Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7052 del 28/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/03/2011, (ud. 17/02/2011, dep. 28/03/2011), n.7052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TUTONET S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RAFFAELE LAMBRUSCHINI 27,

presso GRANDE MARIA, rappresentata e difeso dall’avvocato D’AVOLA

ALDO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.P., S.M.G., C.G.,

tutte domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato

DISTEFANO CARMELO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 558/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/08/2006 R.G.N. 369/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per: dichiarazione di

Improcedibilita.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva in data 4-5-1999 (poi confermata in appello e dalla Corte di cassazione (v. Cass. n. 10523/2001) il Pretore di Ragusa dichiarava la illegittimità del licenziamento intimato dalla allora TUTONET s.n.c. a C.G., M.P. e S.M.G. e condannava la società alla reintegrazione e al risarcimento danni in favore delle lavoratrici nella misura delle retribuzioni globali di fatto alle stesse spettanti dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegrazione, disponendo per il prosieguo del giudizio, in ordine alle altre domande concernenti differenze retributive.

Con sentenza non definitiva del 7-3-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ragusa condannava la società al pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti delle differenze retributive calcolate dal CTU (comprensive di indennità per lavoro straordinario e TFR alla data del licenziamento) oltre accessori e riconosceva il diritto delle lavoratrici alla indennità sostitutiva della reintegrazione L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 5, avendo le stesse optato nel corso del giudizio con apposita istanza, nonchè il diritto all’indennità di fine lavoro per il periodo dalla data del licenziamento al 9-11-1999, disponendo per il prosieguo in ordine alla quantificazione dei detti emolumenti.

Con sentenza definitiva del 17-10-2003 veniva, poi, quantificato l’importo dovuto rispettivamente alle dette lavoratrici a titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione e di TFR per il periodo dalla data del licenziamento al 9-11-1999.

Avverso il dispositivo della sentenza non definitiva del 7-3-2003 la società proponeva appello con riserva dei motivi unitamente ad istanza di inibitoria. Si costituivano le lavoratrici chiedendo la revoca della sospensione della provvisoria esecuzione disposta con ordinanza del 29-4-2003 ed eccependo la inammissibilità dell’appello della società con riserva dei motivi, in quanto in violazione dell’art. 433 c.p.c., comma 2, la inibitoria richiesta contestualmente non aveva come oggetto una sentenza, bensì un’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 423 c.p.c.. Deducevano ancora che la società era comunque decaduta dall’appello perchè non aveva presentato i motivi nel termine di cui all’art. 434 c.p.c. ma piuttosto, nonostante l’avvenuta notifica della sentenza in data 14-4- 2003, all’udienza dell’11-4-2003 dinanzi al giudice di primo grado aveva avanzato una riserva di appello. Le lavoratrici, inoltre, proponevano appello incidentale con il quale censuravano la sentenza impugnata laddove ai fini del computo delle retribuzioni dovute loro dall’11-4-1994 al 9-11-99, nonchè delle 15 mensilità e dell’indennità di fine lavoro per il periodo successivo alla data del licenziamento, aveva stabilito di adottare il criterio della media mensile delle retribuzioni risultanti dalle buste paga degli ultimi quattro mesi (anzichè dell’ultimo anno) prima della data del licenziamento, prescindendo del tutto dalla contrattazione collettiva di categoria (invece contraddittoriamente applicata per il periodo anteriore al licenziamento).

Siffatte censure venivano poi proposte dalle lavoratrici con l’appello principale avverso la sentenza definitiva del 17-10-2003, con cui veniva chiesta la condanna della società al pagamento di maggiori somme per le causali ivi indicate.

Nel detto giudizio si costituiva la società proponendo anche appello incidentale con varie doglianze.

Riuniti gli appelli come sopra pendenti, con sentenza non definitiva in data 23-9-2004 (poi confermata da Cass. 10695/2008) la Corte d’Appello di Catania in sintesi dichiarava inammissibili le impugnazioni della società e provvedeva per il prosieguo disponendo CTU. Infine con sentenza definitiva depositata il 4-8-2006, la Corte d’Appello di Catania, “vista la sentenza non definitiva emessa in data 23-9-2004, condannava la Tutonet s.r.l. a pagare alla C. la somma di Euro 74.105,79, alla M. la somma di Euro 73.568,53 e alla S. la somma di Euro 109.973,02, “tutti determinati al lordo, oltre alla rivalutazione monetaria sui singoli importi via via rivalutati sino al soddisfo”, condannando altresì la società al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte di Catania respingeva l’eccezione di nullità della CTU per il ritardo nel deposito e ne condivideva i criteri e le conclusioni, rilevando che il consulente d’ufficio correttamente aveva “integrato il mandato ricevuto con la decisione non definitiva (emessa in pari data alla ordinanza di nomina)”.

Per la cassazione di tale sentenza la Tutonet s.r.l. ha proposto ricorso con due motivi.

Le lavoratrici intimate hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando contraddittorietà della motivazione, in merito alla quantificazione delle somme liquidate in favore di M.P. lamenta che la Corte territoriale, pur prendendo a fondamento la consulenza tecnica del CTU invece di considerare la complessiva somma di Euro 109.973,02, già comprensiva di rivalutazione e interessi, conclude poi con la condanna al pagamento della medesima somma, oltre rivalutazione.

Il motivo è infondato.

Osserva il Collegio che, in base alle risultanze della CTU come riportate nello stesso ricorso, alla M. competono in totale Euro 73.568,53 (per risarcimento danno dal 12-5-94 al 9-11-99, indennità di 15 mensilità e TFR) che, con rivalutazione e interessi al 31-8-2005, ammontano ad Euro 109.973,02.

Orbene, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la sentenza impugnata ha condannato la TUTONET a pagare alla M. Euro 73.568,53 (e non Euro 109.973,02), “al lordo, oltre alla rivalutazione monetaria sui singoli importi via via rivalutati sino al soddisfo”. Del tutto infondata risulta, quindi, la censura della ricorrente, in quanto la condanna in favore della M. è stata emessa nell’esatto importo capitale calcolato dal CTU, oltre rivalutazione e interessi sino al soddisfo.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 424 c.p.c. e nullità della CTU, deduce che la Corte territoriale, nell’udienza del 26-10-2004 conferiva mandato al CTU, assegnando 60 giorni per l’espletamento dell’incarico. Alla successiva udienza del 11-1-2005 il CTU chiedeva proroga che veniva accordata con rinvio al 8-2-2005. Nemmeno in tale data il CTU depositava alcunchè.

Nonostante la chiesta sostituzione del perito, la Corte rinviava ulteriormente all’udienza del 26-4-2005, ma anche in tale data il CTU nulla depositava. Nonostante la diffida per la successiva udienza del 14-6-2005, anche per tale data nulla veniva depositato e la causa veniva rinviata al 19-7-2005 e poi ancora all’11-10-2005.

In tal modo, secondo la ricorrente, stante il reiterato ritardo nel deposito, la CTU doveva considerarsi nulla.

La censura è infondata.

Sul punto legittimamente la Corte territoriale ha rilevato che “nel caso in esame il CTU, pur in reiterato ritardo rispetto al termine iniziale, ha comunque depositato la relazione nel termine di 10 giorni prima dell’udienza del 15-6-2006, consentendo alla difesa della società di svolgere le proprie deduzioni nelle note critiche del 5-6-2006”.

In tal modo la Corte di merito si è attenuta al principio affermato da questa Corte Suprema secondo cui “Nel rito del lavoro l’inosservanza, da parte del consulente tecnico d’ufficio nominato in appello, del termine assegnatogli per il deposito della consulenza, non è causa di alcuna nullità, a condizione che esso avvenga almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione, conformemente al disposto dell’art. 441 c.p.c., comma 3” (v. Cass. 26-5-2004 n. 10157, Cass. 8-11-2010 n. 22708).

La società ricorrente, infine, lamenta, che il CTU, discostandosi dal mandato ricevuto, ha provveduto all’applicazione integrale del CCNL, così incrementando le ore retribuite quale straordinario e rideterminando le retribuzioni spettanti in applicazione della contrattazione collettiva, e si duole che la Corte territoriale, disattendendo le osservazioni del perito di parte, in sostanza ha sanato ex post l’operato del CTU, senza che la parte abbia potuto contraddire circa l’oggetto del mandato.

La censura risulta generica e priva di autosufficienza.

Sul punto la Corte d’Appello in particolare ha rilevato che “la formulazione del quesito indicata nell’ordinanza di conferimento” doveva “ritenersi frutto di un mero errore di fatto”, “considerato che nella sentenza non definitiva in pari data emessa il criterio esplicitato dalla Corte è quello del contratto collettivo di categoria, non limitatamente a paga base e contingenza, tenendo conto anche di eventuali indennità di fatto corrisposte alle lavoratrici in costanza di rapporto e fermo restando il criterio della media delle quattro mensilità già applicato dal giudice di primo grado”, Pertanto la Corte ha ritenuto che “nessun errore metodologico può ravvisarsi nei confronti dell’operato del CTU, le cui conclusioni vanno quindi senz’altro condivise, dovendosi così disattendere le censure formulate dalla società nelle note del 5-6-2006”.

La Corte di merito, cui era affidato il prudente apprezzamento della consulenza tecnica d’ufficio (che non costituisce mezzo di prova in senso proprio – v. fra le altre da ultimo Cass, 13-3-2009 n. 6155 -), ha quindi chiaramente dato atto della correttezza dei criteri adottati dal CTU, disattendendo espressamente le osservazioni di parte, con le quali la società aveva contestato l’operato del CTU. Nel censurare tale decisione la società ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto riportare, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, le osservazioni del perito di parte disattese dai giudici di merito, in modo da permettere a questa Corte di apprezzarne la decisività.

Il ricorso va pertanto respinto e la società, in ragione della soccombenza, va condannata a pagare le spese alle controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società a pagare alle controricorrenti le spese liquidate in Euro 31,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA