Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7047 del 28/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/03/2011, (ud. 09/02/2011, dep. 28/03/2011), n.7047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G., T.A., G.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato FELSANI MARIA CECILIA, rappresentati e difesi

dall’avvocato STORACE ISIDE, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avvocati VALENTE NICOLA, GIANNICO

GIUSEPPINA, RICCIO ALESSANDRO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 435/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 09/06/2008, R.G.N. 97/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato STORACE ISIDE;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Genova, modificando la statuizione di primo grado, all’esito di nuova CTU, rigettava la domanda proposta da G.G., T.A. e B. G. nei confronti dell’Inps per ottenere la rivalutazione del periodo contributivo per esposizione ad amianto, riferito al lavoro svolto presso l’Omsav. La Corte affermava di condividere le risultanze della nuova CTU, disposta per l’accertamento di circostanze di carattere tecnico dedotte dall’Istituto appellante e dai lavoratori, che presupponevano conoscenze scientifiche, anche considerando le difficoltà di verifica, trattandosi di realtà industriali dismesse. Con la nuova consulenza si era proceduto all’accertamento della soglia di esposizione di ciascun lavoratore facendo applicazione della formula usata dal Contarp, ossia utilizzando, per i valori di concentrazione per tipo di attività, il valore medio segnalato dalla banca dati Amyant presso l’Inail, data la impossibilità di rilevare in concreto i valori effettivi; il CTU inoltre aveva individuato le frequenze di esposizione calcolando i relativi tempi con riferimento a ciascuna lavorazione. Sulla base di questi dati la esposizione media annua era risultata inferiore a quella prescritta dalla legge, mentre valutazioni diverse erano solamente ipotetiche perchè non suffragate da dati oggettivi. Era poi irrilevante che l’Inail avesse riconosciuto la esposizione qualificata ad altri due dei lavoratori originari ricorrenti.

Avverso detta sentenza i soccombenti ricorrono con due motivi. L’Inps resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo e con denunzia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (omessa motivazione in punto rinnovo della CTU già esperita in primo grado) la sentenza d’appello è censurata per aver disposto una nuova consulenza tecnica di ufficio senza alcuna giustificazione, posto che da quella svolta in primo grado emergevano tutti gli elementi di cognizione necessari per la verifica della personale esposizione a rischio dei ricorrenti e non erano stati introdotti elementi di fatto nuovi rispetto a quelli già valutati.

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata da conto espressamente delle ragioni che avevano indotto la Corte territoriale a disporre la rinnovazione della CTU, indicandole nella esigenza di tener conto delle critiche che entrambe le parti avevano mosso, nei loro atti di appello, all’operato dell’ausiliare tecnico di primo grado, in particolare quanto al metodo di calcolo utilizzato e alle relative valutazioni.

Decisiva, comunque, è la considerazione che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, bensì (come riconoscono gli stessi ricorrenti) un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice, al quale spetta decidere sulla esaustività degli accertamenti già compiuti e valutare l’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, ovvero di sentire a chiarimenti il consulente, nonchè di procedere alla rinnovazione delle indagini con la nomina di altri consulenti; e l’esercizio di tale potere (così come il suo mancato esercizio) non può essere sindacato in sede di legittimità sotto il profilo del difetto di motivazione, salvo che l’esigenza di procedere a una nuova consulenza (o di chiamare il consulente a chiarimenti o, ancora, di effettuare accertamenti suppletivi o integrativi) sia stata segnalata dalle parti e il giudice non ritenga di accogliere la relativa istanza (vedi Cass. nn. 17906 del 2003, n. 5777 del 1998, 8611 del 1995, 10972 del 1994).

2. Con il secondo motivo si denunzia ancora difetto di motivazione, per non avere la Corte affrontato la questione della imparzialità del CTU, risultando, da una lettera del consulente di parte degli attuali ricorrenti, che questi avrebbe in qualche modo paventato le conseguenze derivanti dall’accoglimento di un eccessivo numero di domande. Si esprimono poi critiche alle conclusioni del secondo consulente che la sentenza impugnata ha fatto proprie. Neppure questo motivo è fondato.

In primo luogo non risulta che i ricorrenti abbiano fatto valere queste riserve in sede di appello tramite istanza di ricusazione ex artt. 51 e 63 cod. proc. civ., di talchè la Corte non era onerata di motivare sul sospetto del difetto di terzietà dell’ausiliare.

Nè rileva il fatto che per altri lavoratori sia stata riconosciuta la esistenza di esposizione oltre la soglia, perchè il CTU ha valutato, come doveva, ciascuna singola posizione lavorativa e su ciascuna ha espresso il suo parere, calcolando peraltro con stima abbondante i tempi e le frequenze dell’esposizione. Nè vi è obbligo stringente di porre a confronto le due consulenze di diverso segno, anche perchè non si espongono in ricorso i dati rilevanti della CTU di primo grado che sarebbero in palese contrasto con quella del secondo, tale da convincere sulla necessità di motivare la scelta dell’un elaborato invece dell’altro.

Quanto al fatto che il lieve margine di approssimazione per il superamento o no della soglia di legge avrebbe necessitato di espressa motivazione, si rileva che la sentenza ha rinviato integralmente alla CTU e quindi alle ragioni della decisione per ciascuno dei lavoratori, avendo il perito “tarato” l’accertamento sulla specifica posizione lavorativa. In ogni caso dall’avvenuta esposizione qualificata di un collega non è lecito inferire, in assenza di ulteriori circostanze precise, l’esposizione di altro lavoratore.

Infine appare significativo, a conferma della correttezza della sentenza, il fatto che agli attuali ricorrenti, a differenza che ad altri colleghi di lavoro, non è stata rilasciata l’attestazione da parte dell’Inail L. n. 179 del 2002, ex art. 18.

In definitiva, le censure di vizio di motivazione che i ricorrenti addebitano alla sentenza impugnata non evidenziano lacune o vizi logici del suo impianto motivazionale, tali da rendere la decisione priva di razionale giustificazione, ma si risolvono, per la gran parte, attraverso la messa in discussione dell’operato e delle conclusioni del CTU, in critiche strumentali a una revisione del merito del convincimento del giudice (che quelle conclusioni ha fatto proprie) e, per ciò stesso, devono ritenersi inammissibili, in quanto incompatibili con il sindacato di (sola) legittimità proprio del giudizio di cassazione.

In conclusione il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2011

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