadempimento degli obblighi assunti dal
lottizzante, e, dall’altra, che la sola compensazione ammessa dal

li

dalla Corte territoriale, che: I) ha, anzitutto, omesso di tener conto

legislatore nella determinazione dell’indennità di espropriazione è
quella prevista dall’art. 41 della L. n. 2359 del 1865 (alle
condizioni e nei limiti indicati dalla norma, qui neppure

sanzione (anche penale) nell’ordinamento, che non è di certo
quella di escludere l’indennizzo da procedimento espropriativo
(di molti anni successivo e sorto a seguito di una legittima,
ancorché tardiva pianificazione urbanistica); IV) ha errato anche
nella valutazione della c.d. edificabilità di fatto, sia perché non dà
conto dei dati fattuali che autorizzavano la conclusione di una
lottizzazione abusiva ad opera della ricorrente (essendo i fatti
mutuati da quelli accertati in altri fondi in epoche assai lontane
dalla data del decreto ablativo), sia perché in alcun modo spiega
quando e con quali atti, né a favore di quali soggetti (Cass. n.
20623/2009; n. 9081/1998), parte della volumetria realizzabile in
base all’indice di fabbricabilità territoriale nella proprietà della
ricorrente -neppur esso accertato- sia stata da lei ceduta ad aree
limitrofe; V) non ha tenuto conto che la liquidazione
dell’indennità di occupazione doveva esser calcolata in
riferimento alla superficie occupata in esecuzione del decreto che
la autorizzava, che costituisce fonte del relativo credito
indennitario.
19. La sentenza va, in conclusione, cassata, restando
assorbita ogni altra questione, con rinvio, per un nuovo esame
alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, che

12

prospettati); laddove l’abusivismo edilizio trova la sua specifica

determinerà le indennità di espropriazione ed occupazione dovute
in base agli esposti principi e provvederà, inoltre, a liquidare le
spese del presente giudizio di legittimità.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione,
cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Palermo
in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2016.

PQM

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