Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7058 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 24/03/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 24/03/2010), n.7058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

GENTILE DA FABRIANO 3, presso lo studio dell’avvocato PETRACCA

NICOLA, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DI RUOLO DELLA SOCIETA’ ITALIANA

DEGLI AUTORI ED EDITORI SIAE, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLE

NAVI 30, presso lo studio dell’avvocato SORRENTINO FEDERICO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5293/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2005 R.G.N. 8762/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato SORRENTINO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Pronunciando sul ricorso proposto da O.F., già dirigente della SIAE, nei confronti del Fondo Pensioni per il Personale di Ruolo della Società Italiana degli Autori ed Editori (qui di seguito, per brevità, anche “Fondo”), il Tribunale di Roma determinò la ritenuta mensile dovuta dal ricorrente ai sensi dell’art. 50, comma 2, dello Statuto del Fondo convenuto e la somma complessiva che il ricorrente era tenuto a restituire al Fondo stesso; condannò quest’ultimo alla restituzione della somma eccedente, ove nelle more già recuperata, e dichiarò la nullità del capo di domanda relativo alla rideterminazione del trattamento pensionistico a carico del Fondo.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 24.6 – 29.9.2005 rigettò l’impugnazione proposta dall’ O., osservando, a sostegno de decisimi e per ciò che ancora qui rileva, quanto segue:

– l’appellante, in vista della cessazione del rapporto di lavoro, aveva chiesto che la ritenuta da effettuarsi ai sensi dell’art. 50 dello Statuto del Fondo sulla pensione dal medesimo erogata non fosse effettuata sino al momento della liquidazione del trattamento pensionistico a carico dell’Inpdai; contestualmente aveva sottoscritto l’impegno a segnalare trimestralmente al Fondo lo stato della pratica di liquidazione della pensione, a trasmettere al Fondo la copia del prospetto di liquidazione e a versare tempestivamente al Fondo l’ammontare delle quote arretrate, nonchè degli interessi in misura proporzionale a quelli corrisposti sugli arretrati; il Fondo era stato inoltre autorizzato al recupero delle somme dovute mediante sospensione della pensione diretta ed eventualmente di reversibilità e sino alla concorrenza dell’ammontare a debito; avuta notizia – non tramite l’ O. – dell’avvenuta liquidazione della pensione Inpdai, il Fondo aveva provveduto al calcolo definitivo della pensione a suo carico e della entità della ritenuta ex art. 50 dello Statuto, vendicando che residuava a debito del pensionato una differenza pari a L. 62.882.289; in seguito al rifiuto di quest’ultimo di restituire tale somma, il Fondo aveva provveduto a recuperarla sospendendo l’erogazione della pensione a suo carico fino a concorrenza dell’importo;

– la censura con la quale l’appellante si era doluto dell’acritica condivisione da parte del Tribunale del prospetto contabile presentato in prime cure dal Fondo era assolutamente generica, poichè, avendo il primo Giudice ritenuto infondata la contestazione sul quantum della ritenuta effettuata, alla luce dei chiarimenti a riguardo offerti dal Fondo ed in particolare della relazione contabile presentata e reputata conforme alle indicazioni statutarie, l’ O. non aveva indicato, come sarebbe stato suo onere ai sensi dell’art. 342 c.p.c., le ragioni specifiche per le quali il convincimento del primo Giudice avrebbe dovuto ritenersi errato, nè aveva indicato quali fossero i dati contabili errati ovvero i vizi del loro sviluppo contabile, e ciò benchè i dati riportati nella relazione fossero sicuramente nella conoscibilità dell’interessato, come tale in grado di verificarne la correttezza;

– quanto all’interpretazione dell’art. 50, comma 2, dello Statuto del Fondo (secondo cui: “Sino a quando verrà corrisposta ai dipendenti della S.I.A.E., esonerati dal servizio o ai loro aventi causa, una rendita vitalizia da parte dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, relativa ai contributi versati durante il periodo di attività presso la S.I.A.E., e per effetto dell’obbligo di assicurazione per la invalidità e la vecchiaia, l’ammontare della quota di tale rendita riferibile ai periodi di attività presso la S.I.A.E. e limitatamente ai contributi versati dalla S.I.A.E. stessa, sarà detratto dall’importo della pensione che verrà corrisposta ai sensi del presente Statuto”), non era condivisibile l’interpretazione dell’appellante, in base alla quale l’avverbio “limitatamente” andrebbe inteso come “volto a determinare il tetto massimo cui può giungere la ritenuta ex art. 50”, cosicchè il suo ammontare globale nei confronti del pensionato non avrebbe potuto superare i contributi versati dalla SIAE al Fondo Pensioni, poichè non trovava riscontro nel tenore letterale della disposizione, che, se avesse inteso effettivamente limitare la misura della ritenuta ai contributi versati dalla SIAE, avrebbe detto in maniera più lineare che tale ritenuta non poteva superare l’ammontare della somma dei contributi versati dalla SIAE, senza necessità di prefigurare un calcolo più complesso con lo scomputo dall’ammontare della quota della complessiva rendita a carico dell’Istituto previdenziale di quella parte riferibile ai periodi di attività presso la SIAE e limitatamente ai contributi versati dalla SIAE medesima; doveva invece ritenersi più aderente al tenore letterale della clausola la tesi del Fondo, condivisa dal primo Giudice, secondo la quale i contributi versati dalla SIAE costituiscono il parametro di riferimento per determinare, nell’ambito del complessivo trattamento pensionistico, quella quota di pensione commisurata al servizio prestato presso la SIAE, quota da sottrarre all’importo della pensione diretta a carico del Fondo;

– non era condivisibile l’asserita infondatezza della pretesa restitutoria del Fondo, alla luce del contenuto della richiesta sottoscritta dall’ O. e degli indicati impegni dal medesimo assunti, non essendo contestato che l’ex dirigente non aveva informato il Fondo dell’avvenuta liquidazione della pensione Inpdai e non potendo quindi ipotizzarsi un’autonoma (e peraltro implausibile) determinazione dell’Ente di erogare o di continuare ad erogare la ritenuta in oggetto; al contempo doveva escludersi la buona fede dell’accipiens, siccome a conoscenza, sin dall’inizio, del carattere provvisorio delle somme attribuitegli e dell’obbligo di loro restituzione.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale O. Fernando ha proposto ricorso per Cassazione fondato su un unico articolato motivo.

L’intimato Fondo Pensioni per il Personale di Ruolo della Società Italiana degli Autori ed Editori ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico articolato motivo, denunciando generica violazione e/o falsa applicazione di “norma di legge”, nonchè vizio di motivazione, il ricorrente si duole che:

– nell’affermare che la ritenuta mensile, ai sensi dell’art. 50 dello Statuto, era stata rettamente calcolata, siano stati presi per buoni i dati contenuti nella memoria istruttoria prodotta ex adverso, rimasti tuttavia privi di riscontro e di supporto probatorio, laddove la Corte territoriale avrebbe dovuto accedere alla svolta richiesta di CTU contabile;

– la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato il ridetto art. 50 dello Statuto, dovendo invece accedersi alla diversa interpretazione da esso ricorrente già prospettata nel giudizio di merito e conducendo, per contro, la lettura della clausola resa nella sentenza impugnata al recupero da parte del Fondo delle somme versate dalla SIAE, in favore dei propri iscritti, all’Istituto gestore della previdenza obbligatoria;

– poichè la SIAE sapeva dell’esistenza della pensione Inpdai a favore di esso ricorrente, l’avere il Fondo ritenuto di non effettuare la ritenuta fino al gennaio 1994 non poteva essere ascrivibile alla sua condotta, ma ad un’autonoma decisione del Fondo, consolidatasi nel tempo, in forza della quale doveva riconoscersi la buona fede dell’accipiens e l’irripetibilità dell’indebito.

2. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4; infatti il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in particolare, in riferimento al ricorso per cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 359/2005; 17125/2007).

Il primo profilo del motivo di ricorso è da ritenersi appunto inammissibile, perchè non rispetta il requisito, nel senso testè indicato, della specificità, essendo incentrato sul (preteso) difetto di sostegno probatorio dei dati contenuti nella memoria istruttoria prodotta dalla controparte e sulla mancata ammissione di una CTU contabile, senza con ciò specificamente investire criticamente l’effettiva ragione che ha portato la Corte territoriale a rigettare la doglianza svolta sul punto in grado d’appello, ossia, come indicato nello storico di lite, la motivatamente ritenuta genericità della doglianza stessa.

3. Questa Corte, in ipotesi di controversie che, come nella specie, sono disciplinate ratione temporis dall’art. 360 c.p.c., nel testo anteriore alla novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, ha reiteratamente affermato, anche con specifico riferimento allo Statuto del Fondo pensioni della SIAE, che, in relazione alle disposizioni dei regolamenti interni e degli statuti degli enti pubblici, non avendo esse valore di norme giuridiche, sono deducibili in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto la violazione o la falsa applicazione dei criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c., oppure, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizi di motivazione (cfr, ex pluribus, Cass., nn. 3311/1985; 10581/1998).

Deve conseguentemente escludersi che possa ritenersi ammissibile la censura consistente, come quella svolta con il secondo profilo del motivo di ricorso, nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative della parte o più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata (cfr, ex pluribus, Cass., n. 14850/2004), senza l’indicazione dei singoli canoni ermeneutici violati e delle ragioni della assenta violazione, nonchè senza l’individuazione di eventuali elementi di contraddittorietà o illogicità nel percorso motivazionale seguito dalla pronuncia impugnata.

4. In ordine al terzo profilo del mezzo deve rilevarsi che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione; con la conseguenza che il ricorso per cassazione è inammissibile allorchè il ricorrente non lamenti che il giudice abbia omesso di valutare elementi a sè favorevoli (motivazione insufficiente), ovvero che abbia adottato una motivazione illogica, ma prospetti che gli elementi valutati dal giudice erano suscettibili di una diversa lettura, conforme alle proprie attese e deduzioni (cfr, ex pluribus, Cass., SU, n. 5802/1998; Cass., n. 13359/1999).

Poichè, a fronte di una motivazione coerente con le risultanze istruttorie acquisite e priva di vizi logici o errori giuridici, il ricorrente si è limitato a richiedere una lettura di tali risultanze istruttorie diversa da quella resa nella sentenza impugnata, deve convenirsi per l’inammissibilità anche della doglianza all’esame.

5. In definitiva il motivo, nei distinti profili in cui si articola, e quindi il ricorso che sul medesimo si fonda, non può trovare accoglimento.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 18,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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