Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7059 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 12/03/2021), n.7059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21981/2019 proposto da:

O.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di GENOVA, depositato il 03/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Presidente Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO.

La Corte:

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto comunicato il 10/6/2019, il Tribunale di Genova ha respinto il ricorso proposto da O.N. (alias O.N.R., alias O.N.R.), sedicente cittadino della (OMISSIS), avverso la decisione della Commissione territoriale, di reiezione delle domande di protezione internazionale ed umanitaria.

Il Tribunale ha ritenuto che ove anche rispondenti a vero le dichiarazioni della parte (il ricorrente aveva riferito di avere lasciato la Nigeria dopo che il (OMISSIS), tornato dall’Università a casa della madre a (OMISSIS) per le vacanze di Natale, era rimasto ferito a causa dell’esplosione di una bomba al mercato, dove si era recato con un amico, rimasto ucciso, era stato in ospedale per tre mesi, per poi tornare a casa dove era stato curato con la medicina tradizionale, ma aveva perso l’udito da un orecchio), non era riconoscibile lo status di rifugiato, mancandone i presupposti, dato che il ricorrente non prospettava alcun timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale; nè era riconoscibile la protezione sussidiaria, stante l’incongruenza e la genericità del racconto della parte, non superate dalla documentazione prodotta, da ritenersi non attendibile (in particolare, l’attestato del 9/4/19), e avuto riguardo alle condizioni della Nigeria, in particolare della zona ragionevolmente di provenienza del ricorrente (Edo State, come indicato da subito nel mod. C3, situato nel sud-est, o centro-ovest della Nigeria), stante la concentrazione delle forze di (OMISSIS) nella parte nord orientare del Paese.

Il Tribunale ha infine escluso la protezione umanitaria, non sussistendo motivo alcuno di vulnerabilità e operando la valutazione comparativa come richiesta dalla giurisprudenza di legittimità.

Avverso detta pronuncia ricorre O.N., sulla base di due motivi.

Il Ministero si difende con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di motivazione erronea, contraddittoria e carente, sulla valutazione eseguita in relazione alla protezione sussidiaria, nonchè il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16.

Il ricorrente, con specifico riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sostiene di essere vissuto solo per un breve periodo a (OMISSIS), frequentando peraltro solo la comunità cristiana, e di essere tornato poi a Benin City per proseguire gli studi, che la sua famiglia aveva trasferito tutti i propri interessi nella zona del Borno, ove la parte era rimasta vittima di un attentato; che la situazione nel Borno State presenta un elevato grado di rischio, come risultante dalle fonti riportate, dalle stesse Coi, e ritenuta grave dalla giurisprudenza.

Il motivo è inammissibile.

Il motivo è articolato sull’assunto della provenienza dello straniero dal Borno State e, su tale aspetto, è incongruente rispetto alla decisione, che ha motivatamente escluso tale provenienza.

Il Tribunale ha infatti a riguardo evidenziato che il ricorrente, che pure ha affermato di avere vissuto e concluso gli studi liceali nel Borno, non ha mai imparato l’hausa e lo comprende con difficoltà; che la narrazione resa dallo stesso è stereotipata; che il ricorrente non ha menzionato i numerosissimi attentati che hanno insanguinato la città di (OMISSIS) negli anni in cui lo stesso ha affermato di avervi vissuto; che era poco convincente la giustificazione sulla riferita assenza del fiume nella detta città; che vi erano gravi incongruenze nella cronologia e nella indicazione degli eventi personali; che tali incongruenze non erano superate dalla documentazione allegata, della cui attendibilità era seriamente da dubitarsi, con particolare riferimento all’attestato del 9/4/19, avuto riguardo alla valutazione sanitaria del (OMISSIS), che attribuito la sofferenza all’orecchio sinistro all’infanzia, con diagnosi di probabile otite cronica.

Orbene, a fronte di detta dettagliata motivazione, il ricorrente ha semplicemente assunto la provenienza dal Borno State, per sostenere la sussistenza delle condizioni legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria e, nel resto, ha del tutto genericamente contrapposto alla valutazione di merito condotta dal Tribunale con specifico riferimento alla zona ritenuta di provenienza della parte, l’Edo State, la propria opposta valutazione. Col secondo mezzo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, ratificata con L. n. 881 del 1977, in relazione in particolare all’art. 5, comma 6 T.U.I., la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32, violazione dell’art. 19 T.U.I..

In relazione al diniego della protezione umanitaria, il ricorrente sostiene che la decisione impugnata è errata e carente, concentrandosi solo sulla asserita inesistenza di problemi di salute, mentre la parte è affetta da grave sindrome post-traumatica, di essere stato per diversi mesi in Libia, costretto in schiavitù, bastonato e frustato; di essere riuscito, nonostante tutto, a prendere parte a corsi di Italiano e partecipare come volontario a diverse attività; sostiene che non è stata effettuata alcuna valutazione dei fattori oggettivi di vulnerabilità, legati alla realtà politica, economica e sociale, sulla base di fonti aggiornate, deduce che la Nigeria è affetta da una situazione concreta e attuale di grave crisi alimentare, così generalizzata da mettere a rischio immediato la sopravvivenza di gran parte della popolazione; sostiene che debbano essere attentamente valutate le sofferenze ed i traumi subiti in Libia, Paese nel quale vengono commessi gravi violazioni, atrocità e abusi a danno dei migranti e rifugiati nei centri di detenzione; assume che la domanda di protezione umanitaria è disancorata dal principio dispositivo.

Il motivo è sostanzialmente inammissibile.

Il Tribunale ha condotto la valutazione della sussistenza dei requisiti della protezione umanitaria alla stregua dei principi della giurisprudenza di legittimità, ha dato conto che le situazioni di vulnerabilità costituiscono un catalogo aperto (così la pronuncia 26566/13), comprendente situazioni oggettive e soggettive, ha escluso le prime, considerata l’inattendibilità della narrazione della parte e l’insussistenza di una condizione personale di deprivazione dei diritti umani, avuto riguardo alle informative sul Paese di provenienza, così come ha escluso le seconde, considerato il ben modesto livello di integrazione raggiunto in Italia, vista la relazione del Cas e la necessità di fare ricorso ad un interprete, non parlando il ricorrente nè comprendendo la lingua italiana.

Ora, a fronte di detta specifica motivazione assunta dal Tribunale, il ricorrente si limita del tutto genericamente e fumosamente a sostenere che la domanda di protezione è disancorata dal principio dispositivo, che non sarebbero stati considerati i profili oggettivi di vulnerabilità, a far valere il periodo trascorso in Libia, in relazione al quale la pronuncia 13758/20 ha affermato che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e “ove occorra” nel Paese in cui è transitato, allorchè l’esperienza vissuta in quest’ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine, e la pronuncia 31676/18 si è espressa nel senso di ritenere l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese.

Col terzo motivo(indicato come secondo), il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 CEDU in relazione in particolare all’art. 5, comma 6, T.U.I. e della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 T.U.I.; sostiene che il Giudice non ha compiuto sufficienti accertamenti in relazione alla violazione sistematica e ripetuta dei diritti umani in Nigeria, che la portata della garanzia di “non refoulment” contenuta nella CEDU è ben più ampia di quella prevista dalle altre fonti richiamate e assicura allo straniero che si trovi sul territorio italiano il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente infine argomenta sulla applicabilità nel caso della normativa preesistente alla riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018.

Il terzo motivo è inammissibile, in quanto basato sul presupposto della sussistenza nel Paese di origine di una situazione di violazioni sistematiche dei diritti umani.

E’ inammissibile infine il rilievo relativo alla applicabilità nel caso della previdente formulazione dell’art. 5, comma 6 TUI, dato che il Tribunale ha applicato proprio la normativa ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018.

Conclusivamente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Sussistono le condizioni per la debenza da parte del ricorrente del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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