Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7075 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. I, 03/03/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 03/03/2022), n.7075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29401/2015 proposto da:

P.A.M. M.A.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Sistina n. 42, presso lo studio dell’avvocato Giorgianni Alessia,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Piras

Valentina Laura Gaia, Tedeschi Guido Uberto, giusta procura in calce

alla comparsa di costituzione;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore Dott.ssa

O.V., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Benvenuto Gianfranco, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12923/2015 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 17/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2022 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Con ricorso R.D. n. 267 del 1942, ex art. 98 C.A. e P.A.M. M.A.D. proposero opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) SRL, dinanzi al Tribunale di Milano, per conseguire la rivendica e la restituzione di beni mobili, di beni mobili registrati e del bene immobile “(OMISSIS)”, segnatamente chiedendo: i) la restituzione di tutti i beni mobili inventariati dal curatore e comunque presenti nel (OMISSIS); 2) la restituzione di tutti i libretti delle auto, delle automobili e di tutti i beni mobili inventariati dal curatore e comunque presenti nel (OMISSIS); iii) il trasferimento del “(OMISSIS)”, come identificato nel rogito del (OMISSIS), del Notaio G.F., con tutti i mobili presenti al suo interno.

In particolare, a seguito di tre distinte domande di rivendica avanzate dagli anzidetti opponenti, in data 23 aprile 2013 il giudice delegato, provvedendo a dichiarare esecutivo il primo stato passivo delle domande tardive, ebbe a disporre la restituzione di una serie di automezzi, escludendo la domanda per i restanti beni “in difetto di prova idonea dei fatti costitutivi del credito”.

Il Tribunale, decidendo sull’opposizione, ha dichiarato inammissibile la domanda di rivendica e di restituzione del bene immobile denominato “(OMISSIS)” (di seguito, anche il Castello) in quanto oggetto di un separato procedimento conclusosi con decreto di rigetto emesso in data 13 marzo 2014; ha, quindi, affermato l’infondatezza dell’opposizione concernente la rivendica dei beni mobili.

P.A.M. M.A.D. propone ricorso per cassazione con cinque mezzi, seguito da memoria. Il Fallimento (OMISSIS) SRL ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si deduce la nullità del procedimento di opposizione per violazione dell’art. 300 c.p.c., comma 2.

La censura riguarda la statuizione con cui è stato affermato che, all’udienza del 3 marzo 2015, nel corso della quale i procuratori degli opponenti avevano dichiarato l’avvenuto decesso di C.A. ((OMISSIS)), “non è stata dichiarata l’interruzione del processo per effetto del decesso di C.A. stante il disposto dell’art. 300 c.p.c., comma 5, in quanto l’evento si è verificato a seguito della remissione della causa al collegio con ordinanza emessa il 10 ottobre 2014” (fol. 3 del decr. imp.).

Secondo il ricorrente, invece, la remissione al collegio era avvenuta proprio all’udienza del 3 marzo 2015, tanto che dopo la dichiarazione del decesso, il Giudice relatore, dato atto di ciò, si era riservato di riferire al Collegio: ne trae la conseguenza che il processo avrebbe dovuto essere interrotto ex art. 300 c.p.c., comma 2. A parere del ricorrente, la mancata declaratoria di interruzione del processo gli aveva impedito di riassumere il giudizio quale erede in luogo della madre deceduta, con effetti non solo processuali, ma anche sostanziali.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Deve, invero, osservarsi al riguardo che – secondo il costante insegnamento di questa Corte – l’irregolare prosecuzione del giudizio, per l’inosservanza delle norme sull’interruzione del processo, essendo tali norme rivolte a tutelare la parte nei cui confronti si sia verificato l’evento interruttivo, può essere fatta valere soltanto dalla parte che da quell’evento può essere pregiudicata, e non dalle altre parti, le quali, non risentendo alcun pregiudizio da quell’omissione, non la possono dedurre come motivo di nullità del provvedimento giudiziario che, ciononostante, sia stato pronunciato (cfr. ex plurimis, Cass. 3929/1984; 6691/1994; 8641/1998; 12980/2002; 24025/2009; 4688/2011; 10964/2010, 17199/2016; 15031/2016; 18804/2021); ciò comporta che l’eventuale motivo di nullità verificatosi, in caso di interruzione conseguente al decesso di una delle parti, può essere dedotto solo dal suo erede.

Nel caso in esame, P.A. non è legittimato e non ha interesse a sollevare l’eccezione proposta in quanto ha agito in sede di legittimità in proprio, senza assumere la qualità di erede.

2.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 39 c.p.c. e del principio del ne bis in idem.

Il ricorrente sostiene che è erronea l’affermazione del Tribunale di Milano secondo la quale “Spetta pertanto a questo Tribunale entrare nel merito della questione relativa alla nullità del contratto di compravendita per asserita revoca della procura speciale conferita a Pa.Da. in data 12/4/2007” (fol. 4 del decr. imp.) perché come rammenta -, nel caso di specie, la proprietà del Castello era oggetto di altro giudizio – noto al Tribunale di Milano – volto ad accertare l’inesistenza, la nullità, l’inefficacia e la risoluzione del contratto di compravendita del Castello stipulato a fine (OMISSIS), introdotto dinnanzi al giudice ordinario con atto di citazione trascritto l’11 novembre 2009, pendente, all’esito del primo grado di giudizio, dinanzi alla Corte di appello di Torino; deduce, quindi, che due giudici non possono pronunciarsi sulla stessa domanda.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2652 e 2653 c.c. e del R.D. n. 267 del 1942, art. 45.

Il ricorrente sostiene che le domande proposte in sede giudiziaria e trascritte prima della dichiarazione di fallimento sono opponibili al fallimento ed ai creditori fallimentari.

Sulla scorta di ciò, assume la piena opponibilità al fallimento delle domande già ricordate con il secondo motivo, attualmente pendenti dinanzi alla Corte di appello Torino; ne trae, quindi, la conseguenza che la sentenza sulla proprietà dell’immobile emessa in quel giudizio sarà opponibile all’aggiudicatario del Castello, quando passerà in giudicato.

2.3. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 1724 c.c.

La censura è rivolta avverso l’affermazione del Tribunale secondo la quale la procura per la vendita del Castello sarebbe stata conferita dal committente mandante in concorso con sé stesso e anche in deroga all’art. 1395 c.c., con interpretazione al di fuori delle norme, del contesto e del tutto priva di logica interpretativa.

Il ricorrente riferisce che il Tribunale, nello statuire sul punto, si è basato sul precedente decreto del Tribunale di Milano n. 5780/2014 che critica, sostenendo che l’accertamento della revoca della procura non spettava al Tribunale di Milano per le ragioni già esposte con il secondo motivo. Assume, inoltre l’erroneità della decisione, espressa sia nel decreto oggetto del presente giudizio, che nel decreto n. 5780/2014, separatamente impugnato per cassazione, secondo la quale non ci sarebbe stata alcuna manifestazione di volontà da parte del mandante volta a revocare il mandato.

A parere del ricorrente il Tribunale avrebbe disapplicato, con interpretazione contraria alla lettera della norma, l’art. 1724 c.c. che definisce la revoca tacita.

2.4. I motivi secondo, terzo e quarto sono inammissibili per carenza di interesse.

2.5. Come già affermato, con consolidato principio, da questa Corte “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire.” (Cass. n. 15355/2010; cfr. Cass. n. 27151/2009; Cass. n. 2057/2019).

Sulle questioni prospettate, relative alla vendita ed alla effettiva proprietà del Castello, nonché alla revoca della procura rilasciata a Pa. nell’ambito dell’anzidetta operazione di vendita, si è formato il giudicato e non ricorre più l’interesse ad agire del ricorrente.

Invero, sono intervenute le sentenze della Suprema Corte che hanno definitivamente disatteso le domande proposte sulle medesime questioni dal ricorrente e coltivate nei giudizi a cui lo stesso più volte fa riferimento, segnatamente, confermando le decisioni di merito, circa l’avvenuta vendita del Castello (Cass. n. 14114/2021) e la insussistenza della revoca della procura rilasciata al Pa. (Cass. 19748/2017).

3.1. Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 1143,2729,2728 e 2702 c.c., oltre che l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

A parere del ricorrente la presunzione di proprietà dei beni interni al Castello non poteva operare in favore dell'(OMISSIS) perché la proprietà dell’immobile non è stata accertata e non era accertabile in sede fallimentare.

Aggiunge che la proprietà dei beni posti all’interno del Castello avrebbe dovuto essere accertata sulla base della situazione di fatto esistente al momento del fallimento e delle prove prodotte in istruttoria, che il Giudice relatore non aveva esaminato.

Si duole, inoltre, che il Collegio non abbia considerato che l'(OMISSIS) non aveva pagato il Castello, come provato dalla sentenza civile del Tribunale di Asti n. 647/2013 e dalla sentenza penale di condanna per bancarotta fraudolenta di Pa., che non aveva mai avuto il possesso né la consegna delle chiavi del Castello, rimasto ininterrottamente in possesso della famiglia P.A. dal (OMISSIS) fino alla consegna delle chiavi al curatore in data (OMISSIS).

Deduce, infine, che l’Immobiliare non aveva acquistato né le auto d’epoca, né i mobili di famiglia, come provato dalle scritture contabili a mani del curatore.

3.2. Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili proposti.

3.3. Innanzi tutto, va osservato che la censura non tiene conto del definitivo accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà del Castello da parte dell'(OMISSIS) prima della dichiarazione di fallimento, ex Cass. n. 14114/2021, e quindi della ricorrenza, ravvisata dal Tribunale, dei presupposti per applicare la presunzione di appartenenza dei beni mobili alla società fallita ex artt. 323,621 c.p.c. e art. 1141 c.c.

La censura non si confronta nemmeno con la decisione impugnata atteso che non considera che il Tribunale non ha ignorato le domande svolte, ma ha motivatamente statuito su tutte le questioni sottopostegli, disattendendole.

In particolare, il Tribunale ha illustrato le ragioni per cui non poteva ravvisarsi un possesso qualificato in capo agli opponenti, meri detentori del Castello e dei beni mobili ivi custoditi, e per cui le prove dedotte non potevano ritenersi rilevanti; e di tali statuizioni la censura non si fa carico attraverso specifiche deduzioni.

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 7.000,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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