Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7056 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 12/03/2021), n.7056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23944/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avv. LORENZO TRUCCO, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

e contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 218/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 7.5.2017 il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso proposto da S.M. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale con il quale era stata respinta la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Interponeva appello il S. e la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, n. 218/2019, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.M. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato la protezione sussidiaria.

La censura è inammissibile.

Per quanto attiene al diniego della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), va osservato che la Corte di Appello ha infatti condiviso la valutazione di non credibilità operata dal Tribunale in relazione alla storia del richiedente, che aveva riferito di essere fuggito dal Mali, suo Paese di origine, perchè era stato aggredito e ferito dagli abitanti del suo villaggio, desiderosi di impadronirsi di un terreno che egli possedeva. Inoltre, il collegio di secondo grado ha dato atto che l’odierno ricorrente non aveva specificamente contestato, con i motivi di appello, la valutazione di inattendibilità di cui anzidetto. Il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di aver – al contrario – proposto una specifica censura in appello in punto di credibilità della sua storia, nè, comunque, attinge in modo preciso la statuizione della Corte territoriale, limitandosi ad affermare, in termini generici, che il suo racconto avrebbe dovuto essere ritenuto attendibile.

Sotto il profilo di cui all’art. 14, lett. c), invece, la sentenza impugnata, pur non citando direttamente le fonti informative sul Mali, richiama in modo esplicito quelle già consultate dal giudice di prima istanza (cfr. pag. 7). Tale motivazione, evidentemente redatta per relationem, non risulta adeguatamente attinta dalla censura, con la quale il ricorrente, pur richiamando alcune fonti informative (cfr. pag. 7 del ricorso) non precisa in che modo queste ultime sarebbero idonee a dimostrare l’inadeguatezza di quelle utilizzate dal Tribunale e richiamate dalla Corte di Appello. Sul punto, occorre ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (v. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4037 del 18/02/2020, Rv. 657062).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato anche la concessione della tutela umanitaria.

La censura è inammissibile.

La Corte lombarda non ha ravvisato la sussistenza di profili di vulnerabilità idonei ai fini del riconoscimento della protezione in esame, considerando la giovane età del richiedente, l’assenza di patologie gravi o invalidanti, il fatto che egli in Mali avesse ancora madre e sorelle ed ha quindi escluso l’esistenza di rischi di compromissione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio. Questa statuizione non risulta adeguatamente attinta dal motivo, con il quale il ricorrente non deduce alcun profilo di inserimento nel tessuto socio-lavorativo italiano, ma si limita a sottolineare il fatto che egli avesse abbandonato il Mali da minorenne, per giungere in Italia appena maggiorenne; circostanza, questa, di per sè ininfluente, posto che la valutazione in merito alla sussistenza dei profili di vulnerabilità individuale va condotta con riferimento alla data della decisione, e non a quella della domanda o dell’inizio della migrazione.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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