Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7073 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 7073 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 22658-2011 proposto da:
RESIDENZIALE DUCALE DI VITTORIANO GATTI & C. S.A.S.
(p.i. 00354900364), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso l’avvocato GUIDO
FRANCESCO ROMANELLI, che la rappresenta e difende
2016
440

unitamente all’avvocato ROLANDO PINI, giusta procura
in calce al ricorso;
– ricorrente contro

COMUNE

DI

CASTELLARANO;

Data pubblicazione: 11/04/2016

- intimato –

Nonché da:
COMUNE DI CASTELLARANO, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
BRUNO BUOZZI 87, presso l’avvocato MASSIMO COLARIZI,

e

PAOLO

difeso dàll’svvocto

COLI,

qiugta procura a margine del controricorso e rinorgn
incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

RESIDENZIALE DUCALE DI VITTORIANO GATTI & C. S.A.S.
(p.i. 00354900364), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso l’avvocato GUIDO
FRANCESCO ROMANELLI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ROLANDO PINI, giusta procura
in calce al controricorso al ricorso incidentale;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 673/2011 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 25/05/2011;

rappresentato

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2016 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato G.F. ROMANELLI
che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;
udito,

per

il

controricorrente

e

ricorrente

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incidentale, l’Avvocato F. MOZZILLO, con delega, che
si riporta per il rigetto del ricorso principale:
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per

il rigetto di entrambi i ricorsi.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune di Castellarano propose alla Corte d’Appello di
Bologna opposizione alla determinazione, ritenuta eccessiva,

un’area estesa ha 14.49.84, di proprietà della Società Residenziale
Ducale S.a.s di Gatti Vittoriano & C., liquidata tenendo conto del
bacino artificiale, dell’impianto di irrigazione e dei capannoni
avicoli, su di essa insistenti, nonchè della riduzione di valore
della porzione residua.
Con sentenza del 25.5.2011, la Corte adita rideterminò il
dovuto, ritenendo che: a) il lago artificiale non aveva natura
demaniale, non essendo intervenuta la modificazione del bene
pubblico e cioè del Rio San Valentino, sicchè la relativa supericie
andava indennizzata; b) non spettava l’indennizzo in riferimento
al predetto invaso ed all’impianto di irrigazione, la cui struttura,
in assenza di concessione all’uso delle acque del predetto fiume,
doveva ritenersi realizzata abusivamente; c) il danno subito dalla
residua proprietà non era documentato, tenuto conto che non
poteva considerarsi la perdita della natura irrigua, per la natura
abusiva dell’impianto d’irrigazione, che i vigneti perduti
insistevano sulla superficie espropriata, ed erano compensati dalla
relativa indennità, che il fondo residuo, di forma compatta, era
dotato di accesso alla pubblica via, nonché di proprie attrezzature
e fabbricati adibiti all’esercizio dell’impresa agricola, e che il
maggior costo di gestione non era motivato nè quantificato; d) i

delle indennità di occupazione temporanea e di espropriazione di

capannoni avicoli insistenti sulla superficie espropriata era stati
soprastimati dal CTU, sia quanto a dimensioni, essendo stata
computata anche l’estensione superiore a quella oggetto di

unitario, eccessivo in riferimento alle condizioni dei due immobili
ed ai costi necessari per il loro recupero, sicché gli stessi
andavano computati, come da CTP del Comune, in relazione al
costo di costruzione “vetustato in base allo stato di
conservazione”.
Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso la
Società Residenziale Ducale S.a.s di Gatti Vittoriano & C., con
tre motivi, illustrati da memoria, ai quali Comune di Castellarano
ha resistito con controricorso, con cui ha proposto ricorso
incidentale, con un mezzo, resistito con controricorso della
Società.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, la ricorrente principale censura la
statuizione sub b) di parte narrativa, per violazione e falsa
applicazione della L. n. 765 del 1967 e dell’art. 40 della L. n. 47
del 1985, oltre che per vizio di motivazione. La Corte territoriale,
afferma la ricorrente, ha confuso la mancanza di concessione per
la derivazione delle acque pubbliche, in effetti insussistente, con
la realizzazione dell’invaso e delle infrastrutture, che era, invece,
stata assentita, come ammesso ex adverso. La ricorrente aggiunge
che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 10 della c.d. legge

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licenza edilizia, sia nella determinazione del relativo valore

ponte, che ha modificato l’art. 31 della L n. 1150 del 1942, per
realizzare costruzioni fuori dal centro abitato non era necessaria
la licenza edilizia, rilevando che la derivazione di acqua pubblica

costituisce un illecito amministrativo e non un abuso edilizio.
2. Col secondo mezzo, si censura la statuizione sub c) della
narrativa, per violazione e falsa applicazione degli artt. 40 della
L. n. 2359 del 1865 e 15 della L. n. 865 del 1971 e vizio di
motivazione. La ricorrente lamenta che l’impugnata sentenza
discostandosi immotivatamente dalle argomentate conclusioni
assunte dal CTU, ha escluso la sussistenza dei presupposti per il
criterio differenziale relativo all’espropriazione parziale,
omettendo di considerare che: l’impianto irriguo non poteva
ritenersi abusivo, era stata modificata la gestione complessiva del
fondo ed andava computato il deprezzamento per la perdita delle
vigne, che derivava “non dalla perdita dell’area adibita a tale
coltivazione e assoggettata ad esproprio, bensì dalla perdita del
valore aggiunto (quale valore intrinseco del fondo agricolo nel
suo complesso) che derivava all’azienda agricola per la presenza
di vigneti di considerevole qualità”. Pertanto, ai sensi delle
invocate norme, l’indennità deve includere il ristoro del
pregiudizio subìto dall’azienda nel suo complesso, per effetto del
provvedimento ablativo.
3. Col terzo motivo, la ricorrente deduce che, in relazione
alla statuizione sub d) della narrativa, la Corte territoriale è

3

in assenza di provvedimento di autorizzazione o concessione

incorsa in vizio di motivazione, in quanto il CTU non aveva
computato superfici superiori rispetto a quelle oggetto di licenza
edilizia (mq. 1856), e non poteva addebitarsi alla proprietà il

in sicurezza dei materiali ivi presenti. Inoltre, continua la
ricorrente, la Corte territoriale ha riconosciuto per indennità di
occupazione temporanea una somma ridotta rispetto a quella
calcolata dal CTU, immotivatamente non considerando
l’indennità per “l’occupazione temporanea delle c.d.
sovrastrutture esistenti in loco”,
4. Col proposto ricorso incidentale il Comune censura la
statuizione sub a) della narrativa, per violazione degli artt. 943,
812, 822, 823 e 934 cc; della L n. 36 del 1994 e della L n. 765 del
1967, oltre che per vizio di motivazione. La natura non demaniale
dell’alveo, afferma il ricorrente incidentale, è stata affermata
senza tener conto che il lago è stato creato mediante lo
sbarramento di un corso d’acqua pubblico ed il conseguente
allagamento delle aree circostanti, aree costituenti, dunque,
l’alveo del torrente, e perciò demaniali, rispetto alle quali non
compete alcuna indennità. Il relativo accertamento, prosegue il
Comune, dovrà essere accertato dal Tribunale Regionale delle
Acque Pubbliche, competente a conoscere della questione relativa
alla demanialità dell’invaso.
5. Il ricorso incidentale che va esaminato con priorità
rispetto al primo motivo del ricorso principale, è infondato. 5.1.

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costo per la demolizione della struttura espropriata e per la messa

La Corte territoriale, pur affermando incidentalmente che la
superficie del bacino artificiale era privata e non demaniale, ha
determinato il dovuto in riferimento alle aree contemplate nel

indennitario. Ed infatti, il giudizio d’opposizione alla stima
amministrativa di terreni espropriati si svolge tra l’espropriante e
l’espropriato, e quest’ultimo va identificato in riferimento a colui
che sia indicato negli atti del procedimento ablatorio come
proprietario del fondo e, quindi, come titolare del credito
indennitario, mentre non sono necessarie allegazioni o prove in
ordine alla titolarità del diritto di proprietà, vertendosi in tema di
tutela di posizioni ereditarie, e non di rivendicazione o,
comunque, di azioni di natura reale. 5.2. Nella specie, il Comune
che, com’è incontroverso, ha condotto il procedimento
espropriativo nei confronti della Società ricorrente, l’ha citata in
giudizio proponendo opposizione alla stima, chiedendo per tutti i
fondi la determinazione dell’indennizzo in base ai valori agricoli
medi (escluso ogni indennizzo per lo “smantellamento
dell’impianto idrico e del bacino artificiale”, come si legge nelle
conclusioni riportate nella sentenza), afferma ora che una
porzione dell’area espropriata non sarebbe indennizzabile perché
di natura demaniale. 5.3. Ma, a parte che, ove il lago artificiale
costituisse realmente un bene demaniale, non potrebbe
riconoscersi, a monte, in capo al Comune il potere d’espropriarlo
per la realizzazione del parco urbano cittadino (art. 823, 1° co, cc)

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decreto di espropriazione, che costituisce il titolo del credito

e, dunque la legittimazione a proporre, in parte qua, il presente
giudizio, occorre rilevare che il rischio che Pespropriante
implicitamente paventa di effettuare un pagamento indebito è

seguito del procedimento espropriativo, il legislatore ha previsto
una forma tipica di adempimento che è quella del deposito delle
stesse presso la Cassa depositi e prestiti (L. n. 2359 del 1865, art.
49 L. n. 865 del 1971, artt. 12 e com’è pacifico artt 15 e 16 della
stessa legge), che ha effetti pienamente liberatori per
l’espropriante (Cass. 25662 del 2006; 5560/2004; 1125/1995).
Senza considerare che nessuna questione di demanialità può porsi
in relazione ad un invaso artificiale costruito su suolo privato,
circondato da terreni privati, peraltro senza apportare modifiche
alla conformazione strutturale (alveo) del bacino d’acqua
demaniale di alimentazione: qui, solo, ipotizzato in contrasto con
quanto affermato in sede di merito (Cass.1379/2012; sez.un.
1552/2002).
6. Il primo motivo del ricorso principale è infondato: la
Corte territoriale ha escluso l’indennizzo per l’invaso artificiale
ed il relativo impianto di distribuzione, ritenendolo abusivo, nella
pacifica assenza di concessione di derivazione dell’acqua, e
perciò in relazione alla sua funzione. 6.1. Il ricorrente che pur
pone l’accento sul valore, in sé, della struttura realizzata sul suolo
poi espropriato, omette, tuttavia, non solo, di indicare quali
manufatti abbia in realtà costruito, ma, soprattutto, non riferisce,

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scongiurato dal fatto che, in riferimento alle indennità dovute a

in alcun modo, quando la costruzione che ospita il lago artificiale
sia stata concretamente effettuata, così precludendo ogni
delibazione circa la legittimità del manufatto, e circa la relativa

come ipotizza la ricorrente, la comunicazione al Genio Civile del
2.4.1965, trascritta da entrambe le parti (con finalità opposte),
perché relativa ad un “progetto”, e non alla relativa esecuzione,
per di più riferito alla costruzione di ben “due laghetti collinari”,
quando invece l’espropriazione, l’indennizzo ed il dibattito
processuale riguardano un solo bacino artificiale. 6.2. Peraltro, la
Società ricorrente finisce col chiedere la somma stimata dal CTU
-che, nel valutare l’invaso e le strutture, ha computato la
funzionalità irrigua- senza indicare la relativa plusvalenza rispetto
al valore del suolo, su cui il lago artificiale è stato realizzato e che
è stato computato in sede d’indennizzo, e senza allegare se
l’impianto d’irrigazione fosse dislocabile altrove, tenuto conto, al
riguardo, che, a norma dell’art. 43 della L. n. 2359 del 1865, i
beni amovibili non sono giammai indennizzabili, dato che, a
norma dell’art. 1 della medesima legge, l’espropriazione ha per
oggetto “beni immobili o diritti relativi ad immobili” e non anche
beni mobili e quanto non costituisce stabile accessione del fondo,
beni che continuano, appunto, ad appartenere a chi ne era in
precedenza proprietario (Cass. n. 12007 del 2005; n. 9378 del
2011; Cass. SU n. 5609 del 1998).

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indennizzabilità. Non può, infatti, ritenersi al riguardo dirimente,

7. Anche il secondo motivo del ricorso principale è
infondato. 7.1. Ai fini dell’applicazione del criterio differenziale
di determinazione dell’indennità di cui all’art. 40 della L. n. 2359

estensione di una proprietà agricola, come mostra di ritenere la
ricorrente, ma è necessario che ricorrano le condizioni previste
dall’invocato art. 40, e cioè la preesistenza di un rapporto di unità
funzionale (per ubicazione e destinazione) fra la parte espropriata
e quelle residue e la negativa influenza del distacco della prima
sulle porzioni residue, per effetto dello smembramento
dell’originario compendio unitario e della conseguente
impossibilità di realizzarne la funzione originaria. 7.2. Val bene
precisare che in ipotesi di espropriazione parziale, l’invocato art.
15 della L. n. 865 del 1971, non si differenziava, quanto ai suoi
presupposti, dalla disposizione della legge fondamentale, avendo,
piuttosto, consentito, nell’interpretazione di questa Corte (Cass.
n. 23967 del 2010 e massime ivi richiamate), di ristorare il
pregiudizio, ulteriore rispetto a quello indennizzato mediante i
VAM, subìto dall’azienda agricola anche quando il terreno su cui
la stessa insisteva fosse stato interamente espropriato. Va
aggiunto, per completezza, che la sentenza della Corte Cost. n.
181 del 2011, che ha dichiarato l’illegittimità della menzionata
disposizione, ha fatto salvo il comma 1 dell’art. 40 del TU n. 327
del 2001 secondo cui l’indennità di un’area non edificabile
coltivata va determinata in base al criterio del valore agricolo

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del 1865 non è infatti sufficiente che non sia espropriata l’intera

(venale e non tabellare), tenendo conto delle colture
effettivamente praticate e del valore dei manufatti edilizi
legittimamente realizzati, “anche in relazione all’esercizio

7.3. Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto
insussistenti i presupposti indicati nel precedenti punti per il
criterio differenziale relativo all’espropriazione parziale del
fondo, anche in riferimento all’azienda agricola, escludendo, in
concreto, l’esistenza dell’originaria unità funzionale dell’intera
proprietà, estesa complessivamente ha 45.63.07, in ragione della
ritenuta insussistenza degli elementi addotti al riguardo dal CTU
(assenza del carattere irriguo dei fondi, di maggiori costi di
conduzione, indennizzo per la perdita dei vigneti, ricadenti nella
porzione ablata), e per le positive connotazioni e dotazioni di
quella residua (autonomamente fruibile per l’esercizio
dell’impresa agricola). A fronte di tale accertamento di fatto, la
ricorrente continua a far leva sugli stessi elementi ritenuti
insussistenti dalla Corte territoriale, genericamente sostenendo
esser stati indicati “a titolo esemplificativo”, incorrendo in una
petizione di principio (la riduzione di valore del residuo per la
perdita dei vigneti presuppone l’unicità funzionale) ed imputando
alla sentenza la contraddizione in cui, invece, è caduta la
consulenza da lei richiamata (che da una parte afferma la
sussistenza di maggiori costi di conduzione dell’azienda e
dall’altra non li indica neppure), di talchè la censura, sotto le

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dell’azienda agricola”.

mentite spoglie del vizio di motivazione, si sostanzia in
un’inammissibile richiesta di diverso apprezzamento dei dati
fattuali addotti a sostegno dell’invocata esistenza di un rapporto

al giudice del merito ed inammissibile in sede di legittimità.
8. Il terzo motivo è inammissibile: la valutazione dei due
capannoni, operata dalla Corte territoriale in dissenso rispetto a
quella del CTU, non si fonda, solo, sul dato relativo alla
superficie legittimamente edificata (pacificamente computata per
l’intero), ma tiene, anche, conto delle condizioni dei due
immobili, in riferimento alla loro vetustà, come si desume dalla
valutazione dei costi per il loro risanamento o per la loro
demolizione (in tal senso va letto l’inciso relativo alla presenza di
eternit dalle coperture, ed al costo della relativa dismissione),
sicché il motivo non coglie l’essenza della valutazione e si
risolve, anche in questo caso, con un’inammissibile richiesta di
nuova valutazione degli elementi di fatto. 8.1. La doglianza
relativa al mancato riconoscimento dell’indennità di occupazione
delle c.d. “sovrastrutture” è del tutto criptica, non essendo
neppure stato chiarito in cosa esse consistano ed il titolo
indennitario che dovrebbe legittimarne la liquidazione.
9. In considerazione della reciproca soccombenza, le spese
vanno compensate tra le parti.
PQM

lo

di unità funzionale dell’intera proprietà, rimesso in via esclusiva

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2016.

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