Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7059 del 20/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 20/03/2017, (ud. 09/02/2017, dep.20/03/2017),  n. 7059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5733/2015 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI, 29, presso lo studio dell’avvocato GIULIO POJAGHI

BETTONI, rappresentata e difesa dall’avvocato REINHARD GEBHARD,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ZURITEL SPA, in persona del suo Procuratore C.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo

studio dell’avvocato DANIELA JOUVENAL, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VINCENZO RAMPINO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2790/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/02/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano con sentenza 17.7.2014 n. 2790 ha rigettato l’appello proposto da B.R. volto ad ottenere il risarcimento del danno biologico subito in conseguenza di sinistro derivante dalla circolazione di veicoli e liquidato dal primo Giudice nella misura di Euro 615,05 inferiore alla somma di Euro 49.220,00 richiesta, importo che era stato corrisposto nelle more del giudizio dalla compagnia ZURITEL s.p.a. convenuta ai sensi dell’art. 149 Codice Assicurazioni Private.

Il Giudice di merito non riteneva necessario disporre il rinnovo della c.t.u. medico legale ritenendo congrue le conclusioni cui era pervenuto il CTU, nominato in primo grado, il quale, in base alla documentazione clinica ed alla incontestata ricostruzione della dinamica del sinistro, aveva escluso che dall’evento lesivo fossero derivati postumi riconducibili ad un trauma distorsivo del rachide cervicale, residuando solo una inabilità temporanea parziale. La Corte d’appello rigettava altresì il gravame in punto di liquidazione degli interessi e rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo risarcitori, essendo state tali voci già incluse nell’importo corrisposto dalla società assicurativa.

La sentenza è stata impugnata per cassazione con quattro mezzi da B.R. che ha depositato anche memoria illustrativa.

Resiste con controricorso ZURITEL s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Il primo motivo è inammissibile.

La ricorrente impugna la statuizione della sentenza relativa al rigetto delle istanze di rinnovazione della istruttoria (ispezione; consulenza cinematica; consulenza medico-legale) in quanto ritenute dal Giudice di appello superflue, non sussistendo contestazioni sulla dinamica del sinistro, o comunque non assistite da valide ragione di critica alle indagini medico legali svolte dal CTU.

Nella rubrica si denuncia contestualmente la violazione dell’art. 2056 c.c., in relazione alla falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., venendo quindi ad essere sottoposti all’esame della Corte, con riferimento alla medesima statuizione impugnata, vizi attinenti alla attività di giudizio, vizio motivazionali e vizi di nullità processuale, peraltro tra loro oggettivamente incompatibili (non potendo al tempo stesso ipotizzarsi una nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione ed una motivazione errata in diritto), senza peraltro che dal contesto della esposizione del motivo sia dato evincere e distinguere le ragioni in fatto e diritto che dovrebbero sostenere ciascuno dei diversi vizi di legittimità indicati, risultando pertanto violata la norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Osserva il Collegio che, se la cumulativa denuncia, con il medesimo motivo, di vizi attinenti alle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), (idest: formulazione di un singolo motivo articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l’accesso del motivo all’esame di legittimità allorchè esso, comunque, evidenzi distintamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto sostanziale o processuale appropriate alla fattispecie (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), così da consentire alla Corte di individuare agevolmente ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata in relazione ai diversi vizi di legittimità contestati in rubrica (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015), diversamente, il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimità, si palesa inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso infatti le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).

Il motivo si palesa, peraltro, inammissibile anche in relazione al profilo della autosufficienza in quanto la ricorrente:

non specifica quali “altri danni” non visibili dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio ed esaminata dal CTU avrebbero dovuto essere rilevati dalla ispezione del veicolo o quale diversa ricostruzione della dinamica del sinistro, rispetto a quella accertata in giudizio sulla base delle stesse dichiarazioni della danneggiata, avrebbe dovuto fornire la consulenza cinematica non specifica quali altre indagini cliniche o strumentali avrebbe dovuto eseguire il CTU per “effettuare una visita ben più approfondita e dettagliata sulla persona dell’attrice” e risolvendosi in una mera reiterata allegazione delle proprie tesi (dunque non nella indicazione di un fatto storico omesso, come richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’affermazione che il trauma cervicale risultava attestato dalle diagnosi dei sanitari cui si era rivolta la danneggiata, trattandosi non di evidenze cliniche ma di valutazioni diagnostiche superate dalle obiettività riscontrate all’esito delle successive operazioni peritali;

– non assolve all’onere di specificazione e trascrizione del contenuto dei documenti clinici e delle fatture o ricevute di pagamento -in ipotesi non considerati dal Giudice di appello – e che avrebbero, da un lato, attestato un aggravamento della patologia causalmente riconducibile all’evento lesivo, e dall’altro l’esatto importo delle spese sostenute.

Il secondo motivo (violazione dell’art. 2056 c.c. e dell’art. 32 Cost.) è inammissibile in quanto la mera allegazione che la Corte d’appello avrebbe violato la norme indicate in rubrica, non disponendo il rinnovo della c.t.u. medico-legale, difetta della struttura minima di riconoscibilità (e dunque di ammissibilità) del motivo di ricorso per cassazione come configurato nei requisiti indispensabili dagli artt. 360 e 366 c.p.c., venendo a mancare tanto la individuazione della specifica statuizione impugnata e della “ratio decidendi” sulla quale è fondata, quanto della argomentazione giuridica nella quale deve svilupparsi la critica a detta ratio decidendi, sotto il duplice profilo della evidenziazione dell’errore in diritto commesso dal Giudice di merito e della diversa “regula juris” che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere applicata alla fattispecie controversa.

Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.) è infondato.

La ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha illegittimamente confermato la statuizione sulle spese di lite relative al primo grado compensate dal Giudice di prime cure per i 2/3 a carico dell’attrice e per il residuo a carico della società assicurativa, in quanto essendo comunque risultata vittoriosa la B., non avrebbe potuto comunque essere considerata soccombente e condannata neppure in parte alle spese di lite.

Il motivo è palesemente infondato in quanto:

al giudizio di primo grado instaurato con atto di citazione notificato in data 29.12.2010, si applica l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 1 (giusta la norma transitoria di cui della medesima L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1) che attribuisce al Giudice il potere discrezionale di compensare “parzialmente o per intero” le spese tra le parti in caso di soccombenza reciproca ovvero qualora “concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”;

– è giurisprudenza consolidata di questa Corte che la liquidazione della pretesa in misura inferiore a quanto richiesto in domanda, non costituisce soccombenza neppure parziale e non consente al Giudice di pronunciare la condanna della parte vittoriosa, neppure per una minima quota, al pagamento delle spese in favore dell’altra, ma non impedisce invece, ove ricorrano giusti motivi (nel testo dell’art. 92 c.p.c., anteriore alla modifica del 2009) ovvero qualora ricorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, di disporre la compensazione delle spese, e tra tali ragioni va ricompresa anche la sproporzione tra la somma chiesta a titolo di risarcimento del danno a quella liquidata (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 4012 del 24/04/1987; id. Sez. 3, Sentenza n. 2124 del 03/03/1994; id. Sez. L, Sentenza n. 2337 del 17/03/1997; id. Sez. 3, Sentenza n. 4997 del 19/05/1998; id. Sez. 1, Sentenza n. 8532 del 23/06/2000; id. Sez. 3, Sentenza n. 10911 del 07/08/2001; id. Sez. 2, Sentenza n. 11604 del 02/08/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 8528 del 05/05/2004).

Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c.) è inammissibile per carenza di autosufficienza.

Sostiene la ricorrente che illegittimamente la Corte d’appello avrebbe negato, sulla somma determinata a titolo di risarcimento danno, la rivalutazione monetaria nonchè l’ulteriore danno da lucro cessante da liquidarsi con applicazione del criterio degli interessi compensativi.

La Corte d’appello ha tuttavia esplicitamente motivato il rigetto, rilevando che il Giudice di prime cure aveva liquidato il danno nell’importo di Euro 615,05 e che la maggior somma corrisposta nelle more del giudizio dalla società assicurativa, pari ad Euro 658,50 era comprensiva anche di rivalutazione ed interessi (secondo la controricorrente invece gli importi sarebbero diversi, ma la discrasia non inficia comunque la decisione: Euro 631,05 liquidati dal primo giudice; Euro 685,50 corrisposti dalla società – controric. pag. 10-11).

Tale ratio decidendi non è in alcun modo investita dalla censura, non fornendo la ricorrente alcuna indicazione del diverso importo -rispetto a quello versato dalla impresa assicurativa – che avrebbe dovuto ricevere per entrambe le componenti di danno indicate.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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