Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7071 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/03/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 12/03/2021), n.7071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1204-2020 proposto da:

O.R., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MASSIMO CARLO SEREGNI, TIZIANA ARESI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 8590/2019 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 31/10/2019 R.G.N. 30935/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Milano, con provvedimento n. 8590 il 31.10.2019, ha rigettato il ricorso proposto da O.R., cittadino della (OMISSIS) ((OMISSIS)), avverso il diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e della protezione umanitaria.

2. Il ricorrente, in sintesi, aveva dichiarato di essere di religione (OMISSIS) e di appartenere all’etnia (OMISSIS); di essere orfano di padre, deceduto nel (OMISSIS), mentre la madre viveva nella città di (OMISSIS) ed un fratello in (OMISSIS); di avere avuto, senza che nessuno sapesse della sua inclinazione, un rapporto omosessuale con il proprio datore di lavoro; che aveva, poi, pagato un ragazzo per avere rapporti sessuali il quale, dopo avergli fatto spendere tutti i soldi, lo aveva denunciato e, una volta arrestato, fu condannato a 14 anni di reclusione; che per l’intercessione del fratello, che pagò una guardia, riuscì ad evadere; che tra la prima pronuncia di condanna ed il successivo grado di giudizio era “in prigione ma non proprio”.

3. Il Tribunale, a sostegno della propria decisione, ha ritenuto attendibili le dichiarazioni relative alla zona di provenienza mentre del tutto non credibile, per le macroscopiche incongruenze, tutto il resto del racconto; ha rilevato, pertanto, la insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); ha precisato che, dalle consultazioni delle fonti ufficiali, non si ravvisava nella regione di provenienza un situazione di minaccia grave ed individuale alla vita del richiedente derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; che non erano stati dedotti particolari e sufficienti elementi per ritenere che, ove fosse rientrato nel paese di origine, il richiedente si sarebbe trovato in uno stato di particolare vulnerabilità.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione O.R. affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 per non essere stato valutato nè dalla Commissione per la protezione internazionale nè dal Tribunale il periodo di permanenza nei paesi in cui era transitato.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e art. 14 lett. c), per non avere il Tribunale in concreto valutato il racconto con le modalità previste dalle suddette disposizioni e, conseguentemente, per non avere attivato i poteri istruttori officiosi.

4. Osserva il Collegio, preliminarmente, che deve essere dichiarata inammissibile, in questa sede, ogni richiesta riguardante la tematica della sospensione del provvedimento di rigetto della commissione territoriale sia nelle forme della richiesta di sospensione del provvedimento impugnato, la cui proposizione davanti a questa Corte non è prevista dalla legge (Cass. 9 luglio 2019, n. 18435), in quanto in base alla disciplina generale di cui all’art. 373 c.p.c. per la eventuale sospensione dell’esecuzione della sentenza di appello è competente il giudice che ha emesso la sentenza stessa e il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza che sia stata impugnata per cassazione non è a sua volta impugnabile per cassazione, trattandosi di un provvedimento di natura ordinatoria privo di definitività e decisorietà, che produce effetti temporanei, destinati ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio (Cass. n. 10540 del 2018, n. 13774 del 2015, n. 16537 e 17647 del 2009), sia in caso di proposizione del ricorso per cassazione avverso il provvedimento che abbia negato la sospensione dell’efficacia del decreto del Tribunale, di rigetto della domanda di protezione internazionale cui, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, consegue il venire meno della sospensione degli effetti del provvedimento negativo emesso dalla Commissione territoriale, senza necessità di attendere l’esito del ricorso per cassazione (Cass. 13 dicembre 2018, n. 32319; Cass. 19 luglio 2019, n. 19602; Cass. 30 ottobre 2019, n. 27937).

5. Venendo ora al primo motivo, ritiene il Collegio che esso sia inammissibile.

6. Invero, quanto alle prospettate violenze subite nei paesi di transito (nella fattispecie Libia), va osservato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza ei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 con la conseguenza che è onere del richiedente allegare e provare come e perchè le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani: e ciò non è desumibile dal racconto reso in sede di audizione dall’odierno ricorrente.

7. Anche il secondo motivo è inammissibile.

8. Deve evidenziarsi che la valutazione di inattendibilità del racconto, cui la Corte territoriale è giunta non attraverso la sua opinione soggettiva, ma come il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione (Cass. n. 14674 del 2020), compiuta non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente e senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto, è stata censurata in modo generico e con esclusivo riguardo agli apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, e non per la violazione delle relative disposizioni.

9. Il giudizio di non credibilità (in questa sede, come detto, non adeguatamente censurato) ha correttamente inciso, quindi, sull’attivazione dei poteri di cooperazione istruttoria in quanto l’indagine avrebbe dovuto riguardare l’integrazione probatoria di fatti già smentiti sulla base delle non credibili affermazioni dell’interessato (Cass. n. 24506 del 2020).

10. In verità – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione dei motivi – nella sostanza le doglianze proposte si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio (ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e della protezione umanitaria) acquisito ai fini della valutazione dei fatti, posta alla base del rigetto delle relative domande.

11. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

12. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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