Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7073 del 20/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/03/2017, (ud. 16/02/2017, dep.20/03/2017),  n. 7073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15422/2014 proposto da:

M.F. e P.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato ENRICO VISCIANO;

– ricorrenti –

contro

COMUNE PALESTRO, ASSOCIAZIONE SILENZIOSI OPERAI DELLA CROCE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4432/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. M.F. ed P.A. hanno proposto ricorso per Cassazione contro il Comune di Palestro e l’Associazione Silenziosi Operai della Croce avverso la sentenza del 2 dicembre 2013, con la quale la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato inammissibile perchè proposto tardivamente, cioè oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., nel testo sostituito dalla L. n. 69 del 2009, l’appello da essi ricorrenti formulato contro la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Vigevano, che, in accoglimento della domanda proposta dal Comune e nel contraddittorio della detta associazione, quale chiamata in causa da parte degli stessi ricorrenti, li aveva condannati al rilascio di un immobile a titolo di restituzione iure commodati.

2. Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi.

3. Non v’è stata resistenza degli intimati.

4. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza ed è stata fissata con decreto l’adunanza della Corte. Il decreto è stato notificato all’avvocato dei ricorrenti, unitamente alla proposta del relatore.

5. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Il Collegio condivide la proposta del relatore.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e, conseguenti error juris ed error in procedendo nel percorso sillogistico adottato per la giustificazione della decisione”.

Con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4″.

2.1. Nel primo motivo si sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe escluso – valorizzando, in senso contrario a quanto invocato dai ricorrenti allora appellanti, il precedente di questa Corte, di cui a Cass. n. 28189 del 2008 – che il termine c.c. lungo per l’esercizio del diritto di impugnazione con l’appello fosse decorso dall’ordinanza di correzione di un errore materiale della sentenza di primo grado, relativo alla indicazione della terza chiamata con la denominazione “Associazione Silenziosi Operai della Pace”, anzichè con quella “Associazione Silenziosi Operai della Croce”.

L’errore si coglierebbe nel non avere la corte meneghina considerato che lo stesso Tribunale di Vigevano, nell’ordinanza di correzione, aveva rilevato che, in relazione alla circostanza del rinvenimento di nuova documentazione dopo la pronuncia della sentenza e particolarmente di un testamento, aveva osservato che “…. risulta evidente come non si tratti affatto di errori materiali, ma di circostanze valutate (rectius: valutabili) nell’ambito di un giudizio di appello o di revocazione

2.2. Con il secondo motivo, riprendendo il rilievo svolto nel primo, si sostiene che il giudice di primo grado aveva chiaramente individuato “la competenza a decidere e non si era limitato, nel giudizio espresso all’esito del procedimento di correzione dell’errore materiale a correggere l’errore, ma aveva dato chiara indicazione della modifica da effettuarsi dalla Corte territorialmente competente quale attività sol da questa da attuarsi in sua vece, in quanto questione che avrebbe potuto decidere diversamente, nel caso fosse stata messa a conoscenza del giudice per tempo”.

3. I due motivi – il primo dei quali anche se inteso (Cass. sez. un. n. 17931 del 2013), come suggerito dalla proposta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, paradigma che avrebbe dovuto evocare, in quanto si prospetta l’erronea applicazione delle norme sul procedimento che individuano il significato ed i limiti della statuizione di correzione degli errori materiali e del suo possibile rilievo ai fini del decorso del termie di impugnazione – possono trattarsi congiuntamente e sono manifestamente infondati.

Il riferimento, fatto nell’ordinanza di correzione, alla valutazione che dei nuovi documenti si sarebbe potuto fare ed ai giudici che avrebbero potuto farla, non solo è espressamente svolto, assumendosi che la relativa questione si collocava fuori dall’ambito dell’errore materiale, ma integra un rilievo assolutamente corretto: è sufficiente osservare che i giudici meneghini lo hanno fatto senza alcuna incidenza sul potere in concreto esercitato, che non ha riguardato le conseguenze che alla detta valutazione si sarebbero potuto annettere se il suo oggetto fosse stato da decidere e fosse stato deciso, ma si è espresso solo con la correzione dell’errore materiale.

Sicchè è del tutto privo di pregio l’assunto che quella valutazione fosse stata oggetto del decisum e, dunque, avesse rappresentato il risultato del provvedere espresso nell’ordinanza.

4. La prospettazione espressa con il secondo motivo cade di riflesso, non senza che debba rilevarsene anche la singolarità nel sostenere che, ai fini della valutazione della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnare con l’appello, potesse incidere quella che impropriamente si dice “competenza”, individuata dal giudice della correzione, per il possibile esame dei nuovi documenti, cioè il preteso opinamento che i documenti sarebbero stati rilevanti e decisivi davanti al giudice che eventualmente si sarebbe potuto investire del loro esame con la revocazione (piuttosto che con l’appello).

La Corte territoriale, in definitiva, ha fatto esatta applicazione, in un caso che non si presentava in alcun modo problematico, del principio di diritto richiamato, del resto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 21185 del 2014, ex multis), posto che, l’oggetto dell’esercitato potere correttivo, cioè l’erronea indicazione, nella denominazione dell’associazione terza chiamata, dell’ultima parola che la componeva, non lasciava certamente dubbi sull’effettiva riferibilità ad essa della decisione, e considerato che, pertanto, in alcun modo all’effettiva statuizione della sentenza corretta la correzione apportava alcunchè che giustificasse un nuovo decorso del termine per appellare.

5. Gli svolti rilievi sono più che sufficienti, per la loro decisività, ad evidenziare l’assoluta inconsistenza degli argomenti svolti nella memoria, atteso che essi ne prescindono e, peraltro, si muovono nella stessa logica, palesemente erronea, che i rilievi stessi hanno evidenziato essere propria dei due motivi.

6. Il ricorso è rigettato.

La manifesta infondatezza rende irrilevante il problema derivante dal fatto che il ricorso è stato notificato al Comune presso un difensore domiciliatario diverso da quello indicato dalla sentenza impugnata.

Problema su cui la memoria interloquisce, ma in modo inidoneo, atteso che allude alla costituzione di un nuovo difensore, senza individuare come e dove sarebbe avvenuta e dicendola motivata da un misterioso conflitto di interessi.

6. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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