Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7056 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 12/03/2020), n.7056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19511-2018 proposto da:

SANTONI CERAMICHE SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PORRU, rappresentata e

difesa dall’avvocato GAVINO TANCHIS;

– ricorrente –

contro

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARRIGO BOITO

31, presso lo studio dell’avvocato MARTA ELENA ANGELA DIAZ,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO DIAZ;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 494/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che la Santoni Ceramiche S.p.A., con ricorso affidato a tre motivi, ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in data 21 dicembre 2017, e la successiva ordinanza di correzione in data 13 aprile 2018, che, in accoglimento del gravame proposto da T.S. avverso la decisione del Tribunale di Sassari, ne rigettava la domanda di condanna del T. al pagamento della somma di Euro 5.259,77, oltre accessori, a titolo di corrispettivo per la vendita di materiale edilizio;

che la Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava che: 1) la domanda proposta dalla società attrice era quella “di pagamento del compenso richiesto.. per la fornitura di merci” e tale “generico riferimento a fornitura di merce… non costituiva prova utile a dimostrare l’esistenza di un contratto di fornitura”; 2) l’unico rapporto di fornitura intercorso tra le parti, del quale veniva fornita evidenza, era quello relativo alla fattura n. 931 emessa da Santoni Ceramiche” il 30 marzo 2003 ed adempiuta dal T. con pagamento in assegno; 3) in assenza di allegazione e prova di “ulteriore fornitura” e del “conseguente diritto al corrispettivo”, la “originaria domanda di inadempimento contrattuale” era da rigettare; 4) la società attrice non poteva neppure giovarsi dell’assegno oggetto di furto, sia perchè aveva esperito azione contrattuale, sia perchè il titolo non poteva qualificarsi come promessa di pagamento, non essendo stata fornita prova del fatto che il titolo, “mai reperito dopo il furto e mai presentato per il pagamento… era stato emesso a favore della società, in quanto lo stesso legale rappresentante della società all’atto della denuncia del furto non aveva saputo indicare l’intestatario dell’assegno”;

che resiste con controricorso T.S.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo (come articolato nel corpo del ricorso e non già nella mera iniziale sintesi) è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., per non aver la Corte ritenuto che l’assegno bancario oggetto di furto costituisse promessa di pagamento, avendo il T. confessato, con lettera del 21 dicembre 2005, che era stato emesso a favore della società attrice;

a) con il secondo mezzo (come articolato nel corpo del ricorso e non già nella mera iniziale sintesi) è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la mancanza o il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia”, per aver la Corte territoriale omesso di esaminare la lettera confessoria del T. del 21 dicembre 2005 e quella di costituzione in mora del 15 dicembre 2005;

a.1-b.1) i motivi, da scrutinarsi congiuntamente per essere tra loro connessi, sono inammissibili.

La Corte territoriale, sulla scorta della valutazione delle risultanze probatorie (cfr. sintesi nel “Ritenuto che”), ha accertato, dapprima, che non vi era prova del dedotto rapporto di fornitura di merci, ma soltanto dell’esistenza di un’unica fornitura, il cui corrispettivo era stato versato dal T., e, poi, che l’assegno oggetto di furto, mai reperito, nè presentato per il pagamento, non era stato emesso a favore della società attrice.

In forza di tale accertamento di fatto, il giudice di secondo grado ha, quindi, correttamente applicato il principio di diritto, consolidato, secondo cui, in materia di titoli di credito, il mero possessore di un assegno bancario che non risulti nè prenditore nè giratario dello stesso non è legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto se non dimostrando l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito, poichè il semplice possesso del titolo non ha un significato univoco ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che l’assegno sia a lui pervenuto abusivamente. Nè l’assegno può comunque valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’art. 1988 c.c., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti del soggetto a cui la promessa sia stata effettivamente fatta, sicchè anche in tal caso il mero possessore di un titolo all’ordine (privo del valore cartolare), non risultante dal documento, deve fornire la prova della promessa di pagamento a suo favore. (Cass. n. 948/2005, Cass. n. 7262/2006, Cass. n. 15688/2013).

La ricorrente, oltre a non veicolare censure idonee a scalfire l’anzidetto principio di diritto, propone una diversa lettura delle emergenze probatorie, accennando all’esistenza di una confessione stragiudiziale del T. ed a una lettera di messa in mora, delle quali, però, non dà contezza alcuna (anche nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) di come e in che termini siano state oggetto di tempestiva allegazione (e non già solo di produzione documentale) nel giudizio di primo grado e di rituale riproposizione in sede di gravame (unitamente, questa volta, al deposito dei documenti in tale ultima sede), altresì contestando l’interpretazione fornita dal giudice di appello della domanda inizialmente proposta (ossia di adempimento di un contratto di fornitura di merci), senza, tuttavia, dare contezza (anche in questo caso) del contenuto specifico dell’atto di citazione. Nè, a fronte di una motivazione affatto sufficiente e intelligibile resa dalla Corte di appello, è dedotto, in modo specifico (secondo l’insegnamento di Cass., S.U., n. 8053/2014), un vizio di omesso esame di fatti storici, bensì la critica si appunta sull’omessa valutazione di documenti, che, di per sè, costituiscono il materiale probatorio da cui poter trarre il fatto storico decisivo;

c) con il terzo mezzo è denunciata la violazione degli artt. 116,175,177 e 245 c.p.c., per aver la Corte territoriale deciso senza ammettere i mezzi istruttori (prova per testi e interrogatorio formale) richiesti dalla società attrice in primo grado e non ammessi dal primo giudice;

comma 1.) il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non indica (nè fornisce idonea localizzazione processuale ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) se e in che termini abbia insistito sull’ammissione delle prove anche in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado e, poi, di aver riproposto la relativa istanza di ammissione in sede di gravame, nè, peraltro, dà contezza alcuna, ai fini della decisività delle prove stesse, del tenore dei capitoli di interrogatorio formale e di prova testimoniale.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e la società ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2020

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