Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7047 del 12/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 12/03/2020), n.7047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20366-2018 proposto da:

L.F.E., elettivamente domiciliato presso il studio in ROMA,

VIA GERMANICO n. 96, rappresentato e difeso in proprio ai sensi

dell’art. 86 c.p.c..

– ricorrente –

contro

M.E., I.D., I.O. e I.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3602/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato L.F.E. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Latina I.E. deducendo di aver svolto, su suo incarico ed in suo favore, prestazioni professionali di natura stragiudiziale ed invocandone la condanna al pagamento del corrispettivo, pari ad Euro 3.157,63. Si costituiva il convenuto resistendo alla domanda. Il giudizio veniva interrotto a seguito del decesso del convenuto e riassunto nei confronti dei suoi eredi.

Con sentenza n. 2669/2012 il Tribunale di Latina rigettava la domanda ravvisando la carenza di legittimazione passiva in capo alla parte convenuta.

Interponeva appello il L.F. e si costituivano gli eredi dell’originario convenuto resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 3602/2017, la Corte di Appello di Roma rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione L.F.E. affidandosi ad un unico motivo. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di Cassazione. La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1411,2222,2229 e 2230 c.c. perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente inquadrato la fattispecie nell’ambito del contratto a favore del terzo. Al contrario, il giudice di merito avrebbe dovuto ravvisare la sussistenza di un rapporto professionale diretto tra il L.F. e lo I. e ritenere quest’ultimo direttamente obbligato per il pagamento del compenso dovuto al professionista.

La censura è infondata.

Come risulta dalla narrazione del fatto riportata a pag.2 e s. del ricorso, l’odierno ricorrente ha agito nei confronti dello I. per ottenere il pagamento dei compensi relativi all’attività professionale che egli aveva svolto in favore di Siti S.r.l. e di General Service S.r.l., sul presupposto che il primo si fosse impegnato a provvedere personalmente al saldo di quanto dovuto al professionista incaricato di assistere le predette società.

Dalla lettura della sentenza impugnata risulta tuttavia che la prova orale escussa in primo grado aveva evidenziato che lo I. “era titolare” delle due società, in seno alle quali rivestiva la carica di “Presidente”. Da tale circostanza il giudice di appello ha fatto derivare la conclusione che “… lo I. aveva agito non in proprio ma nell’interesse delle società che rappresentava e nei confronti di tali soggetti avrebbe dovuto agire l’avvocato per ottenere il compenso dovuto”(cfr. pag.3).

Ne discende che il riferimento all’istituto del contratto a favore di terzo contenuto in apertura della motivazione della decisione impugnata -nella parte in cui la Corte territoriale richiama, riassumendola, la censura mossa dal L.F. alla sentenza del Tribunale- non comporta alcun inquadramento della fattispecie nell’ambito del predetto istituto. Al contrario, la motivazione resa dalla Corte capitolina evidenzia che quest’ultima ha ritenuto sussistente un rapporto professionale diretto tra il L.F. e le due società Siti S.r.l. e General Service S.r.l., in favore delle quali il professionista aveva reso la propria attività. Questo convincimento, reso in punto di fatto e quindi non utilmente sindacabile in Cassazione, è stato completato dalla Corte di Appello con l’osservazione che il L.F. non aveva fornito la prova del fatto che lo I., nel conferirgli il mandato (come detto in nome e per conto delle due società delle quali era legale rappresentante) “… avesse assunto l’obbligo di provvedere personalmente al pagamento degli onorari” (cfr. ancora pag.3). La sentenza impugnata resiste pertanto alle critiche addotte dal ricorso e supera i rilievi svolti in memoria circa l’onere della prova.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva, da parte degli intimati, nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 marzo 2020

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