Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7057 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 12/03/2020), n.7057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20027-2018 proposto da:

LA MIRANTE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MIRANDOLA 23, presso lo

studio dell’avvocato LUCIO MARZIALE, rappresentata e difesa dagli

avvocati ROBERTA RAMACCI, GIOVANNI CASALE;

– ricorrente –

contro

KRI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo

studio dell’avvocato RITA GRADARA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ATTILIO BERTELLI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1954/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a quattro motivi, la Mirante S.r.l. ha impugnato l’ordinanza della Corte d’appello di Milano, resa pubblica in data 24 aprile 2018, che ne dichiarava inammissibile il gravame – ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., non presentando esso “alcuna ragionevole probabilità di accoglimento” – avverso la sentenza n. 3848/2017 del Tribunale di Milano, il quale, a sua volta, l’aveva condannata al pagamento in favore di Shell Italia (ora Kri S.p.A.) della somma di Euro 27.346,09, oltre interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 2002 dalla scadenza delle singole fatture al saldo, nonchè al pagamento delle spese di lite;

che la Corte d’appello di Milano, nel dichiarare l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., specificatamente osservava (per quanto ancora rileva in questa sede) che correttamente il giudice di primo grado aveva deciso: 1) sulla sussistenza della competenza territoriale dell’adito Tribunale di Milano (e non di quello di Frosinone), attesa l’idoneità a radicarla in forza della clausola n. 17 del contratto inter partes; 2) sull’applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 al contratto di netting per la riconducibilità del rapporto che si istaura per effetto di esso alla somministrazione dei bene ex art. 1559 c.c.;

che resiste con controricorso la Kri S.p.A.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, violazione delle norme sulla competenza per aver erroneamente la Corte territoriale ritenuto competente il Tribunale di Milano, anzichè di quello di Frosinone in quanto dal contratto non risultava espressamente quale foro esclusivo quello convenzionalmente stabilito inter partes, e pertanto concorrente con gli altri fori;

b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, violazione delle norme sulla competenza per aver la Corte territoriale errato nell’individuare quale giudice competente il Tribunale di Milano in quanto l’art. 19 del contratto inter partes, invocato dalla controparte, era inesistente, con conseguente inefficacia di qualsiasi accordo che deroghi la competenza ordinaria dopo la conclusione del contratto;

c) con il terzo mezzo è prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per aver la Corte territoriale omesso di valutare l’inesistenza della clausola n. 19 del contratto reso inter partes, pur regolarmente eccepita da essa società in entrambi i giudizi di merito;

d) con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto inerenti al D.Lgs. n. 231 del 2002, per aver erroneamente la Corte territoriale applicato il regime degli interessi moratori ivi previsto alla fattispecie contrattuale, oggetto del presente giudizio, c.d. di “netting”, in virtù di una forzata equiparazione di tale ultima figura contrattuale alla somministrazione di beni;

che il ricorso è inammissibile perchè (in via assorbente di ogni altro profilo di inammissibilità) è stato proposto contro l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. e non già contro la sentenza di primo grado. Difatti, nell’ipotesi in cui il giudizio di gravame si concluda con una ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. (come nella specie), l’impugnazione può essere proposta solo contro la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3 (v. Cass. n. 23151/2018).

Nè ricorre, nel caso in esame, alcuna delle ipotesi in cui le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 1914 del 2016, hanno ritenuto possibile esperire il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in questione. Tale ultimo rimedio è consentito quando l’ordinanza ex art. 348 – bis c.p.c. sia affetta da “vizi suoi propri”, costituenti violazioni della legge processuale (quali, ad esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli artt. 348-bis c.p.c., comma 2 e art. 348-ter c.p.c., commi 1, primo periodo e art. 2 c.p.c., primo periodo, c.p.c.), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso. Detta ordinanza non è, invece, impugnabile per cassazione unicamente per un errore sul giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, nè, quindi, in riferimento alla decisione resa sugli stessi motivi di gravame, su cui, invece, si incentrano le doglianze di parte ricorrente.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la società ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V1-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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