Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7050 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 12/03/2021), n.7050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti iscritto al N.R.G. 7504/2016 proposto da:

I.F., M.A., E M.D., rappresentati e

difesi dall’avv. Danilo Motta, con domicilio in Siracusa, Corso

Gelone n. 148.

– ricorrenti –

contro

I.S..

– intimata –

avverso la sentenza DELLA Corte d’appello di Catania n. 1767/2015,

depositata in data 23.11.2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18.11.2020 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso, chiedendo il

rigetto del ricorso.

Uditi l’avv. Danilo Motta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata in data 10.8.1995, I.G. ha evocato dinanzi al Tribunale di Siracusa la figlia I.S., esponendo di aver stipulato in nome proprio, in data 30.9.1959, un preliminare di acquisto dell’immobile sito in (OMISSIS), versando quasi integralmente il prezzo, e di aver successivamente chiesto al giudice tutelare l’autorizzazione per perfezionare il contratto definitivo a nome della figlia, dichiarando che il prezzo sarebbe stato versato con liquidità della minore.

Assume che il successivo contratto di vendita, risalente al 18.10.1961, doveva considerarsi simulato e che l’immobile era stato – in realtà acquistato direttamente dall’attore, tanto che questi l’aveva utilizzato in via esclusiva fino al decesso della moglie, L.L..

Ha chiesto di accertare, in suo favore, la piena proprietà del bene, o, in subordine, di dichiarare che il contratto integrava una donazione indiretta da ritenersi nulla per carenza della forma solenne o, in via ulteriormente gradata, di revocare la suddetta donazione per ingratitudine della donataria.

Si è costituita la convenuta, eccependo la prescrizione dell’azione e l’intervenuta conciliazione giudiziale della causa, istando per il rigetto della domanda e la condanna dell’attore al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno.

A seguito del decesso di I.G., la causa è stata proseguita dall’erede I.F..

Il giudizio è stato riunito ad altra causa, avente ad oggetto la domanda di riduzione e lesione di legittima proposta da I.S. nei confronti di M.A. e M.D..

I due processi sono stati successivamente separati con ordinanza del 10.9.2000.

Con provvedimento del 2.4.2003 è stata ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti del venditore dell’immobile, ordine che è rimasto inadempiuto.

All’udienza di precisazione delle conclusioni sono intervenuti M.D. e A., eredi di L.L., chiedendo di accertare tutte le donazioni effettuate dai genitori in favore di I.S., di disporne la revoca per ingratitudine o di tenerne conto ai fini della collazione, nel giudizio di riduzione e divisione ereditaria proposta da I.S.. All’esito, il tribunale ha respinto le domande di revocazione per insussistenza delle condizioni prescritte dall’art. 8091 c.c., dichiarando l’estinzione della causa relativamente alla domanda di simulazione dell’atto di vendita del 18.10.1961.

La sentenza è stata confermata in appello.

La Corte di Catania, con sentenza n. 1767/2015, ha dichiarato inammissibile l’appello principale di I.S., ritenendo che, essendo totalmente vincitrice in primo grado, non avesse interesse ad impugnare la pronuncia, precisando, però, che le argomentazioni sollevate con l’impugnazione dovevano essere valutate nel merito, sostanziando eccezioni riproponibili ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. Quanto all’appello incidentale proposto da I.F. e dai germani M., la sentenza ha ritenuto sanato per raggiungimento dello scopo il vizio derivante dalla riapertura dell’udienza del 18.5.2000 in assenza degli appellati, dato che il processo era proseguito nel contraddittorio delle parti, senza alcun pregiudizio per l’esercizio dei diritti di difesa.

Secondo il giudice distrettuale era invece inoppugnabile il provvedimento di separazione dei giudizi adottato dal tribunale, trattandosi di misura a contenuto meramente ordinatorio e discrezionale, mentre, quanto al fatto che il tribunale non avesse pronunciato sulle istanze istruttorie formulate a sostegno delle domande, ha rilevato che dette richieste non erano state ritualmente riproposte nelle conclusioni in primo grado, dovendo considerarsi rinunciate.

Il giudice distrettuale ha – poi – confermato la pronuncia di estinzione del giudizio di primo grado relativamente alla domanda di simulazione della vendita, non essendo stato adempiuto l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del venditore, mentre ha ritenuto che la domanda di revocazione delle donazioni, proposta da I.G., fosse preclusa dal giudicato esterno negativo di cui alla sentenza della Corte d’appello di Catania n. 639/2003, confermata in cassazione con ordinanza n. 20236/2009.

La Corte di merito ha infine ritenuto che M.A. e D. avessero spiegato non un intervento volontario ma un mero intervento adesivo semplice e che, in ogni caso, le loro richieste erano pregiudicate, in via consequenziale, dal rigetto delle domande proposte da I.G..

Per la cassazione della sentenza I.F., M.A. e M.D. hanno proposto ricorso in 6 motivi.

I.S. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 24 e

111 Cost., artt. 356,183, 184,188,189, 2232, 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la Corte di merito dichiarato inammissibile il motivo di appello diretto ad ottenere l’ammissione dell’interrogatorio formale e della prova testimoniale formulate in giudizio.

Obiettano i ricorrenti che le istanze istruttorie erano state reiterate nei verbali del 25.6.1998, 12.11.1998, 19.5.1999 e 18.5.2000, allorquando la causa principale era ancora riunita ad altro giudizio incardinato da I.S. nei confronti dei germani M., e che, comunque, all’udienza di precisazione delle conclusioni, in data 28.2.2008, avevano “insistito in tutte le richieste istruttorie ancora inevase, avanzate anche dagli interventori”, senza rinunciare alla prova ed – anzi – richiedendone ritualmente l’ammissione.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 156,159,115,116,175 c.p.c., art. 176 c.p.c., comma 2, art. 354 c.p.c., u.c. e art. 84 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver il giudice distrettuale ritenuto che l’avvenuta riapertura del verbale in assenza dei ricorrenti, con ordine di notifica a carico delle parti presenti, costituisse una nullità sanata per raggiungimento dello scopo, mentre occorreva – a tale effetto – la rinnovazione delle attività processuali svolte all’udienza, poichè ai ricorrenti non era stata data la possibilità di controdedurre sulle questioni discusse in loro assenza ed anzi la stessa notifica del verbale

di causa era stata irregolare, tanto che solo con la comunicazione del provvedimento adottato dal giudice a scioglimento della riserva, avevano avuto conoscenza della riapertura dell’udienza.

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione degli artt. 101,102,112,277 c.p.c., art. 307 c.p.c., comma 3, art. 345 c.p.c., art. 354 c.p.c., comma 2, artt. 1362,1363,1367,1369,1371,1705 e 1706 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per aver la sentenza erroneamente confermato la pronuncia di estinzione della causa per mancata integrazione del contraddittorio, relativamente alla domanda di simulazione relativa dell’atto di vendita, pur non occorrendo la partecipazione al giudizio del venditore, date l’integrale esecuzione del contratto e l’assenza di un concreto interesse della parte pretermessa a partecipare al giudizio. In ogni caso, era stata dedotta tempestivamente sia nella citazione introduttiva che da parte degli interventori, una fattispecie di interposizione reale, domanda che quindi non poteva considerarsi tardiva, come invece erroneamente sostenuto dalla Corte distrettuale.

1.1 Il terzo motivo di ricorso è fondato per le ragioni che seguono. Dal suo accoglimento consegue l’assorbimento delle prime due censure.

Il tribunale, ritenendo proposta dai I.G. una domanda di simulazione relativa del rogito di vendita (l’atto, secondo la prospettazione di parte attrice, era rivolto a trasferire la proprietà dell’immobile di (OMISSIS) non a I.S., ma direttamente a I.G.), aveva disposto con ordinanza l’integrazione del contraddittorio nei confronti del costruttore/venditore P.A., ordine che è rimasto inadempiuto.

All’esito, è stata perciò dichiarata l’estinzione del giudizio per violazione dell’art. 102 c.p.c., relativamente alla domanda di simulazione.

Per quanto si evince anche dalla sentenza impugnata (cfr. pagg. 89), nell’impugnare – in via incidentale – la pronuncia di estinzione, gli attuali ricorrenti avevano contestato la qualificazione della domanda, assumendo di aver proposto non un’azione di simulazione soggettiva per interposizione fittizia, ma di aver rappresentato, in realtà, una fattispecie di interposizione reale.

La Corte distrettuale, dopo aver precisato che gli appellanti non avevano interesse a dolersi dell’estinzione del giudizio relativamente ad un’azione (di simulazione soggettiva) che sostenevano di non aver neppure introdotto, ha qualificato la domanda come richiesta di accertamento dell’interposizione fittizia di persona relativamente al contratto del 1961, con apprezzamento delle allegazioni che va condiviso alla luce del riferimento alla simulazione del contratto contenuto nella citazione introduttiva, della precisazione che i coniugi I. avevano versato, con sostanze proprie, l’intero corrispettivo della vendita del prezzo, divenendo proprietari già in forza del contratto stesso nonchè in assenza della stessa deduzione di un obbligo di I.S. di ritrasferire l’immobile al reale acquirenti.

Tuttavia, detta qualificazione doveva condurre a rilevare che il trasferimento si era definitivamente consolidato, che il prezzo era stato integralmente versato, che la vendita aveva esaurito i suoi effetti negoziali e che non era neppure prospettato, nè un coinvolgimento del venditore nell’accordo simulatorio, nè un suo specifico interesse a conservare, quale contraente, la persona interposta.

Tali circostanze rendevano, in definitiva, tutt’altro che necessaria la chiamata in causa del venditore ai sensi dell’art. 102 c.p.c..

Come già stabilito dalle Sezioni unite di questa Corte, l’alienante non riveste la qualità di litisconsorte necessario se nei suoi confronti il contratto sia stato integralmente eseguito, mediante adempimento degli obblighi tipici di trasferimento del bene e di pagamento del prezzo, e non venga dedotto ed allegato l’interesse ad essere parte del processo, ovvero la consapevolezza e volontà del venditore di aderire all’accordo simulatorio, rimanendo, di regola, irrilevante per chi vende la modifica soggettiva della parte venditrice e perciò integralmente efficace l’accertamento giudiziale compiuto nei soli confronti dell’interposto e dell’interponente (Cass. 4122/1975; Cass. 26365/2010; Cass. 15955/2009; Cass. s.u. 11523/2013; Cass. 1466/2014).

Essendo stato proposta, come detto, una domanda di simulazione del contratto per interposizione fittizia (e non reale) di persona e non avendo il venditore alcun interesse a partecipare al giudizio, il tribunale non doveva ordinarne la chiamata in causa ai sensi dell’art. 102 c.p.c., non configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario: il relativo ordine, adottato in carenza di presupposto, era privo di effetti e la sua violazione, essendo irrilevante, non poteva condurre alla pronuncia di estinzione del processo (Cass. 1614/1975; Cass. 658/1984; Cass. 9471/1995; Cass. 13097/2003; Cass. 2672/2008; Cass. 1739/2013).

La Corte territoriale, tenuta a rilevare la regolarità del contraddittorio, avrebbe dovuto pronunciare nel merito, sicchè, avendo confermato la dichiarazione di estinzione della causa, è incorsa nella violazione denunciata.

Il giudice del rinvio dovrà procedere ad un nuovo esame della lite e valutare nuovamente le istanze istruttorie formulate in appello, per cui il primo ed il secondo motivo di ricorso (che vertono sulla mancata ammissione dell’interrogatorio formale della convenuta e della prova testimoniale richiesta con l’atto di impugnazione, nonchè sulle conseguenze della riapertura del verbale dell’udienza del 18.5.2000 in assenza degli appellanti), sono assorbiti.

2. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 324,329 e 112 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, sostenendo che la Corte di merito non poteva esaminare nel merito le questioni contenute nell’atto di appello proposto da I.S. dopo aver dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, proposta da quest’ultima, per carenza di interesse. Lamentano i ricorrenti che del tutto immotivatamente la sentenza abbia stabilito che il tribunale non aveva ritenuto perfezionata una donazione indiretta dell’immobile in favore della convenuta e – in ogni caso – il giudice d’appello avrebbe dovuto comunque accertare la natura del contratto, come specificamente richiesto con l’impugnazione incidentale.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

La pronuncia impugnata ha, da un lato, confermato l’estinzione della causa per mancata integrazione del contraddittorio relativamente alla domanda di simulazione soggettiva della vendita, e, per altro verso, ha ritenuto che l’azione di revocazione della donazione per ingratitudine della donataria fosse preclusa dal giudicato esterno di cui alla sentenza della Corte d’appello di Catania n. 639 del 2003, giudicato che il giudice di merito ha rilevato d’ufficio.

In sostanza, la Corte di merito ha pronunciato solo su questioni sollevate dai ricorrenti con l’appello incidentale (riguardo alla dichiarazione di estinzione parziale del giudizio di primo grado) o rilevate d’ufficio (quanto alla sussistenza del giudicato esterno negativo), senza prendere in considerazioni ulteriori eccezioni contenute nell’appello principale, dichiarata inammissibile.

Va inoltre evidenziato che – come ha dato atto la Corte distrettuale I.S. aveva eccepito il giudicato in primo grado senza che il tribunale si fosse espresso con una motivazione, anche solo implicita, che supponesse il rigetto dell’eccezione.

Trattandosi di un’eccezione di merito (Cass. 19503/2018; Cass. 3221/1980; Cass. 820/1965) il giudicato era rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 345 c.p.c., potendo comunque l’appellante riproporre la questione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (Cass. s.u. 11799/2017), mentre il fatto che I.S. abbia – invece – proposto appello non poteva determinare alcuna nullità, in virtù del principio generale di conversione degli atti nulli (Cass. 1850/1972; Cass. 18169/2004; Cass. 10966/2004; Cass. 18721/2003).

3. Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 112,324 c.p.c., 801 e 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la sentenza ritenuto che la domanda di revocazione fosse preclusa dal giudicato esterno di cui alla sentenza della Corte d’appello di Catania n. 639/2003, senza inoltre considerare che nel primo giudizio I.G. si era limitato a rinunciare agli atti del giudizio senza concludere alcuna transazione, per cui detta domanda poteva essere comunque riproposta.

La censura è fondata.

La Corte territoriale ha ritenuto che la domanda di revocazione della donazione fosse preclusa dal giudicato esterno negativo di cui alla sentenza della Corte d’appello di Catania n. 639/2003,

Dall’esame di detta sentenza si evince, tuttavia, che:

il primo giudizio era stato instaurato dai germani M. (istituiti eredi universali da L.L. con testamento pubblico del 10.7.1984), per ottenere la dichiarazione di nullità del verbale di conciliazione del 9.9.1987, con cui I.G. aveva rinunciato alle domande (proposte, sia in proprio che dalla moglie L.L., nei confronti della figlia), oggetto delle cause nn. 3375/1981 e 1144/1983 r.g., riguardanti, rispettivamente, la domanda di indennizzo ex art. 936 c.c., in relazione alla villetta edificata da I.S. sul suolo in contrada (OMISSIS), e la domanda di revocazione per ingratitudine della donazione del denaro impiegato per l’acquisto dell’appartamento in (OMISSIS) (cfr., sentenza, pagg. 3 e 4);

I.G. aveva sottoscritto il verbale anche nella qualità di erede testamentario di L.L., e sebbene il testamento olografo del 20.8.1984 fosse risultato falso, entrambe le cause nn. 3375/1981 e 1144/1983 erano state dichiarate estinte, avendo il giudice ritenuto valida la rinuncia agli atti.

– la Corte di Catania, dopo aver negato che il verbale di conciliazione contenesse una transazione e dopo aver precisato che la rinuncia aveva riguardato solo i due giudizi innanzi indicati (non anche tutte le altre controversie pendenti tra le parti: cfr. sentenza, pag. 14), preso – infine – atto della falsità del testamento olografo con cui I.G. era stato istituito erede universale della moglie, ha dichiarato inefficace la rinuncia agli atti del giudizio nei confronti dei M., quali eredi della L., ma pienamente valida ed efficace la medesima rinuncia fatta dall’ I. nei confronti della figlia, limitatamente alla quota dei diritti controversi che competeva, in proprio, al rinunciante, confermando la pronuncia del tribunale che aveva respinto nel merito sia la domanda di revocazione proposta dall’ I. in proprio, che la medesima azione coltivata dai M. quali eredi della L..

E’ però da evidenziare che l’azione precedentemente formulata da I.G. presentava una identità oggettiva solo parziale con la domanda riproposta con la citazione introduttiva del presente giudizio.

Se ne trae conferma dal fatto che la sentenza n. 639/2003 ha definito le liti oggetto dei giudizi nn. 3375/1981 e 1144/1983, e quindi l’azione di revocazione proposta congiuntamente dai coniugi I. sulla base di fatti evidentemente anteriori al decesso di L.L. (avvenuto nel (OMISSIS)).

La citazione introduttiva del presente giudizio indicava come fatti di ingratitudine anche condotte successive, non rappresentate nel primo giudizio, quanto ad es. al fatto che I.S., che già aveva avviato un’azione di sfratto, avesse materialmente ed occultamente estromesso il padre dall’abitazione di Corso Gelone dopo il decesso della L. (cfr. citazione introduttiva, pag. 4) o che sempre la convenuta, dopo che il padre aveva – nel 1987 – conciliato i giudizi 3375/1981 e 1144/1983, avesse coltivato le cause, ottenendo una pronuncia favorevole e portandola finanche ad esecuzione (cfr. citazione, pag. 6 e ss.). Nella citazione era infine detto che, nel 1994 – e quindi in epoca ampiamente successiva alla proposizione dei due giudizi transatti – la donataria aveva convenuto in giudizio il padre, lamentando una presunta lesione di legittima relativamente all’eredità materna.

In definitiva, nessuna preclusione assoluta poteva sussistere riguardo alla domanda ex art. 801 c.c., proposta da I.G., stante la parziale diversità delle circostanze oggetto della sentenza n. 639/2003 e taluni dei fatti di ingratitudine dedotti nel presente giudizio, riferibili a condotte della donataria successive.

I fatti nuovi sopravvenuti andavano quindi valutati nel merito, verificando se fossero idonei a determinare la revocazione della donazione.

4. Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 102,105,268 c.p.c. e artt. 177 e 1110 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza ritenuto che i germani M. avessero spiegato un intervento adesivo semplice e non un intervento volontario, trascurando che, essendo eredi della donante L.L., erano litisconsorti necessari nel giudizio di revoca della donazione per ingratitudine e che, intervenendo in causa, avevano inteso ottenere la restituzione del 50% delle somme impiegate per l’acquisto dell’appartamento in Siracusa, e recuperare tutti gli altri beni donati a I.S..

Anche tale motivo è fondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che M.A. e D., eredi testamentari di L.L., avessero spiegato un mero intervento adesivo semplice, facendo proprie le ragioni di I.G., senza proporre alcuna domanda giudiziale.

La lettura dell’atto di intervento evidenzia – per contro – che i M. non si erano limitati a far valere un mero interesse di fatto alla pronuncia, ma avevano chiesto di individuare tutte le donazioni fatte dai genitori a I.S. (non solo quella riguardante l’immobile di (OMISSIS)), per ottenerne la collazione nell’autonomo e già pendente giudizio di riduzione e di divisione dell’asse ereditario della L., oltre che di disporne la revocazione in modo da ottenere l’acquisizione all’asse ereditario della quota dei beni di cui aveva disposto in vita la comune dante causa.

La circostanza che l’intervento si fondasse sulla deduzione dei medesimi fatti di ingratitudine oggetto dell’azione di I.G. non era sufficiente per configurare un intervento adesivo semplice. Sono quindi accolti il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, è dichiarato inammissibile il quarto mentre sono assorbiti il primo ed il secondo.

Non sussistendo, per quanto detto, una violazione del contraddittorio in primo grado ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, ed avendo il tribunale dichiarato l’estinzione del giudizio con sentenza dopo che le parti avevano esercitato le rispettive facoltà difensive ed avevano formulato le definitive richieste, anche istruttorie, in sede di precisazione delle conclusioni, l’intera causa va rimessa alla Corte d’appello.

In tali ipotesi, neppure tale Corte – ove avesse riformato la pronuncia di estinzione – avrebbe potuto rimettere la causa in primo grado.

Già nei giudizi a decisione collegiale, la rimessione in primo grado può esser disposta solo nel caso in cui il giudice di appello riformi la sentenza di estinzione adottata a seguito di reclamo al collegio ai sensi dell’art. 308 c.p.c., non anche ove detta statuizione sia stata assunta con sentenza emessa nelle forme ordinarie ai sensi dell’art. 307 c.p.c., u.c., non trovando applicazione l’art. 354 c.p.c., comma 2 (Cass. 2880/2015; Cass. 11722/2011; Cass. 14343/2008; Cass. 5976/1987).

Nei giudizi a decisione monocratica, se il giudice di primo grado abbia pronunciato l’estinzione senza il previo svolgimento dell’udienza di precisazione delle conclusioni, il provvedimento, definendo la lite in base ad una questione pregiudiziale, ha natura di sentenza impugnabile solo con l’appello. Solo in tal caso il giudice di secondo grado, ove riformi la decisione, può ugualmente disporre la rimessione della causa in primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 2, ravvisandosi l’ipotesi menzionata dall’art. 308 c.p.c., comma 2, sicchè le parti possono recuperare facoltà difensive in precedenza non esercitate.

Per contro, se – come nel caso di specie – l’estinzione sia stata deliberata dal tribunale in composizione monocratica solo dopo che la causa, precisate le conclusioni, sia stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 189 c.p.c., il giudice di appello, ove riformi la pronuncia, deve trattenere la causa e deciderla nel merito, non ricorrendo l’ipotesi contemplata dall’art. 308 c.p.c., comma 2, richiamato dall’art. 354 c.p.c., comma 2 (Cass. 23997/2019; Cass. 7633/2012; Cass. 22917/2010; Cass. 4470/1995).

Ne consegue che – in detta ipotesi – l’eventuale cassazione della pronuncia che abbia erroneamente confermato la dichiarazione di estinzione adottata dal tribunale ai sensi dell’art. 307 c.p.c., non può che comportare – per ragioni logiche e di coerenza sistematica – il rinvio della causa al giudice d’appello.

Militano in tal senso anche esigenze strettamente collegate al principio di ragionevole durata del processo, dovendosi evitare un inutile dispendio di attività processuali qualora, dinanzi al tribunale, siano state compiutamente esercitate le facoltà difensive delle parti, all’esito dello svolgimento dell’udienza di precisazione delle conclusioni.

In definitiva, la sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il terzo, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il quarto ed assorbiti il primo ed il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 novembre 2020 e, il 30 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

 

 

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