Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7074 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. II, 24/03/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 24/03/2010), n.7074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26835-2004 proposto da:

T.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in OSTIA,

VIA ISOLA CAPO VERDE 26, presso lo studio dell’avvocato DI BENEDETTO

ALFONSO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

P.G. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 4787/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato DI BENEDETTO Alfonso, difensore della ricorrente che

ha chiesto di riportarsi alle conclusioni di cui agli atti

depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’aprile 2000, il tribunale di Roma, per quanto qui ancora interessa, accoglieva la domanda di risoluzione proposta da P.G. in ordine al preliminare intercorso con T. M., condannando quest’ultima alla restituzione della somma ricevuta a titolo di anticipo sul prezzo.

Proponeva appello la T., lamentando che il primo giudice non avesse provveduto ad adottare i provvedimenti conseguenti alla pronunciata risoluzione e segnatamente a disporre la restituzione dell’immobile oggetto del compromesso e la liquidazione di una indennità per l’occupazione dell’immobile stesso, ormai priva di titolo.

Con sentenza in data 26.9/13.11.2003, la Corte di appello di Roma respingeva l’impugnazione e regolava le spese osservando che i provvedimenti restitutori non potevano essere adottati dal giudice in mancanza di una specifica domanda della parte sul punto, carenza desumibile pianamente nel caso di specie dalle conclusioni rassegnate, e dalla dichiarata inammissibilità della proposta riconvenzionale concernente il pagamento dell’indennità di occupazione.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la T. sulla base di due motivi, mentre l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione delle disposizioni in materia di effetti della risoluzione del contratto; ci si duole della tesi, fatta propria della Corte capitolina, secondo cui in caso di risoluzione del contratto, come nella specie, il giudice non è autorizzato ad emettere i provvedimenti restitutori senza specifica domanda di parte in tal senso.

La doglianza si basa su di una giurisprudenza di questa Corte affermatasi, non senza contrasti, in senso contrario alla tesi posta a base del decisum e ne postula l’applicazione.

Questa Corte non disconosce che un siffatto orientamento abbia avuto, almeno fino al 1990, più applicazioni, ma non può ignorare che più recentemente si è consolidato un diverso convincimento, secondo cui la declaratoria di risoluzione del contratto, pur importando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c. l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori senza la domanda della parte interessata, la quale non può peraltro proporsi per la prima volta in appello, a pena di inammissibilità, rilevabile anche d’ufficio, trattandosi di domanda nuova rispetto a quella di risoluzione del contratto.

Essa infatti trova fondamento nelle norme sulla restituzione dell’indebito, e da luogo ad una pronuncia di condanna, diversamente dall’azione di risoluzione, che ha natura costitutiva (v. Cass. 18.6.1991, n 6880; 19.5.2003, n 7829; 20.10.2005, n 2057; 3.2.2006, n 2439; 2.2.222009, n 2562).

Come si vede, il principio su cui il ricordato orientamento è basato, trova fondamento nella corretta applicazione delle norme che regolano la natura dell’azione di risoluzione, che è costitutiva, e delle disposizioni che attengono alla restituzione dell’indebito, che da luogo ad un provvedimento di condanna, ed in ragione di tale ineccepibile differenziazione concettuale, deve essere condiviso con convinta adesione.

Il primo motivo pertanto non ha pregio e deve essere conseguentemente rigettato.

Con il secondo motivo si lamenta violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato; analizzando la posizione processuale assunta dalla controparte, si rileva che non v’era stata domanda alcuna volta ad ottenere l’assegnazione dell’immobile, cosa questa che integrerebbe il vizio denunciato, attesa la pronuncia adottata.

Il motivo è frutto di un evidente equivoco; la sentenza impugnata infatti non ha affatto assegnato alla P. l’immobile de quo, ma si è limitata ad affermare di non poterne disporre la restituzione alla T., in ragione della mancata proposizione di una domanda in tal senso.

La stessa sentenza non ha mancato di aggiungere che la stessa T. avrebbe potuto ottenere la restituzione dell’immobile in questione in altra sede, proponendo apposita domanda in tal senso.

Tanto dimostra, al di là di ogni improbabile interpretazione del dictum della Corte distrettuale, che non è stata adottata nè implicitamente nè tanto meno esplicitamente, alcuna pronuncia in tal senso.

Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso il ricorso.

Non v’ha luogo a provvedere sulle spese.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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