Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7073 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. un., 03/03/2022, (ud. 22/02/2022, dep. 03/03/2022), n.7073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. PATTI Adriano – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso n. 22588-2021 proposto da:

B.G., rappr. e dif. dall’avv. Raffaele Fuiano,

raffaelefuiano.pec.avvocati.prato.it, elett. dom. in Roma, presso

MBE774 avv. Francesco Malfarà, via Nomentana n. 681/D-001, come da

procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TORINO;

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

per la cassazione, previa sospensione, della sentenza del Consiglio

Nazionale Forense 17.7.2021, R.D. n. 166 del 2021, in RG 260/18;

vista la memoria del ricorrente;

letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, in persona

dell’Avvocato Generale dott. Salzano Francesco, che ha concluso per

il rigetto del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella udienza del 22 febbraio

2022 dal consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.G., impugna la sentenza del Consiglio Nazionale Forense 17.7.2021, R.D. n. 166 del 2021, in RG 260/18 che ha rigettato il suo ricorso avverso la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina di Torino del 6.2.2018 che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo degli avvocati.

La sentenza impugnata ha premesso che: a) il giudizio disciplinare a carico del ricorrente, promosso avanti al Consiglio distrettuale di disciplina di Torino [CDD] su richiesta di più soggetti con cui l’avvocato B. aveva avuto rapporti professionali, procedeva per 19 capi d’incolpazione (di cui 6 sopravvissuti in termini di affermata responsabilità disciplinare), a seguito di 11 ricorsi riuniti; b) al contempo il medesimo professionista era sottoposto a procedimento penale per più ipotesi di reato, in concorso ed in continuità e anche per tentativo, ai sensi dell’art. 640 c.p., n. 2 c.p., art. 380 c.p. (secondo 28 capi d’imputazione e a seguito di denunce subite da terzi); c) il procedimento penale veniva definito con condanna in primo grado (ad anni 3, mesi 4 e giorni 20 e multa) da parte del Tribunale di Torino per capi d’imputazione corrispondenti ad altrettanti capi d’incolpazione, nonché pronuncia interdittiva della professione per anni 2, mesi 11 e giorni 20 e dai pubblici uffici per anni 5, con revoca della sospensione condizionale della pena già concessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. per altra vicenda; d) la responsabilità disciplinare veniva dunque dal CDD affermata i) (quanto al fasc. n. 1145/2015) per avere il ricorrente ritirato dalla cancelleria 24 cambiali di facciali 2.350 Euro senza consegnarle alla parte assistita e formato una dichiarazione apertura licitazione privata spendendo abusivamente nel documento (e firmandosi con) il nome di un soggetto, per l’incarico di vendita di veicoli in un fallimento; ii) (quanto ai fasc. nn. 1231/2015 e 1342/2015) per aver riferito ad un proprio assistito circostanze non corrispondenti all’andamento e all’esito del relativo giudizio civile, inducendo il cliente a rivolgersi direttamente al giudice per conoscere la sorte di un preteso mancato bonifico a suo favore, mentre la domanda giudiziale era stata respinta per improcedibilità; iii) (quanto al fasc. n. 1282/2015) per avere il ricorrente incamerato somme, prospettando un redditizio investimento finanziario con restituzione maggiorata di interessi invece mai avvenuta e così formando documentazione bancaria non veritiera; iv) (quanto al fasc. 1294/2015) per avere conseguito ulteriori somme per investimenti in mercati finanziari con promessa di restituzione redditizia delle stesse senza restituzione di nulla, precostituendo nei committenti (persone fisiche) una situazione di fiducia nelle operazioni e così indicando un terzo che avrebbe provveduto al ritiro dei depositi investiti, senza esito; v) (quanto al fasc. n. 1310/2015) per avere l’avvocato B. accettato l’incarico di consulenza fiscale di una società, facendosi consegnare somme destinate a pagamenti dei relativi debiti, invece non eseguendo il mandato ed appropriandosi delle somme, informando i clienti di una definizione anche del giudizio penale ad essi proprio in realtà non veritiera.

2. Secondo la ricostruzione del CNF, il CDD torinese aveva giustificato la radiazione riconoscendo la veridicità degli addebiti in quanto:

(i) la mancata restituzione delle cambiali risultava dalla deposizione del cliente, così com’era falsa la scrittura, mai emessa, della licitazione privata;

(ii) non aveva trovato convincente smentita – ed appariva anzi inverosimile la versione contraria esposta dall’avvocato – la circostanza delle false informazioni trasmesse al cliente circa l’esito della controversia con invito a rivolgersi direttamente al giudice per conoscere la sorte di un risarcimento invero mai disposto dalla controparte, invece vincitrice in giudizio; (iii) e (iv) l’avvocato B. di fatto aveva ammesso di aver operato come un broker, raccogliendo disponibilità liquide da clienti e promettendo investimenti, anche con ricorso a società inesistenti e non restituendo nulla; (v) l’avvocato B. aveva assunto l’incarico di sistemare pendenze fiscali, in costanza di procedimento penale pendente a carico del cliente, in realtà non occupandosene e trattenendo le somme incamerate fiduciariamente allo scopo. La conseguente affermazione di responsabilità era motivata sulla scorta delle denunce e delle dichiarazioni rese dagli stessi clienti, delle stesse parziali ammissioni in giudizio dell’incolpato, della documentazione non genuina prodotta dal medesimo, della scarsa collaborazione istruttoria, della reiterazione degli illeciti. L’irrogazione della sanzione della radiazione trovava il suo fondamento nella gravità dei fatti e nella pluralità delle condotte accertate.

3. Il CNF, sui motivi di ricorso, ha ritenuto: a) infondata la eccezione di nullità del procedimento per difetto di audizione nel proc. disc. n. 1310/2015 (sub iv) non avendo il ricorrente specificato le circostanze di dedotto rifiuto del CDD a fronte di eventuale richiesta, posto che tutti i procedimenti disciplinari risultavano essere stati riuniti in trattazione, le udienze con le deposizioni dei clienti autori degli esposti ben potevano essere partecipate dall’avvocato, dichiaratosi assente e all’estero per non documentate attività formative ed infine era agli atti la possibilità di difesa finale concretamente assicurata all’incolpato; b) le restanti censure, vertenti sul merito e la selezione probatoria del materiale istruttorio quale operata dal CDD, contrastano con l’ampiezza degli elementi a fondamento della responsabilità, basata sulla puntualità delle denunce e dei testi, la non contestazione degli importi (di terzi) maneggiati e non restituiti, la parziale ammissione di taluni fatti, la mancata prova in altri di aver agito come ‘conoscente’ degli investitori e non invece come legale, così assumendo una condotta di violazione del più generale dovere di correttezza che il professionista è tenuto a mantenere in ogni occasione, per l’affidamento di cui è destinatario; c) rilevante appare la condanna penale per fatti d’imputazione coincidenti con 4 capi d’incolpazione, della cui impugnazione non è stata offerta la prova, oltre che in relazione a condanna del Tribunale di Torino anche per altri fatti, ancora commessi nella veste di avvocato per patrocinio infedele, truffa e tentata truffa; d) gravi e numerosi i fatti addebitati, abituali nella violazione delle regole deontologiche come comprovato dalla pregressa pronunzia nei suoi confronti di sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p..

4. L’avvocato B.G. chiede, in tre motivi, la cassazione della sentenza impugnata, previa sospensione della stessa, con illustrazione finale in memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo enuncia il vizio di eccesso di potere e violazione di legge ai sensi della L. n. 247 del 2012, artt. 34 – 36, art. 56 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, art. 112 c.p.c., oltre che dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo erroneamente il CNF conferito rilevanza, nel giudizio di colpevolezza e di congruità della sanzione, anche a fatti diversi da quelli rubricati tra gli illeciti disciplinari, in particolare aggiungendo quelli per i quali il Tribunale torinese aveva inflitto una condanna penale all’avvocato stesso, peraltro con decisione ancora non definitiva stante l’appello interposto e per di più posteriore alla pronuncia del CDD; ne derivava, con l’estraneità degli addebiti, l’eccesso nella sentenza del CNF dai limiti di indagine e decisione, con nullità della confermata condanna disciplinare.

2. Con il secondo motivo s’invoca la violazione degli artt. 22 e 24 regolamento 21 febbraio 2014, n. 2, con violazione del diritto di difesa e ancora vizio di motivazione, perché il procedimento non ha assicurato l’audizione dell’incolpato, benché richiesta, non potendosi dire tale diritto soddisfatto con la mera partecipazione alla discussione finale; si deduce altresì vizio della motivazione in ordine alle testimonianze rese sul punto q) del capo d’incolpazione.

3. Il terzo motivo deduce l’eccesso di potere e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il CNF omesso di dare rilievo, per i capi d’incolpazione A) e G), a documenti come il deposito telematico del ricorso monitorio e le cambiali, nonché la risultanza della lettura della sentenza in presenza della stessa parte poi denunciante, oltre che all’archiviazione della relativa denunzia penale, ciò determinando distonia rispetto alla pronuncia disciplinare sugli stessi fatti.

4. Le Sezioni Unite ritengono innanzitutto che vada respinta l’istanza di sospensione della sentenza impugnata; è vero infatti che l’istanza di sospensione della esecutorietà della decisione adottata dal Consiglio nazionale forense può essere contenuta nel ricorso proposto, avverso quest’ultima, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ma sempre che l’istanza stessa “abbia una sua autonoma motivazione e sia riconoscibile quale istanza cautelare, atteso che la L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, “prevede solo l’istanza di parte per l’esercizio di tale prerogativa (Cass. S.U. 6967/2017); nella specie, la sospensiva non appare eccedere la intestazione denominativa dell’atto, non rinvenendosi motivi di protezione interinale ed urgente altrimenti e meglio declinati nel corpo del ricorso.

5. Il primo motivo è inammissibile, nei plurimi profili in cui appare articolato. Rileva in primo luogo il Collegio che non appare essere stato adeguatamente censurato l’accertamento del CNF di difetto di documentata proposizione, ad opera del ricorrente, di effettiva impugnazione avverso la sentenza penale torinese di condanna in primo grado, circostanza che pregiudica un esame di decisività della rispettiva doglianza, nella presente sede del tutto priva di autosufficienza anche solo descrittiva di una alternativa ricostruzione della vicenda e di come essa sia stata ritualmente introdotta avanti al giudice disciplinare. Sul punto, questa Corte ha precisato che l’art. 112 c.p.c. postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che “tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto… il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi” (così, da ultimo, Cass. 28072/2021).

6. Per altro verso, la censura appare eccentrica rispetto alla più complessa ratio decidendi confermativa della condanna, avendo il CNF valorizzato in modo coordinato una pluralità di elementi storici e fonti di convincimento, senza che la sentenza penale di condanna anche per fatti non completamente riprodotti tra i capi d’incolpazione vi abbia assunto portata assorbente; essa infatti appare evidenziata non solo tra le molteplici fonti di prova, ma altresì in relazione ai fatti che vi hanno trovato dibattito, con pieno contraddittorio processuale e così accertamento; tant’e’ che, come ricordato anche dal Procuratore generale, è principio in tema la legittimità della raccolta, da parte degli organi disciplinari forensi, di informazioni e documentazioni nel corso della fase istruttoria, stante la preclusione a conoscerne solo ove si tratti di atti istruttori compiuti prima della comunicazione dell’apertura del procedimento disciplinare all’interessato, alla stregua di una precisazione, per quell’ipotesi in chiave di “nullità”, che queste Sezioni Unite hanno formulato con riguardo alla portata del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 47, comma 1 (Cass. S.U. 737/2015).

7. Nella materia, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della considerazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (Cass. S.U. 20344/2018). Infatti, deve escludersi che sia affetta da anomalia motivazionale – già ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) – la sentenza del C.N. F. che, a fronte di una condotta del professionista consistente in più atti di abuso della fiducia dei clienti e nell’esercizio della propria attività professionale o comunque con la spendita di tale ruolo abbia applicato la sanzione della radiazione dall’albo, avuto riguardo, per un verso, alla accertata “violazione dei fondamentali doveri professionali connessa con l’assunzione di iniziative connotate da malafede e colpa grave” e, per altro verso, alla entità dei vantaggi patrimoniali conseguiti, alla pluralità delle azioni, alla gravità del pregiudizio provocato alla controparte e all’immagine della categoria, nonché, infine, al contegno successivo all’illecito, anche nella specie nemmeno tradottosi nella provata restituzione del denaro indebitamente ricevuto (Cass. S.U. 30868/2018). Non può, dunque, dirsi che la sentenza sia affetta da anomalia insanabile o da motivazione apparente (Cass. S.U. 42090/2021).

8. Va poi ribadito che non opera in materia il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, per cui non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l’enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente quelli di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza di cui all’art. 9 del nuovo codice deontologico forense che, quale “norma di chiusura”, consente, mediante la L. n. 247 del 2012, art. 3, comma 3, di contestare l’illecito anche solo sulla base di tale previsione precettiva, evitando che la mancata descrizione di uno o più comportamenti, e della relativa sanzione, generi immunità (Cass. S.U. 37550/2021). Ne’ sussiste in forma rigida un principio di corrispondenza tra addebito contestato e decisione disciplinare, trattandosi piuttosto di una “correlazione” che non rileva in termini puramente formali, “rispondendo all’esigenza di garantire pienezza ed effettività del contraddittorio sul contenuto dell’accusa e di evitare che l’incolpato sia condannato per un fatto rispetto al quale non abbia potuto esplicare difesa”, ciò che conta non essendo in sé la qualificazione giuridica dell’incolpazione, “che non determina alcuna lesione del diritto di difesa ove siano rimasti immutati gli elementi essenziali della materialità del fatto addebitato” (così Cass. S.U. 31572/2021, a conferma 11024/2014).

9. Il secondo motivo è inammissibile. In primo luogo, la censura presenta il medesimo limite di non specificità redazionale e riassuntiva dei fatti processuali, ove il ricorrente ha evitato di riprodurre gli elementi istruttori (id est, il verbale testimoniale) per la parte decisiva ai fini dell’accertamento dell’illecito, né ha dedotto prove alternative immotivatamente escluse dal CNF sulle medesime circostanze, limitandosi a contrapporre un vizio procedimentale di mancata audizione a sola ragione di contrasto di tale fonte di prova. In ogni caso, ed in secondo luogo, il motivo non si confronta con la specifica affermazione, propria della sentenza, di pieno rispetto del contraddittorio, non solo segnato – come riduttivamente esposto dalla parte – dalla piena partecipazione alla fase finale di discussione, ma altresì garantito all’avvocato B. anche per le fasi precedenti, cui il ricorrente appare essersi volontariamente sottratto; la insussistenza del dedotto impedimento, diffusamente motivata in sentenza, non è stata oggetto di alcuna puntuale contestazione, né è stata specificamente lamentata la mancata valutazione di elementi decisivi che, ove esaminati, avrebbero condotto ad un diverso epilogo decisorio.

10. La relativa irrilevanza, d’altro canto, emerge dal confronto con il principio, applicabile in materia, per cui nel giudizio disciplinare dinanzi al Consiglio Nazionale Forense “l’incolpato ha diritto ad ottenere il rinvio dell’udienza in presenza di una situazione di legittimo impedimento a comparire ai sensi dell’art. 420-ter c.p.p., tale dovendosi, però, considerare solo un impedimento assoluto a comparire e non una qualsiasi situazione di difficoltà” (Cass. S.U. 24377/2020).

11. Il terzo motivo è inammissibile, difettando di analoga specificità ove non riporta, almeno per tratti essenziali, il contenuto dei documenti di cui assume la mancata considerazione, avendo poi trascurato di indicarne la decisività ai fini della più ampia ricostruzione dei fatti contemplati nel capo d’incolpazione, verifica critica che “la Corte di cassazione dev’essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 28336/2011).

Gli stessi fatti appaiono inoltre accertati dal CNF sia conferendo maggiore rilievo alle dichiarazioni precise dell’esponente-denunziante (mancata restituzione delle cambiali al cliente), sia riferendosi ad una fattispecie molto più articolata e grave (falsa rappresentazione di un esito favorevole del giudizio e induzione del cliente a chiedere conto direttamente al giudice del mancato pagamento di una somma risarcitoria mai giudizialmente disposta). La genericità della censura integra, dunque, autonoma e additiva ragione di inammissibilità.

12. Il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese del procedimento, avuto riguardo alla mancata costituzione del CDD torinese; ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione (Cass. S.U. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA