Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7056 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 24/03/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 24/03/2010), n.7056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BONAPARTE 48 S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8,

presso lo studio dell’avvocato SALONIA ROSARIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato COZZOLINO FABIO MASSIMO, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 156/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/02/2006 r.g.n. 1201/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;

udito l’Avvocato COZZOLINO SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G. evocò in giudizio avanti al Tribunale di Milano la Bonaparte 48 spa chiedendo il riconoscimento della natura subordinata (con qualifica dirigenziale ovvero, in subordine, di quadro o di impiegato) del rapporto di collaborazione autonoma intercorso con la convenuta; chiese inoltre la condanna di quest’ultima al pagamento delle maggiori somme dovute e dell’indennità supplementare a seguito dell’intervenuta risoluzione del rapporto (ovvero, in subordine, la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli con applicazione della tutela reale); in estremo subordine chiese l’accertamento che il suo recesso dal rapporto di collaborazione autonoma era assistito da giusta causa, con conseguente condanna della Società al pagamento del compenso dovuto sino alla prevista scadenza del rapporto.

Il Giudice adito dichiarò la nullità del ricorso per violazione dell’art. 414 c.p.c., sul rilievo che il ricorrente non aveva dedotto le circostanze di fatto da cui si potesse desumere la subordinazione.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 26.1 – 13.2.2006, accogliendo l’impugnazione della Bonaparte 48 spa, escluse la nullità del ricorso introduttivo e rigettò le domande svolte.

A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue: – le deduzioni che il primo Giudice aveva ritenuto essenziali per la qualificazione e la determinazione della domanda erano richieste al fine di dimostrare che il descritto rapporto di lavoro era in realtà caratterizzato da un vincolo di subordinazione, cosicchè l’omissione si spostava sul piano probatorio e non comprometteva la qualificazione della domanda;

– i capitoli di prova non risultavano sufficientemente circostanziati, non precisando esattamente quale contenuto concreto avesse la prestazione lavorativa e in che modo la si dovesse ritenere soggetta ad un controllo, gerarchicamente connotato, dell’amministratore delegato;

– apparivano inoltre di per sè non significative, oltre che estremamente poco circostanziate, le deduzioni di essere responsabile dell’area marketing e sport, di coordinare altre persone coinvolte nella realizzazione del lavoro, di utilizzare strumenti di lavoro della società, di avere un ufficio, di essere presente tutti i giorni, di informare periodicamente del lavoro l’amministratore, di rispettare un “piano ferie”, di avvisare della eventuale assenza;

– tali circostanze, non sufficienti per desumere la subordinazione, erano inidonee anche a ritenere esistente tanto un rapporto di natura dirigenziale, quanto un rapporto nella posizione intermedia di quadro, figure che trovavano peraltro la loro individuazione solo attraverso le declaratorie contrattuali, le uniche che potevano consentire, quindi, di delimitare il contenuto effettivo della prestazione lavorativa;

– la insufficiente esposizione relativa agli elementi necessari per affermare la subordinazione non era inoltre sanata neanche dalla documentazione allegata, dalla quale non era dato evincere nessuno degli elementi che potrebbero caratterizzare quella soggezione gerarchica tipica della subordinazione, e che, peraltro, era contrastata dalla documentazione allegata dalla Società, in particolare dalle fatture relative ai compensi emesse dalla società del M., siccome prive di ordine cronologico e non sempre relative ad importi definiti ed identici per ciascun mese, tanto che avrebbero potuto essere giustificate proprio in considerazione di un’attività collaborativa esplicata in termini di autonomia;

– anche la domanda subordinata doveva essere respinta, atteso che a motivo della giusta causa di recesso il M. aveva indicato esclusivamente la circostanza di aver trovato la sua scrivania occupata da un’altra persona, ciò che avrebbe trovato una sua possibile rilevanza qualora si fosse trattato di un rapporto di lavoro subordinato, ma che meno si giustificava in relazione ad un rapporto di natura autonoma, anche se coordinato e continuativo.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale M. G. ha proposto ricorso per Cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.

L’intimata Bonaparte 48 spa ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge (artt. 2094, 20095 e 2967 c.c.; art. 421 e 437 c.p.c.), nonchè vizio di motivazione, deducendo che:

– attese le prestazioni dirigenziali svolte, la Corte di merito avrebbe dovuto esaminare in concreto la sussistenza della subordinazione sulla base di tutti gli elementi, anche sussidiari, esistenti in causa, che, per come dedotti, dovevano ritenersi idonei a riconoscere la natura subordinata dell’attività prestata, cosicchè avrebbe dovuto essere dato ingresso alle prove testimoniali richieste;

– la Corte territoriale avrebbe inoltre dovuto approfondire i fatti, eventualmente disponendo le necessarie integrazioni avvalendosi dei propri poteri istruttori officiosi;

– erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che fosse necessario, per ritenere esistente tanto un rapporto di natura dirigenziale, quanto un rapporto di quadro, la loro individuazione attraverso le declaratorie contrattuali, atteso che la caratterizzazione della subordinazione e dei vari collaboratori dell’imprenditore, nelle loro salienti caratteristiche, trova la propria fonte nella legge;

– contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la documentazione prodotta da esso ricorrente evidenziava il pieno inserimento della sua attività nella struttura societaria con modalità tali da risultare incompatibili con un rapporto di lavoro autonomo, nel mentre le fatture, di numero progressivo, erano state emesse per ogni mese e per l’identico importo, salva la ricorrenza di eventuali compensi aggiuntivi riconosciuti dalla parte datoriale.

1.1 Osserva il Collegio che la Corte territoriale non si è limitata a rilevare come non fosse stato chiesto di provare in che modo la prestazione lavorativa fosse soggetta al controllo gerarchico dell’amministratore delegato della Società, ma ha espressamente preso in considerazione il complesso delle ulteriori circostanze (ossia i cosiddetti elementi sussidiari), così come dedotte dal lavoratore attraverso i capitoli di prova formulati, per escludere che le stesse potessero ritenersi significative e sufficienti per ritenere sussistente la dedotta natura subordinata del rapporto.

In altri termini la Corte territoriale non ha ritenuto astrattamente ininfluenti, ai fini del riconoscimento o meno della natura subordinata di un rapporto asseritamente dirigenziale, gli elementi sussidiari, ma, analizzandoli specificamente nei termini in cui erano stati dedotti a prova, ha compiuto la valutazione della loro inidoneità ai fini della richiesta qualificazione subordinata del rapporto.

Trattasi evidentemente di una valutazione che, nell’ambito del controllo di coerenza logico – formale consentito in questa sede di legittimità, si presenta priva di elementi di contraddittorietà e immune da errori giuridici, cosicchè la doglianza svolta al riguardo dal ricorrente si risolve, inammissibilmente, nella richiesta di un riesame del merito; nè, al contempo, può ritenersi che le circostanze dedotte a prova si presentino caratterizzate da decisività, nel senso che, se dimostrate, avrebbero comportato, in base ad un giudizio di certezza e non di mera probabilità, una diversa decisione, sicchè anche sotto questo profilo la censura non merita accoglimento.

1.2 Neppure risulta fondato l’addebito di mancato ricorso ai poteri istruttori officiosi, sia perchè tali poteri non possono sopperire al mancato assolvimento dell’onere di allegazione sulle circostanze di fatto su cui si fonda la domanda (nella specie motivatamente reputato non adeguatamente adempiuto), sia perchè, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio (ciò che nel caso di specie il ricorrente neppure ha dedotto), in quanto, diversamente, si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (cfr, Cass., n. 14731/2006).

1.3 Quanto al profilo di doglianza inerente alla (pretesamente) erronea valutazione delle risultanze documentali, deve osservarsi come il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr, ex pluribus, Cass., SU, n. 5802/1998), cosicchè deve ritenersi inammissibile la censura che, come nella specie, prospetti che gli elementi valutati dal giudice erano suscettibili di un’altra lettura, conforme alle diverse attese e deduzioni della parte (cfr, ex pluribus, Cass., n. 13359/1999).

Nel caso all’esame, inoltre, neppure può essere valutata l’eventuale decisività della documentazione prodotta, posto che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ne è stato ivi trascritto, se non per brevi e frammentari lacerti, il contenuto.

1.4 L’infondatezza dei profili di doglianza fin qui esaminati assorbe la censura inerente alla rilevanza, ai fini del decidere, delle declaratorie contrattuali.

1.5 Nei distinti profili in cui si articola il motivo all’esame va pertanto disatteso.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge (art. 2227 c.c.), nonchè vizio di motivazione, deducendo che erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato anche la domanda subordinata, poichè doveva ritenersi essenziale che ad esso ricorrente fosse consentito di svolgere materialmente la propria attività nell’ufficio messogli a disposizione, con l’utilizzo del computer e della linea telefonica dedicatagli, sicchè il comportamento della committente lo aveva privato della possibilità di completare l’incarico.

2.1 La Corte territoriale ha esaminato la circostanza “esclusivamente” dedotta dall’odierno ricorrente a prova della pretesa giusta causa di recesso (l’aver cioè trovato la sua scrivania occupata da altra persona), traendone la conclusione della sua non rilevanza nell’ambito di un rapporto di natura autonoma, anche se coordinato e continuativo.

Trattasi di motivazione priva di elementi di illogicità, a cui il ricorrente si limita a opporre una diversa lettura della circostanze dedotte in giudizio, come tale inammissibile in questa sede di legittimità.

2.2 Anche il motivo all’esame non può pertanto trovare accoglimento.

3. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 27,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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