Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7056 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 7056 Anno 2016
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA
sul ricorso 22253-2011 proposto da:
CAPUZZO NICOLA CPZNOL72M22D442H, CAVALLARO FEDERICA
CVLERC74P48G224K, domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA
CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE DI

CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato

ANTONIO BERTOLI;
– ricorrenti –

2016
contro

461
CONFORTO

ROSANNA

CNFRNN62S59I799J,

BERTO

ROSA

BRTRS032D561120R, CONFORTO DANIELA CNEDNL60A67I799D,
domiciliate ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

Data pubblicazione: 11/04/2016

CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e
difese dall’avvocato DANIELA CAPUZZI;
– controricorrenti

nonchè contro

PALUELLO GIUSEPPE, PALUELLO LUCA, BRESSAN MARIA;
intimati

avverso la sentenza n. 1016/2011 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 22/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO
ORIIIA;
udito l’Avvocato DANIELA CAPUZZI, difensore delle
controricorrenti, che ha chiesto il rigetta del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso e per la condanna alle
spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nicola Capuzzo

e

Federica

Cavallaro,

con

atto

13.12.2004, convennero in giudizio davanti al Tribunale di
Padova sez. Este i vicini Rosanna e Daniela Conforto nonché Rosa
Berto per ottenere il regolamento dei confini e l’apposizione

dei termini.
Le convenute si opposero alla domanda chiamando in
giudizio il loro dante causa Leone Paluello per essere garantiti
in caso di soccombenza; proposero inoltre domanda
riconvenzionale chiedendo la condanna degli attori
all’abbattimento di un garage realizzato in violazione delle
norme sulle distanze legali tra costruzioni.
2

L’adito Tribunale, all’esito di consulenza tecnica,

accertò che il confine tra i fondi era quello raffigurato nelle
mappe catastali e non coincideva con la recinzione esistente e
pertanto – per quanto ancora interessa in questa sede – in
accoglimento della domanda riconvenzionale condannò gli attori a
demolire il garage.
La Corte d’Appello di Venezia, adita dagli originari
attori, in parziale riforma della sentenza – e sempre per quanto
qui interessa – condannò i predetti all’arretramento del garage
alla distanza di metri dieci dalla parete finestrata
dell’abitazione delle convenute e a metri cinque dal confine.
Per giungere a tale conclusione la Corte d’Appello rilevò,
per quanto ancora interessa:
3

- che il mandato conferito dai convenuti al difensore lo
abilitava anche alla proposizione della domanda riconvenzionale
di violazione delle distanze legali, in quanto ricollegabile
all’originario oggetto della lite (accertamento del confine tra

i rispettivi fondi);
– che il dedotto vizio di extrapetizione era infondato
perché la domanda riconvenzionale aveva ad oggetto la violazione
delle distanze legali (e non già quella di rispetto delle norme
sulle luci e vedute come erroneamente sostenuto dagli attori):
pertanto correttamente il Tribunale si era pronunciato su tale
domanda, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica
di ufficio.
3 Per la cassazione della sentenza Capuzzo e Cavallaro
hanno proposto ricorso suJla base di due motivi illustrati da
memoria ex art. 378 cpc, a cui le Conforto-Berto resistono con
controricorso.
Gli eredi di Paluello (già costituitisi nel corso del
giudizio di primo grado dopo il decesso del loro dante causa)
non hanno svolto in questa sede attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con la prima censura sí deduce violazione degli artt.

83 e 84 cpc riproponendosi la questione della mancanza di idonea
procura al difensore dei convenuti ai fini della proposizione
della domanda riconvenzionale.
Il motivo è infondato.
4

Secondo un generalissimo principio più volte richiamato
nella giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite – ed
oggi ancora una volta ribadito dal Collegio – la facoltà di
proporre tutte le domande ricollegabili all’interesse del suo

assistito e riferibili all’originario oggetto della causa
attribuita al difensore direttamente dall’art. 84 c.p.c. di rito
e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle
liti (tra le varie,. Sez. 3, Sentenza n. 9463 del 18/04/2013 Rv.
625808; Sez. 3, Sentenza n. 17883 del 31/08/2011 Rv. 619262
entrambe non massimate; Sez. U, Sentenza n. 19510 del 14/09/2010
Rv. 614141).

Ora, non può asso–lutaMOMgMettersi in dubbio il fatto che
una domanda di violazione delle distanze legali di edifici dal
confine e dalle costruzioni sia s trettamene collegata a quella
con cui si chieda l’accertamento della linea di confine e
pertanto la decisione della Corte d’Appello appare del tutto
corretta

in diritto

avendo fatto applicazione proprio di tali

principi al caso di specie in cui ad una domanda di accertamento
del confine tra fondi contigui era seguita una riconvenzionale
di riduzione in pristino per violazione delle distanze legali.
2

Con la seconda censura, sviluppata in una duplice

articolazione, si deduce, ex art. 360 n. 5 cpc, il vizio di
motivazione circa l’accoglimento della domanda riconvenzionale
di accertamento delle distanze legali, nonché la violazione, ai
sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 112 cpc con riferimento
5

alla applicazione della disciplina di cui all’art. 907 cc
relativa alla distanza delle costruzioni dalle vedute anziché di
quella dell’art 873 cc relativa alla distanza delle costruzioni.
Secondo la tesi dei ricorrenti, pur corrispondendo a vero
che le convenute avevano invocato in via riconvenzionale il

rispetto della distanza legale tra edifici, il Tribunale, sulla
scorta egli accertamenti del CTU (che aveva accertato le
distanze

“tra pareti finestrate”),

aveva invece disposto

l’abbattimento per violazione della disciplina di cui all’art.
907 cc (distanze delle costruzioni dalle vedute). La Corte
d’Appello, così come del resto il Tribunale, sempre a dire dei
ricorrenti, sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione
La censura è manifestamente infondata.
Le convenute in riconvenzionale invocarono la violazione
delle distanze legali, come accertato dalla Corte d’Appello e
come gli stessi ricorrenti oggi finiscono per ammettere (v. pag.
9 ricorso), abbandonando così la diversa tesi da essi
prospettata col secondo motivo di appello in cui, al contrario,
sostenevano che la riconvenzionale riguardasse il rispetto delle
norme sulle luci e vedute (v. sentenza impugnata pag. 9 ove è
sintetizzato appunto la censura sollevata col secondo motivo di
appello).
Ebbene, sulla base di una tale formulazione, il Tribunale
aveva applicato le norme regolamentari sulle distanze tra
fabbricati, integrative del codice civile come prescrive
6

chiaramente

l’articola

873

cc.

E

la

Corte

d’Appello,

riconoscendo del tutto correttamente che il Tribunale si era
attenuto alla domanda di rispetto della violazione sulle
distanze legali, parimenti ha applicato tale normativa locale

limitandosi a correggere la pronuncia dei primi giudici
sostituendo alla demolizione l’arretramento del manufatto a
distanza illegale (v. pag. 10).
Il ricorso nella sua poco chiara articolazione, mostra
evidentemente di ignorare che le norme tecniche di attuazione
del piano regolatore sono integrative delle disposizioni del
codice civile sulle distanze tra costruzioni (art. 873) e
richiama del tutto fuori luogo la disciplina dell’art. 907 cc
sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, da nessuno mai
invocata né applicata. La distanza tra pareti “finestrate” che i
giudici di merito hanno considerato indica solo una modalità di
calcolo delle distanze legali tra fabbricati: trattasi di una
formula spesso ricorrente nei regolamenti locali e risulta
mutuala dal Decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444
(Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi
destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi
pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico
o a

parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi

strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai
sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765).
7

L’espressione

indica

insomma pareti munite di

qualificabili come “vedute”

finestre

(cfr. tra le varie, Sez. 2, Sentenza

n. 6604 del 30/04/2012 Rv. 622397; Sez. 2, Sentenza n. 1362 del
22/02/1996 Rv. 495958) ma – lo si ripete – non esclude la

appunto, le pareti siano munite di vedute.
Il ricorso – che peraltro non pone assolutamente in
discussione l’esistenza di pareti finestrate nel fabbricato
contiguo a quello dei Capuzzo Cavallaro va perciò
integralmente rigettato e i ricorrenti, soccombenti, vanno
condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di

ajún.,

legittimità nella misura indicata in dispositivoiNbu t
c”i(21114ú.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio che liquida in C. 3.200,00,
di cui E. 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 25.2.2016.

applicabilità delle norme sulle distanze tra fabbricati qualora,

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