Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7067 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. I, 03/03/2022, (ud. 17/12/2021, dep. 03/03/2022), n.7067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29792/2015 proposto da:

Fallimento del (OMISSIS) S.p.a. in liquidazione, in persona dei

curatori Dott. B.S., Dott. Bo.Fa., avv.

S.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via di Val Gardena n.

3, presso lo studio dell’avvocato De Angelis Lucio, rappresentato e

difeso dall’avvocato Staunovo Polacco Edoardo, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Boezio n. 6, presso lo studio dell’avvocato Luconi Massimo,

rappresentata e difesa dagli avvocati Gelmini Massimo, Verdi Marco,

giusta procura in calce al controricorso e procura speciale alle

liti;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1264/2015 del TRIBUNALE di BERGAMO, depositato

il 06/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2021 dal cons. Dott. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con ricorso L.Fall., ex art. 98, MPS spa proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento della (OMISSIS) spa, chiedendo, in riforma del decreto del GD al predetto fallimento che aveva accolto solo parzialmente la sua richiesta d’insinuazione al passivo (e ciò, perché MPS spa aveva escusso il pegno di titoli costituiti a garanzia del credito, operando una successiva compensazione tra quanto ricavato e parte del suo maggior credito, ma dopo la proposizione della domanda di concordato preventivo, in violazione della L.Fall., art. 168), che le fosse riconosciuto il residuo credito relativamente al prestito chirografario concesso e al saldo della fideiussione, per i complessivi importi meglio risultanti, in atti.

Il tribunale accoglieva l’opposizione perché la vicenda rientrava in alcune eccezioni al divieto di cui alla L.Fall., art. 168, ed in particolare sia perché si verteva in tema di pegno irregolare, regolato dall’art. 1851 c.c., come poteva desumersi dai rispettivi atti costitutivi, dove veniva riconosciuta la facoltà della banca di disporre del bene oggetto di garanzia in modo pieno e temporalmente incondizionato, attraverso il conferimento di un mandato irrevocabile e sia perché sussistevano i presupposti del D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 4 in tema di contratti di garanzia finanziaria, dove il creditore pignoratizio è facoltizzato, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere, osservando le formalità previste dal contratto, nell’ipotesi che interessa di cui all’art. 4 cit., lett. a – alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita.

Ricorre per cassazione avverso questo decreto, il fallimento del (OMISSIS) spa affidandosi a sei motivi, illustrati da memoria, mentre MPS spa resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo del ricorso, il fallimento ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare degli artt. 1851 e 2026 c.c., del R.D. n. 239 del 1942, art. 3 censurando l’assunto secondo cui il mandato a girare i titoli azionari “in garanzia”, in favore di se stessi, sia idoneo ad attribuire al mandatario il potere di disporne e di acquisirne la proprietà.

In buona sostanza, il fallimento ricorrente censura il ragionamento secondo cui tale mandato a girare “in garanzia” titoli azionari, come detto in favore di sé stessi, trasferisca al mandatario la proprietà dei titoli medesimi, conferendo al pegno su di essi costituito, la natura di pegno “irregolare”.

Con il secondo motivo (proposto in via subordinata rispetto al primo), il fallimento ricorrente prospetta la violazione dell’art. 2744 c.c., con riferimento alla ritenuta presenza, nelle clausole dei contratti di pegno, di una alienazione dei titoli azionari “con scopo di garanzia”, con evidente violazione del divieto del patto commissorio.

Con il terzo motivo, il fallimento ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1851 c.c., in quanto il mero richiamo a quest’ultima norma nelle scritture di pegno, non era idoneo ex se a configurare la fattispecie del pegno irregolare, non essendo sufficiente il mero richiamo ad una norma di legge, per ritenerne presenti i presupposti applicativi.

Con il quarto motivo, il fallimento ricorrente censura il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per il mancato esame della clausola inserita in una delle scritture di pegno che faceva richiamo all’art. 1851 c.c. e per mancata motivazione sul punto.

Con il quinto motivo, il fallimento ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge, in particolare della L.Fall., art. 99, perché l’opposizione allo stato passivo era stata accolta anche in riferimento al profilo dell’esistenza, nella specie, di una garanzia finanziaria (D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 4 secondo cui la banca ha la facoltà, riconosciuta dall’ordinamento anche in caso di pegno regolare, di soddisfarsi sui beni ricevuti in pegno, anche quando la debitrice si trovi nella fase di concordato preventivo aperto) che è un tema che non era stato proposto con l’atto introduttivo del giudizio, ma introdotto solo nelle note conclusive depositate dall’opponente quando la causa era stata posta in riserva per essere decisa.

Il ricorrente in buona sostanza lamenta che il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria e i motivi di opposizione devono essere dedotti fin dall’atto introduttivo senza poter essere modificati successivamente.

Con il sesto motivo, in via subordinata rispetto al quinto, il fallimento ricorrente deduce la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione alla mancata assegnazione di un termine per deduzioni relative all’applicabilità alla vicenda, del D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 4.

Il primo motivo è infondato, infatti secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Il pegno irregolare si differenzia da quello regolare in quanto le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano di proprietà del medesimo, sicché in caso di inadempimento del debitore, il creditore è tenuto soltanto a restituire l’eventuale eccedenza dei titoli rispetto alle somme garantite, mentre nel pegno regolare egli ha diritto a soddisfarsi disponendo dei titoli ricevuti in pegno” (Cass. n. 24137/18, 10000/04, 18597/11).

Nella specie, il tribunale ha accertato che sia nell’atto di costituzione di pegno di titoli del 29 marzo 2005 che in quello del 28 febbraio 2007, vi era la previsione di un mandato anche per il loro trasferimento, consentendo al creditore di far entrare i titoli nel proprio patrimonio, che è proprio la caratteristica del pegno irregolare.

Il secondo motivo è infondato, in quanto il divieto del patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c. non opera nel caso di pegno irregolare, ex art. 1851 c.c., poiché al creditore, nell’ipotesi di inadempimento, è consentito fare definitivamente propria solo la parte dei titoli corrispondente al credito garantito (secondo il valore degli stessi, al tempo della scadenza del credito) con obbligo di restituire l’eccedenza (Cass. n. 10000/04).

Il terzo e quarto motivo di ricorso, che possono essere oggetto di un esame congiunto, perché connessi sono inammissibili, in quanto il richiamo all’art. 1851 c.c. costituisce un passaggio argomentativo della sentenza, svolto ad abundantiam, ma non integra (un’autonoma ragione della decisione e non può quindi costituire oggetto di censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o 5.

Il quinto e sesto motivo sono assorbiti dal rigetto dei primi due, perché riguardano l’alternativa ed autonoma ratio decidendi basata sul D.Lgs. n. 170 del 2004, art. 4.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il fallimento ricorrente a pagare a MPS spa le spese di lite che liquida nell’importo di Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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