Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7063 del 20/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 20/03/2017, (ud. 17/02/2017, dep.20/03/2017),  n. 7063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14286/2014 proposto da:

C.S., C.C., C.S.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA AMBROGIO CONTARINI 8, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTA SANTAGATI, rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONIO SANTAGATI, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE GELA;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 41/2013 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 16/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/02/2017 dal Presidente Dott. SERGIO DI AMATO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha

chiesto, in via principale il rigetto del ricorso; in subordine il

rinvio della trattazione del procedimento per l’acquisizione del

fascicolo d’ufficio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.M.M. conveniva in giudizio il comune di Gela per ottenere il risarcimento dei danni alla persona causati da una caduta che assumeva cagionata da una parte del marciapiede della strada comunale da lei percorsa, rotta e coperta di sabbia oltre che detriti, tanto da essere non visibile nè prevedibile e costituire un’insidia imputabile all’amministrazione.

In primo grado la domanda veniva rigettata dal tribunale di Gela, per carenza di prova.

La corte di appello di Caltanissetta dichiarava l’inammissibilità del gravame interposto da C.S., C.C. e C.S.M., in qualità di eredi della D.M., nelle more deceduta, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., ribadendo e precisando la mancanza di prova in ordine alla sussistenza dell’insidia causalmente rilevante.

C.S., C.C. e C.S.M. ricorrono per cassazione contro l’ordinanza di inammissibilità, nonchè contro la decisione di primo grado a norma dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, affidando le loro ragioni a tre motivi.

Il comune di Gela non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, formulato relativamente all’ordinanza d’inammissibilità, si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., esponendo che il giudice di appello non aveva fatto riferimento, come invece previsto, a precedenti conformi a quanto dallo stesso deciso, a fronte del contrasto tra le conclusioni raggiunte e la nomofilachia inerente all’art. 2051 c.c..

Con il secondo motivo di ricorso, formulato ancora contro l’ordinanza d’inammissibilità, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e art. 111Cost., per non essere stata presunta la colpa del comune, e difettando la prova contraria a tale presunzione.

Con il terzo motivo di ricorso, formulato relativamente alla sentenza di prime cure, si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., artt. 40, 41 c.p., esponendo che il giudice di merito aveva affermato la mancata offerta di prova, da parte dell’attore, della responsabilità del comune che, invece, andava presunta in relazione all’anomalia della sede stradale e a mente del principio di causalità adeguata. Il tutto essendo risultata, al contrario, assente la prova del comune in ordine al caso fortuito che avrebbe potuto esimerlo dalla responsabilità.

2. Rileva il Collegio che parte ricorrente ha allegato che l’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., non è stata notificata, ma non ha allegato che gli sia stata o meno comunicata. Inoltre, e in particolare, non emerge dagli atti la prova della comunicazione dell’ordinanza. Mentre il ricorso per cassazione risulta notificato 4 mesi e 19 giorni dopo la pubblicazione della suddetta ordinanza.

Secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. U., 13/12/2016 n. 25513), il ricorso per cassazione proponibile, ex art. 348-ter c.p.c., comma 3, avverso la sentenza di primo grado, entro sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello resa ai sensi del precedente art. 348-bis, è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, a un duplice onere di deposito, avente ad oggetto la copia autentica sia della sentenza suddetta che, per la verifica della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa comunicazione o notificazione. In difetto, il ricorso è improcedibile, salvo che la Corte rilevi che l’impugnazione sia stata proposta nei sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine cd. lungo.

Nel caso, non risulta come detto il necessario deposito, nè altra allegazione al riguardo.

Non si dispone, però, l’acquisizione del fascicolo d’ufficio d’appello, ritualmente richiesto da parte ricorrente, posto che, come condivisibilmente osservato dal procuratore generale nella requisitoria scritta, il ricorso appare in ogni caso “prima facie” infondato, sicchè la verifica sarebbe ininfluente (Cass., Sez. U., 23/09/2013 n. 21670).

2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

E’ vero che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348-ter c.p.c., è ricorribile per cassazione (ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7) limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale, purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Cass., Sez. U., 02/02/2016 n. 1914). Ma è evidente che, a mente dell’art. 348-ter c.p.c., il mancato richiamo a precedenti conformi a quanto deciso dal giudice di appello non è obbligatorio, essendo una delle possibili forme della succinta motivazione del provvedimento.

Il secondo motivo è, stante quanto appena osservato, inammissibile.

Quanto al terzo motivo, formulato in termini di violazione di legge e non in chiave motivazionale ovvero di omesso esame, esso è infondato.

Il giudice di merito non ha contravvenuto alla nomofilachia rilevante, atteso che ha affermato la carenza di prova del nesso causale (pagg. 8-9 della sentenza gravata, in cui si esclude la sussistenza della prova di una reale anomalia del marciapiede, come tale rilevante in termini di causalità adeguatamente riferibile all’evento: “si sconosce la natura della sconnessione della pavimentazione”). E tale profilo dev’essere provato ad opera del danneggiato, anche nella cornice dell’art. 2051 c.c. (Cass. 13/07/2011 n. 15389). Pertanto, non vi è stata la prospettata violazione del riparto dell’onere della prova.

Sul punto va detto che in alcune decisioni è stato affermato (Cass., 20/02/2006, n. 3651) che la suddetta prova “consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacchè la prova del danno è di per sè indice della sussistenza di un risultato “anomalo”, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta (del custode) improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno, non essendo il danneggiato viceversa tenuto a dare la prova anche della presenza di un’insidia o di un trabocchetto – estranei alla responsabilità ex art. 2051 c.c. – o dell’insussistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode o della condotta omissiva o commissiva del medesimo”.

Le riportate osservazioni sono state riprese anche di recente (Cass., 09/06/2016 n. 11802) ribadendo che il danneggiato, perciò, “non deve provare anche l’imprevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto”.

La fattispecie qui in esame mostra come il suddetto orientamento vada opportunamente collocato nella prospettiva della consolidata giurisprudenza in cui è chiarito che l’art. 2051 c.c., “non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità” (Cass., 13/07/2011, n. 15389, cit., ad esemplificazione della ricostruzione).

Le presunzioni di cui parlano le decisioni del 2006 e del 2016 devono cioè essere pur sempre riferite al fatto circostanziato, non potendo risolversi, la prova del nesso causale, in un generico “post hoc propter hoc”. Il danneggiato, dunque, anche indiziariamente, deve provare che vi sia stata un’effettiva anomalia tale da essere posta in congrua relazione di causalità adeguata con il concreto evento di danno.

Nell’ipotesi qui in esame, il giudice, con il proprio accertamento in fatto, non ha ritenuto provata, come visto, la natura della sconnessione stradale. Se, cioè, concretamente valutabile come tale rispetto alle normali, anche lievi, soluzioni di omogenea continuità presenti sul manto viario. Ed è in tal senso che ha escluso la prova del nesso causale cui, appunto, non basta la caduta di per sè considerata, senza alcun ulteriore dettaglio circostanziale che permetta di porre la cosa custodita in adeguata relazione eziologica con quello specifico evento dannoso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. P.P..

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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