Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7069 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 12/03/2020), n.7069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3690-2019 R.G. proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato FIORE STEFANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PREVIATI LUCA;

– ricorrente –

contro

BANCA DI MONASTIER E DEL SILE CREDITO COOPERATIVO SOC. COOP., in

persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati DANTINI SILVIA, CASAGRANDE PIERLUIGI;

– resistente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, BANCA IFIS SPA;

– intimate –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

TREVISO, depositata il 01/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRAZIOSI

CHIARA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO,

che chiede che la Corte, riunita in camera di consiglio, dichiari

inammissibile il regolamento di competenza proposto da

I.G., con le conseguenze di legge.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte osserva quanto segue.

1. Giuseppe Invaso ha proposto ricorso per regolamento di competenza avverso quella che definisce ordinanza di vendita del l’dicembre 2017 emessa dal Tribunale di Treviso nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata immobiliare promosso, nei suoi confronti, da Banca di Monastier e del Sile Credito Cooperativo in amministrazione straordinaria, con intervento di Banca Ifiis e di Agenzia delle Entrate-Riscossione, adducendo che è ordinanza fin d’ora “impugnabile in quanto contaminata da nullità parziale degli importi vantati a credito dal procedente … non espressamente depurati degli addebiti affetti da nullità per violazione di norme imperative e/o altre nullità meglio qualificande ma che non risultano rilevate dall’Ufficio Controllo Crediti” della procedente stessa nella disamina contabile delle scritture bancarie.

Adduce il ricorrente che “si prospetta un conflitto virtuale di competenza” in quanto l’opposizione ex art. 615 c.p.c. si radica dinanzi al Tribunale Ordinario quale giudice dell’esecuzione, l’ordinanza di vendita del 1 dicembre 2017 “reca gli importi acriticamente esposti” dalla procedente “anche nella parte in cui essi sono contaminati da nullità”, e “la questione sul saldo apparente dei conti correnti” coinvolti come elaborata dalla procedente “sembra una questione privatistica tra le parti del contratto di conto corrente bancario, di cui conosce il Tribunale Ordinario e di cui ha conosciuto sia pure soltanto incidentalmente l’ufficio del Giudice di Pace, ai fini sanzionatori”, dovendosi tuttavia tenere in conto che “l’elaborazione del saldo apparente di conto corrente come elaborata dalla banca in modo unilaterale secondo la prassi ed entro la disciplina del contratto di conto corrente di corrispondenza, impone, dopo l’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, art. 2-4, che nei rapporti interni della banca si vigili sul T.E.G.”; e questa vigilanza interna esulerebbe dai rapporti privatistici tra la banca e il correntista, venendo invece “attratta alla disciplina societaria poichè riguarda le attività compiute in ogni banca dall’Ufficio Controllo Crediti”. Quindi “tale segmento di attività”, in quanto attinente ai rapporti societari, sarebbe “di competenza funzionale del Tribunale Sezione Imprese”, nel caso in esame il Tribunale delle Imprese di Venezia, cui dovrebbe trasferirsi il relativo segmento di giudizio.

Una siffatta contestazione sarebbe stata mossa dall’attuale ricorrente alla banca, senza ottenerne riscontro, con e-mail del 24 marzo 2013. Non avrebbe avuto riscontro neppure la notificazione alla banca della sentenza n. 167/2014 del Giudice di pace di Treviso con cui, “valutando anche possibile ricalcolo dei saldi apparenti” del conto corrente, “si travolgeva la sanzione irrogata dalla Prefettura di Treviso per l’asserita emissione di assegno bancario privo di copertura”.

Il ricorrente osserva altresì che, in generale, il processo di esecuzione forzata non è soggetto alle preclusioni di cui all’art. 38 c.p.c., e che, “ai fini dell’attuazione del provvedimento di rilascio forzoso in corso di esecuzione e della previa ordinanza di vendita del dicembre 2017, necessiterebbe previamente depurare l’atto di precetto originario e gli atti susseguenti dalle contaminazioni per nullità e comunque dalla mancata concreta verifica della compatibilità del TEG con le disposizioni dalla L. n. 108 del 1996, art. 2-4”, trasferendo il procedimento dinanzi al Tribunale per le Imprese di Venezia, per ottenere la “salvaguardia del ricorrente almeno quanto alla questione di possibile nullità contrattuale ed alle conseguenze pregiudizievoli per violazione della L. 108/96”, impedendo in tal modo questa Suprema Corte “il proliferare di cause ‘gemellè sfasate in Fori diversi” e pertanto revocando nel merito il provvedimento di vendita del 1 dicembre 2017 e tutti gli atti susseguenti.

2. Si è difesa con memoria la banca procedente. Il Procuratore Generale ha chiesto che sia dichiarata inammissibile il regolamento di competenza.

3. Il ricorso, ictu oculi dall’ampia illustrazione che ne è stata offerta, si presenta inammissibile, in quanto prospetta un conflitto – peraltro alquanto peculiare – che allo stato non è configurabile, neppure in via preventiva.

Esso, infatti, seguendo la prospettazione del ricorrente, insorgerebbe tra il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Treviso qualora venga effettuata opposizione ex art. 615 c.p.c. e il Tribunale delle Imprese di Venezia.

Davanti a nessuno dei due giudici, allo stato, è stato incardinato alcun giudizio, essendo in atto esclusivamente la procedura esecutiva presso il Tribunale di Treviso – nella quale, tra l’altro, come ha osservato il Procuratore Generale, il provvedimento del 1 dicembre 2017 non è neppure del giudice dell’esecuzione bensì del notaio delegato -. In questo modo, lo strumento del rimedio del regolamento di competenza è stato palesemente oggetto di abuso da parte del ricorrente, in quanto questa Suprema Corte è stata adita in assenza totale dei presupposti per proporre l’istanza di regolamento, cioè al di là dell’improprio uso dell’espressione “conflitto” – in mancanza di decisioni sulla competenza.

4. Ad una simile conformazione del ricorso, ovvero – si ripete – ad una proposizione dello stesso in assenza di ogni decisione sulla competenza e in assenza anche di giudizi incardinati, non può non conseguire, per evidente colpa grave manifestata dal ricorrente nell’avvalersi dello strumento processuale, oltre alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso e alla condanna alla rifusione delle spese alla controparte che si è difesa, anche la condanna, a favore di quest’ultima, del ricorrente ex art. 96 c.p.c., comma 3, per sanzionare con quello che è ormai noto come danno punitivo l’evidente abuso processuale; e l’importo, valutata complessivamente la peculiarità della fattispecie, si stima equo nella misura di Euro 5000.

5. Pertanto il ricorso per regolamento deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado liquidate come da dispositivo – alla controparte, oltre alla condanna suddetta ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere alla controparte le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge, e condannandolo altresì, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a corrisponderle la somma di Euro 5000.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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