Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7054 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 12/03/2021), n.7054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24158/2019 proposto da:

C.I.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato NICOLA

VISCANTI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

MATERA, VIA GIACOMO MATTEOTTI 9;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– resistente –

avverso il decreto n. 1602/2019 del TRIBUNALE di POTENZA, depositato

in data 18/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.I.C. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), nella regione Lagunes, e di aver vissuto sempre in tale città; di aver frequentato la scuola per 11 anni, sostenuto dal padre e, dopo la morte di quest’ultimo nel (OMISSIS), dalla madre; che quest’ultima si era risposata nel (OMISSIS) ed egli era andato a vivere nella casa del patrigno, dove gli era stato riservato un trattamento differente dagli altri fratellastri; che questa diversità di trattamento era stato il motivo della fuga dalla famiglia; che, successivamente, vivendo in strada, si era legato a bande di ragazzi, i quali effettuavano atti delinquenziali, come furti e aggressioni; che, pertanto, preferiva la fuga raggiungendo l’Italia nel (OMISSIS); di temere, in caso di rimpatrio, di finire nuovamente nel giro dei ragazzi di strada ed essere arrestato o ucciso non avendo la famiglia che si occupava di lui.

In sede di audizione giudiziale, il ricorrente aveva evidenziato di essere stato maltrattato anche fisicamente dal patrigno e dalla madre, oltre al fatto di essere ricercato dalla polizia per i reati commessi nel suo Paese, temendo, in caso di rimpatrio, di essere arrestato.

Con decreto n. 1602/2019, depositato in data 18.7.2019, il Tribunale di Potenza rigettava il ricorso, in primo luogo respingendo la eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 46 del 2017, in quanto manifestamente infondata e irrilevante ai fini della risoluzione del giudizio, essendo stata fissata l’udienza di comparizione per l’audizione del ricorrente. Il Giudice riteneva il racconto confuso e poco credibile a causa delle numerose contraddizioni. Nel merito, non poteva essere accolta la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto non era possibile ravvisare il rischio effettivo di subire un grave danno come definito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Del pari, non potevano ritenersi sussistenti i presupposti di cui all’art. 14, lett. c), della suddetta norma, avuto riguardo sia alla condizione soggettiva del ricorrente, sia alla situazione del Paese d’origine. Infatti, in Costa d’Avorio non sussisteva una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, come risultava dai report internazionali. Infine, anche la domanda di protezione umanitaria doveva essere rigettata in quanto non si riteneva ravvisabile una situazione di vulnerabilità. Nella fattispecie, risultava che il ricorrente avesse abbandonato il proprio Paese d’origine sulla base di timori, legati, da un lato, a vicende personali, e dall’altro lato, a vicende di microcriminalità, che il Tribunale riteneva del tutto indimostrati e che non giustificavano il riconoscimento della richiesta forma di protezione.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione C.I.C. sulla base di quattro motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente il ricorrente chiede al Tribunale di sollevare “eccezione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 e del D.L. n. 13 del 2017, art. 35, commi 9 e 10″, per contrasto con gli artt. 3,24 Cost., art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui tale normativa, subordinando la fissazione dell’udienza a ipotesi lasciate alla mera discrezionalità del Giudice, non garantisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’esercizio del diritto di difesa e il diritto al contraddittorio, tutti principi cardine del processo civile, così come per l’eliminazione del giudizio di appello avverso il provvedimento del primo Giudice.

1.1. – L’istanza non è meritevole di accoglimento. Con l’ordinanza n. 17717 del 2018, condivisa dal Collegio, questa Corte ha già affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Ciò in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.

La manifesta infondatezza della questione de qua è stata ribadita anche con l’ordinanza (Cass. n. 27700 del 2018), che ha puntualizzato che nel procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è necessario soddisfare esigenze di celerità; non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado e il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa, che si svolge davanti alle commissioni territoriali, deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l'”Omesso riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14”, assumendo che la Costa d’Avorio fa parte di un’area ritenuta ad alto potenziale di criminalità politica e comune, con inadeguato controllo delle istituzioni, le cui forze speciali, al contrario, sono autrici di violenze e lesioni dei diritti umani.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Il Tribunale di Potenza ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente, vago e non circostanziato, rimarcando che permaneva una grave carenza descrittiva nella dinamica dei fatti ed una sommaria descrizione degli elementi di timore in caso di rientro. Sulla base di siffatti rilievi il Tribunale escludeva la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento in favore del richiedente dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Nessun vizio inficia le argomentazioni del Tribunale. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzitutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. ord., n. 16925 del 2018). Nel caso in esame, correttamente è stata esclusa la necessità di approfondimenti istruttori, essendosi al cospetto di un racconto ritenuto “vago e non circostanziato” alla stregua dei parametri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

2.3. – Il Tribunale di Potenza ha poi aggiunto che le criticità, che attualmente riguardano la Costa d’Avorio, comunque non rendono sussWente in tutto il paese il rischio di violenza indiscriminata.

Deve premettersi che questa Corte (cfr. amplius, Cass. n. 32064 del 2018, in motivazione) ha chiarito che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretata in conformità alla fonte Eurocomunitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono, di per sè, una minaccia individuale da definirsi come danno grave (cfr. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE). Ciò in quanto l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente laddove il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza gli scontri tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, raggiunga un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, rinviato nel paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (cfr., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018). Una specifica situazione di tal fatta, però, è stata esclusa dal Tribunale di Potenza con riguardo alla Costa d’Avorio e questo accertamento costituisce un’indagine di fatto che può esser censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il che non è avvenuto, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito (v. comunque par. 4 del decreto impugnato).

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce “L’error in judicando e in procedendo, l’errata interpretazione e applicazione del dato normativo, il difetto di istruttoria, l’astrattezza della decisione, la sua inadeguatezza e illogicità. Violazione di legge: art. 127 c.p.c.; artt. 702 ter, 115 e 184 c.p.c.; D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 – Convenzione di Ginevra del 1951; prot. di New York del 1967; art. 15, lett. c) Dir. 2004/83/CE; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,6 e 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3”; e con il quinto lamenta la “Violazione dell’art. 19 del T.U. sull’immigrazione”. Il Tribunale, oltre alle suddette violazioni, avrebbe altresì omesso di fornire adeguata motivazione sui punti decisivi prospettati dal ricorrente, avendo omesso di istruire il processo, senza valutare le circostanze rilevanti emerse e non indicando quelle di necessario approfondimento. Peraltro nulla era detto in merito alla sollevata violazione della Convenzione di Ginevra e del Protocollo di New York.

3.1. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i tre motivi varino esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono inammissibili.

3.2. – La censura cumula denunce di nullità del provvedimento impugnato, di omesso esame di un fatto decisivo e controverso e una violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Al riguardo questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 7628 del 2020; Cass. n. 11222 del 2018; Cass. n. 27458 del 2017); o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro.

Nel caso in esame, il ricorrente sottopone all’esame di questa Corte una serie di aspetti diversi, alcuni prospettati in diritto, altri in fatto, alcuni riguardanti la protezione sussidiaria, altri la protezione umanitaria con riguardo a profili differenti, con la conseguenza che viene riversato nel ricorso., l’intero contenuto delle fasi di merito devolvendo alla Corte di cassazione l’individuazione degli eventuali vizi invalidanti la decisione impugnata.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).

3.3. – Va, peraltro, posto in rilievo che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 26110 del 2016; Cass. n. 195 del 2016). Sicchè, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni concrete adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (ex plurimis, Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 2831 del 2009; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 828 del 2007).

3.4. – Quanto poi alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (peraltro erroneamente evocato con riferimento alla asserita omissione del procedimento ermeneutico; ovvero al difetto di motivazione), va posto in rilievo che costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è alcuna idonea e specifica indicazione.

3.5. – Peraltro, è principio altrettanto consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, che appare congrua e coerentemente supportata) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

3.6. – Va dunque sottolineato come il controllo affidato a questa Corte non equivalga alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche da Cass. n. 25332 del 2014). Sicchè, in ultima analisi, tale motivo si connoterebbe quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attengono all’apprezzamento motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

Viceversa, i ricorrenti mostrano di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e le vicende processuali, quanto gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi, e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). Ma compito della Cassazione non è, infatti, quello di condividere o non condividere la ricostruzione degli accadimenti contenuti nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008); dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che appunto, nel caso di specie, è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

4. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente pirradie, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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