Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7065 del 28/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/03/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 28/03/2011), n.7065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30345-2007 proposto da:

BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.M.;

– intimato –

e sul ricorso 1200-2008 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

167, presso lo studio dell’avvocato GIORGI FILIPPO MARIA, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

BANCA ANTONIANA POPOLARE VENETA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2012/2 006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/11/2006 e avverso la sentenza non definitiva n.

5846/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/02/2006,

R.G.N. 4689/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. TRIA Lucia;

udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato GIORGI FILIPPO MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per accoglimento del ricorso

principale e del 1^ e 2^ motivo. Assorbiti gli altri motivi,

assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con ricorso depositato il 31 dicembre 1999 presso il Tribunale di Roma F.M. conveniva in giudizio la Banca dell’Agricoltura s.p.a., per sentire dichiarare la nullità o, subordinatamente, per ottenere l’annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli in data 17-19 agosto 1999, con le conseguenti pronunce ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 e la condanna della Banca convenuta al risarcimento del danno alla salute, biologico, all’immagine e alla vita di relazione, nonchè, subordinatamente, al risarcimento del danno per ritardata restituzione del libretto di lavoro.

La Banca convenuta si costituiva in giudizio “in persona dell’avv. Carlo Maria Stigliano e dell’avv. Maurizio Vernacchia, nelle rispettive qualità di Vice Direttore di Sede, il primo, e di Procuratore, il secondo, entrambi addetti al Servizio Amministrazione del Personale della Direzione centrale, in virtù dei poteri loro attribuiti dal C.d.A. con Delib. 24 marzo 1998 e Delib. 30 giugno 1998”, i quali rilasciavano la procura alle liti al difensore costituitosi.

All’udienza di prima effettiva trattazione il ricorrente rilevava la mancanza di prova agli atti della legittimazione processuale dei soggetti in persona dei quali la convenuta si era costituita in giudizio e la conseguente nullità della costituzione stessa.

Dopo l’esame dello statuto della Banca e delle delibere del Consiglio di amministrazione della stessa richiamate nel testo della procura alle liti a giustificazione dei poteri spesi dai firmatari, il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 14226 del 2 agosto 2000, respingeva l’eccezione preliminare del ricorrente dichiarando “la legittimazione processuale dell’avv. C.M. Stigliano e dell’avv. M. Vernacchia, firmatari in nome e per conto della BNA della procura alle liti all’avv. Pessi”, in base all’art. 23 dello statuto medesimo.

Alla successiva udienza del 2 marzo 2001 il ricorrente proponeva riserva di appello della suddetta sentenza, inoltre veniva dato atto dell’estinzione della BNA a seguito di fusione per incorporazione nella Banca Antoniana Popolare Veneta e quindi veniva disposta l’interruzione del giudizio.

La Banca Antoniana Popolare Veneta si costituiva in giudizio, ex art. 110 c.p.c., con memoria del 18 aprile 2001, nella quale faceva proprie tutte le istanze, anche istruttorie, eccezioni e deduzioni già svolte dalla BNA. All’esito dell’istruttoria il Tribunale, con sentenza definitiva n. 617/2003 del 14 gennaio 2003, respingeva tutte le domande del ricorrente.

Entrambe le indicate sentenze venivano impugnate dal F. con ricorso depositato il 13 maggio 2003.

La Banca Antoniana Popolare Venera si costituiva in giudizio resistendo all’appello avverso, di cui chiedeva il rigetto.

2.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza non definitiva n. 5846/05 del 14 luglio 2005-17 febbraio 2006, riformando la sentenza non definitiva di primo grado, dichiarava il difetto di legittimazione processuale dei soggetti in persona dei quali la BNA, originaria convenuta, si era costituita in giudizio nel precedente grado.

In particolare, secondo la Corte d’appello, lo statuto della BNA distingue tra rappresentanza legale e firma sociale, sicchè non necessariamente coloro cui è attribuita la firma sociale hanno anche il potere di rappresentanza in giudizio della società, potendosi ritenere cumulati i poteri di amministrazione e di rappresentanza in capo al C.d.A. collegialmente, solo in assenza di specifiche previsioni statutarie al riguardo. Poichè, nella specie, l’art. 23 dello statuto individua espressamente i soggetti titolari del potere di rappresentanza (nel Presidente e nell’Amministratore delegato), conseguentemente è da escludere che tale potere competa al C.d.A. e pertanto non può configurarsi la dedotta rappresentanza volontaria del Consigliere delegato, non risultando la relativa procura conferita da soggetto legittimato.

Alla successiva udienza del 2 marzo 2006 la Banca Antoniana Popolare Veneta formulava riserva facoltativa di ricorso per cassazione ex art. 361 c.p.c..

3.- All’esito del giudizio di appello, la Corte d’appello pronunciava la sentenza definitiva n. 2012/06, del 2 marzo – 20 novembre 2006, con la quale, in riforma della sentenza definitiva di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato dalla Banca appellata al F., ne ordinava la reintegrazione, emetteva le consequenziali pronunce ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dichiarava il diritto del lavoratore alla regolarizzazione della posizione previdenziale (per il periodo preso in considerazione dalla stessa pronuncia) mediante il versamento dei contributi di legge da parte dell’appellata agli enti previdenziali competenti.

Secondo la Corte d’appello la sentenza non definitiva di appello comportava l’integrale accoglimento del ricorso proposto dal lavoratore in quanto, nel caso di licenziamento disciplinare l’onere di dimostrare la legittimità del recesso incombe sulla parte datoriale, tuttavia “stante la nullità della costituzione in giudizio di quest’ultima ne consegue la nullità di tutti i successivi atti ed anche della espletata prova testimoniale sui capitoli di parte convenuta e, in definitiva, la mancanza di prova in ordine alla effettiva sussistenza della giusta causa di licenziamento”.

Quanto al risarcimento del danno, in applicazione dell’art. 1227 c.c. e tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro e di quelle soggettive del lavoratore, si ritiene di limitare il danno risarcibile al termine presuntivo di tre anni dall’intervenuto recesso, considerando che in tale termine, presumibilmente, il lavoratore avrebbe potuto trovare un’altra occupazione, se si fosse adeguatamente attivato.

Viene, infine, esclusa la risarcibilità del danno biologico, in considerazione della assoluta genericità della relativa domanda e la mancanza di una prova specifica di un effettivo danno alla salute subito dal lavoratore.

4. Il ricorso della Banca Antoniana Popolare Veneta domanda la cassazione delle due suddette sentenze della Corte d’appello di Roma per tre motivi; resiste con controricorso F.M. che propone anche ricorso incidentale autonomo per dieci motivi e ricorso incidentale condizionato per sei motivi. La Banca propone, altresì, controricorso al ricorso incidentale.

Nell’imminenza dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nelle quali hanno ribadito le argomentazioni già svolte e confutato le tesi avversarie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia: a) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 77 c.p.c., nonchè degli artt. 2384 e 1362 c.c.; b) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del procedimento; c) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, principalmente in riferimento all’affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui, data la distinzione operata dallo statuto della BNA tra firma sociale e rappresentanza legale, ai soggetti cui è attribuita la firma sociale non solo non compete, ma addirittura non può essere attribuita la rappresentanza della società in giudizio (oltretutto facendo espresso riferimento ad una precedente decisione del Tribunale di Roma in data 25 ottobre 1995, relativa ad una fattispecie completamente diversa dalla attuale).

Si rileva, in primo luogo, che in base all’art. 2328 c.c. la questione relativa alla legittimità della delega conferita dalla BNA ai soggetti ivi indicati deve essere risolta, prioritariamente, sulla base dell’esame delle disposizioni societarie, alle quali è rimessa la disciplina della rappresentanza dell’ente.

Nella specie, tale ultima disciplina è contenuta nell’art. 23 dello statuto che, nell’ultimo periodo, prevede che il C.d.A. possa attribuire la firma sociale a dirigenti, funzionali e dipendenti della società.

Inoltre va anche tenuta presente la Delib. del C.d.A. 24 marzo 1998 – con la quale è stata data attuazione alla suddetta disposizione statutaria – che attribuisce espressamente a dirigenti e funzionali (in forma abbinata tra loro) la firma sociale in relazione a “cause attive e passive nonchè procedure di qualsiasi natura in qualunque grado e davanti a qualsiasi giurisdizione civile.

anche volontaria, penale, amministrativa e speciale, nonchè atti giudiziali, stragiudiziali e negoziali inerenti e conseguenti comprese le rinunce agli atti, alle azioni e ai danni”.

Infine, in base alla Delib. C.d.A. 30 giugno 1998, alla articolazione della Direzione centrale denominata “Direzione amministrazione umane” viene assegnata, tra le competenze, la “trattazione delle vertenze e della cause di lavoro con il personale in servizio e in quiescenza”.

Ad avviso della ricorrente, dalla lettura combinata delle suddette disposizioni si desume agevolmente che gli avvocati Vernacchia e Stigliano – firmatari della procura alle liti – erano naturalmente dotati di idonei poteri rappresentativi, come ritenuto dal giudice di primo grado.

Del resto, anche la giurisprudenza di questa Corte ha configurato il potere di firma come generale potere di rappresentanza verso terzi, cioè a rilevanza esterna (si citano: Cass. 8 novembre 2003, n. 16804 e Cass. 22 marzo 2005, n. 6113).

In questa situazione la tesi interpretativa seguita nelle sentenze impugnate rappresenta una forzatura delle disposizioni del codice civile secondo le quali, nell’interpretazione dell’atto negoziale, si deve partire dal dato testuale e dall’intendimento delle parti (art. 1362 c.c.), interpretando le diverse clausole le une per mezzo delle altre (art. 1363 c.c.), nel senso che possano produrre qualche effetto, anzichè in quello in cui non ne avrebbero alcuno (art. 1367 c.c.). La Corte d’appello, infatti, ha travisato il dato testuale, non si è neppure interrogata su quale fosse la volontà perseguita con la suddetta clausola statutaria, non ha tenuto conto delle esigenze pratiche che la clausola stessa era finalizzata a soddisfare, anche in considerazione dell’art. 2384 c.c., e, infine, non ha neanche considerato adeguatamente le citate delibere, attributive dei poteri ai firmatari della procura alle liti.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: a) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 155, 164, 166, 167, 416 e 110 c.p.c., nonchè dell’art. 1399 c.c.; b) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del procedimento.

Si contesta, in particolare, il punto della sentenza definitiva ove la Corte d’appello ha ritenuto che dalla nullità della costituzione in giudizio della BNA derivasse la nullità di tutti i successivi atti e anche dell’espletata prova testimoniale sui capitoli di parte convenuta. Conseguentemente, ne ha desunto che fosse venuta a mancare la prova della giusta causa di licenziamento e, quindi, l’integrale accoglimento del ricorso del F..

La ricorrente evidenzia, al riguardo, che già nel corso del giudizio di primo grado si era costituita, nella sua qualità di successore a titolo universale di BNA, la BAPV, sanando l’eventuale vizio originario di costituzione della propria dante causa, visto che aveva fatto proprie tutte le deduzioni ed istanze, anche istruttorie, della BNA e tutta la relativa produzione documentale.

Pertanto, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte, anche volendo accedere alla lesi della nullità della costituzione di BNA, in ogni caso non avrebbe mai potuto essere affermata la nullità della stessa memoria di costituzione di BNPA e degli altri atti.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: a) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 421 e 437 c.p.c.; b) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del procedimento.

Si sottolinea ulteriormente che la sentenza impugnata è censurabile nella parte in cui – dopo aver dichiarato la nullità della originaria procura di BNA – ha ritenuto la nullità della costituzione sia di BNA sia di BAPN e, conseguentemente, dell’attività istruttoria svolta in primo grado (ivi compresa quella relativa ai documenti prodotti da BNA, richiamati da BAPN in sede di costituzione in giudizio) e ha comunque omesso di motivare la propria scelta di non esercitare il potere-dovere istruttorio, limitandosi ad applicare un meccanismo automatico di soccombenza del datore di lavoro, in ragione della natura della controversia.

4.- I dieci motivi del ricorso incidentale autonomo sono rappresentati da censure: a) al capo della sentenza definitiva riguardante la liquidazione dell’indennità risarcitoria L. n. 300 del 1970, ex art. 18 (motivi dal 1 al 4); b) al capo della sentenza stessa di rigetto della domanda di risarcimento dei danni ulteriori rispetto a quelli coperti dalla suddetta indennità risarcitoria (motivi dal 5 al 7); c) al capo della sentenza che ha riconosciuto il diritto alla svalutazione monetaria e agli interessi solo fino alla data della sentenza stessa (motivo 8); d) al capo della sentenza ove non è stata pronunciata la condanna della società datrice di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali relativi all’intero periodo compreso tra il licenziamento e l’effettiva reintegrazione (motivi 9 e 10).

5. – Con i sei motivi del ricorso incidentale condizionato si denunciano:

a) omessa motivazione circa l’inesistenza, nella Delib. C.d.A. della BNA in data 24 marzo 1998, di alcuna dichiarazione di “nomina” come procuratori degli avvocati Stigliano e Vernacchia (firmatari della procura alle liti);

b) violazione o falsa applicazione degli artt. 1387, 1362 e segg.

c.c., sottolineandosi che la suddetta Delib. C.d.A. non può essere ritenuta fonte diretta di attribuzione del potere di “firma sociale” nei confronti dei suddetti dipendenti della società, visto che gli stessi non erano in essa indicati nominativamente e, nel penultimo paragrafo della delibera stessa, si precisa che: “I poteri di firma sociale sono attribuiti al personale appositamente individuato dal Comitato esecutivo”:

c) omessa motivazione circa l’eccezione formulata nel ricorso in appello in merito al difetto di ogni elemento dimostrativo della qualità di dirigenti o funzionari della BNA dei signori Stigliano e Vernacchia;

d) violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., comma 3, e art. 77 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c., sull’assunto secondo cui addossare all’attuale controricorrente l’onere di dimostrare l’inesistenza della qualità di rappresentante della BNA dei soggetti costituitisi in giudizio in suo nome e conto viola le disposizioni richiamate, come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità;

e) omessa motivazione sul rilievo contenuto ne ricorso in appello a proposito dell’asserita necessità che la procura rilasciata ai suddetti signori Stigliano e Vernacchia dovesse avere la stessa forma – scrittura privata autenticata – della procura alle liti dagli stessi rilasciata all’avvocato Pessi;

f) violazione o falsa applicazione dell’art. 1392 c.c. e dell’art. 83 c.p.c., con riferimento al problema della forma della procura già evidenziato nel precedente motivo.

7. Per ragioni di ordine logico vanno trattati per primi e congiuntamente – data la loro intima connessione – i motivi del ricorso principale.

In via preliminare e in risposta alle osservazioni formulate, anche nel corso della discussione in udienza, dal F. – va precisato che risulta essere stata regolarmente prodotta in atti – che, nella specie, la Corte di cassazione può esaminare con poteri di cognizione piena, per essere stati denunciati errores in procedendo (vedi per tutte: Cass. 14 gennaio 2003, n. 444: Cass. 17 marzo 2009, n. 6439) – la riserva facoltativa di ricorso per cassazione ex art. 361 c.p.c. tempestivamente effettuata dalla Banca Antoniana Popolare Veneta avverso la sentenza non definitiva n. 5846/05 del 14 luglio 2005 – 17 febbraio 2006 della Corte d’appello di Roma.

8. Quanto al merito, i suddetti motivi sono fondati nei limiti di seguito precisati.

8.1.- A riguardo va, in primo luogo, sottolineato che, per quanto riguarda il primo motivo, pur se, in ipolesi, si accolga la tesi della ricorrente in merito all’attribuzione al Consiglio di amministrazione di BNA del potere di delega, in base all’art. 23 del relativo statuto, comunque non potrebbe non rilevarsi che non risulta essere stato adeguatamente provato che i due funzionari che rilasciarono la procura alle liti in questione fossero titolari di poteri rappresentativi di natura anche sostanziale riguardanti il rapporto controverso in oggetto.

Tale ultimo requisito, in base al condiviso orientamento di questa Corte, è essenziale per la titolarità della rappresentanza processuale della società di capitali (e degli enti, in genere), con relativa, facoltà di nomina dei difensori (vedi per tutte: Cass. SU 8 maggio 1998, n. 4666; Cass. 11 giugno 2004, n. 11097; Cass. 15 luglio 2005, n. 15026; Cass. 29 settembre 2005, n. 19164).

Nella specie, invece, non risulta dimostrato che agli avvocati Stigliano e Vernacchia fosse stato, specificamente, conferito il potere di firma sociale, nelle forma richiesta dalla stessa Delib.

C.d.A. della BNA in data 24 marzo 1998 (dalla quale la ricorrente fa discendere la legittimità della procura alle liti de qua), nè può considerarsi sufficiente, al suddetto fine, rassegnazione, con Delib.

C.d.A. 30 giugno 1998, alla Direzione amministrazioni umane (cui erano assegnati i due suddetti avvocati), nell’ambito della Direzione centrale di BNA, del compito di “trattazione delle vertenze e delle cause di lavoro con il personale in servizio e in quiescenza”.

Comunque la suddetta problematica involge questioni di fatto – principalmente legate alla determinazione del contenuto delle citate delibere e dei conseguenti atti emessi dagli organi di BNA – che, in questa sede, non possono venire in considerazione, tanto più ove vengano proposte senza l’osservanza dell’onere di autosufficienza del ricorso (nella specie, principalmente, in riferimento all’allegazione dell’elenco dei soggetti titolari del potere di firma sociale al momento dell’instaurazione del presente giudizio).

Infatti – ancorchè, in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere del potere rappresentativo (Cass. SU 16 novembre 2009, n. 24179) comunque l’esercizio in concreto del suddetto diretto esame degli atti da parte del giudice di legittimità presuppone che l’interessato abbia rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405; Cass. 16 ottobre 2007, n. 21621: Cass. 14 gennaio 2010, n. 488).

Peraltro, nel presente giudizio, alle suddette osservazioni non consegue alcuna specifica decisione de Collegio sul punto (sicchè, in definitiva, se ne determina un assorbimento), perchè il relativo interesse va apprezzato in relazione all’utilità concreta che ne può derivare alla parte, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (arg. ex Cass. 25 giugno 2010, n. 15353), mentre, nella specie, assumono rilievo assorbente ai fini della soluzione della controversia i seguenti ulteriori rilievi.

8.2.- Va, in particolare, ricordato che, in base ad altro orientamento altrettanto consolidato e condiviso dal Collegio, qualora la persona giuridica sia stata presente nel processo per mezzo di persona fisica non abilitata a rappresentarla (in particolare, funzionari privi di poteri rappresentativi anche sostanziali), il difetto di legittimazione processuale può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della spontanea costituzione del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso il quale manifesti la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator (Cass. 25 luglio 1996, n. 6720; Cass. 29 settembre 2005, n. 19164; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21811: Cass. 6 luglio 2007, n. 15304).

E’ stato anche precisato che tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita ai difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la parte in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli artt. 83 e 125 c.p.c. (vedi per tutte: Cass. 27 ottobre 2005, n. 20913; Cass. 29 settembre 2006, n. 21255) e che la sanatoria non può essere impedita dalla previsione dell’art. 182 c.p.c., secondo cui sono fatte salve le decadenze già verificatesi, perchè questo limite attiene alle decadenze sostanziali (sancite cioè per l’esercizio del diritto e dell’azione: artt. 2964 seg. c.c.) e non a quelle che si esauriscono nel processo (vedi per tulle: Cass. 12 marzo 2004, n. 5135; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21811; Cass. 6 luglio 2007, n. 15304), tanto che l’art. 182 c.p.c., comma 2, (nel testo, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009) – secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio – deve essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex lune, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali. (Cass. SU 9 aprile 2010, n. 9217;

Cass. 22 settembre 2010, n. 20052: Cass. 28 luglio 2010, n. 17683).

L’applicabilità dei richiamali principi nel presente giudizio non è certamente ostacolata da mancato espresso richiamo, da parte della ricorrente dell’art. 182 c.p.c. soprattutto perchè dalla formulazione del quesito illustrativo del secondo motivo di ricorso (v. p. 18 del ricorso) si desume agevolmente che la suddetta disposizione è stata implicitamente richiamata e, come è noto, in base ad un consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte che il Collegio condivide, l’indicazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti della impugnazione, sicchè la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del gravame ove gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione del quid disputandum (Cass. 25 novembre 2010, n. 23961: Cass. 4 giugno 2007, n. 12929; Cass. 13 gennaio 2006, n. 526; Cass. 26 gennaio 2005, n. 1606: Cass. 22 ottobre 1993, n. 10501).

Ne consegue che dai principi stessi si desume che, nella specie, la Corte d’appello di Roma non ha applicato in modo corretto le disposizioni codicistiche in materia di rappresentanza in giudizio, specialmente laddove ha omesso di attribuire efficacia retroattivamente sanante – rispetto ai riscontrati vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore dai suddetti funzionari della BNA alla regolare costituzione in giudizio della Banca Antoniana Popolare Veneta, effettuata nel corso del giudizio di primo grado ex art. 110 c.p.c., con memoria del 18 aprile 2001, nella quale la BAPV ha fatto proprie tutte le istanze, anche istruttorie, eccezioni e deduzioni già svolte dalla BNA (fusa, per incorporazione, in BAPV).

Tale errore ha influito negativamente sull’intera impostazione di entrambe le sentenze impugnate.

9. – Conclusivamente, il ricorso principale deve essere accolto e le suddette sentenze cassate, mentre restano assorbiti sia il ricorso incidentale autonomo sia il ricorso incidentale condizionato, essendone evidentemente divenuto superfluo l’esame.

La causa deve essere rinviata per un nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui appare opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale, assorbiti il ricorso incidentale autonomo e il ricorso incidentale condizionato. Cassa le sentenze impugnate e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2011

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