Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7046 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 12/03/2021), n.7046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3597/2019 R.G. proposto da:

A.S., c.f. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI, elettivamente

domiciliati in Roma, alla via Cesare Ferrero da Cambiano, n. 82,

presso lo studio dell’avvocato Alessandro Avagliano, che

disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Lorenzo Alfonso Burana,

li rappresenta e difende in virtù di procure speciali su fogli

allegati in calce al ricorso.

– ricorrenti –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, c.f. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto dei 15.1/21.6.2018 della Corte d’Appello di

Perugina;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Roma depositato in data 29.1.2010 i ricorrenti indicati in epigrafe si dolevano per l’irragionevole durata del giudizio intrapreso dinanzi al T.A.R. del Lazio con ricorso del 26.7.2001, iscritto al n. 9138/2001 r.g..

Chiedevano il pagamento di un equo indennizzo.

2. Si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

3. Con decreto del 23.5.2013 la Corte di Roma dichiarava la propria incompetenza e la competenza per territorio della Corte d’Appello di Perugia.

4. I ricorrenti riassumevano il giudizio innanzi alla Corte di Perugia.

5. In data 12.1.2018 il Ministero dell’Economia e delle Finanze depositava memoria difensiva con allegato decreto del 19.9.2014 del T.A.R. del Lazio recante dichiarazione di perenzione del giudizio “presupposto”.

6. Con decreto dei 15.1/21.6.2018 la Corte d’Appello di Perugia accoglieva in parte il ricorso e, per l’effetto, condannava il Ministero a pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 3.042,00 nonchè a L.G.L., erede di B.C., deceduto il (OMISSIS), la somma di Euro 1.167,00, con gli interessi legali dalla domanda; condannava il Ministero alle spese di lite.

Premetteva la corte che il giudizio “presupposto” era stato dichiarato perento con decreto al D.Lgs. n. 104 del 2010, ex art. 1, comma 1, all. 3, recante il codice del processo amministrativo, siccome nel termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore – 16.9.2010 – del codice i ricorrenti non avevano depositato istanza di fissazione di udienza, a firma congiunta loro e del difensore.

Esponeva dunque che la complessiva durata del giudizio “presupposto”, da computarsi sino al 16.9.2010, di di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, era pari a nove anni ed un mese e quindi la durata irragionevole era pari a sei anni ed un mese, eccezion fatta per B.C., deceduto il (OMISSIS), per il quale la durata irragionevole si specificava in due anni e quattro mesi.

Esponeva altresì che il “moltiplicatore” annuo ben poteva esser quantificato nell’importo di Euro 500,00.

7. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso i ricorrenti indicati in epigrafe; ne hanno chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

8. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, art. 6, par. 1, C.E.D.U. in relazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, commi 1 e 2, all. 3, ed all’art. 2697 c.c..

Deducono che ha errato la corte d’appello ad individuare nel 16.9.2010, di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il termine finale di durata del giudizio “presupposto”.

Deducono che l’estinzione del giudizio amministrativo non segue automaticamente al mancato deposito – entro il termine di 180 giorni dal 16.9.2010 – dell’istanza di fissazione di udienza, ma segue al riscontro, decorso un ulteriore termine di 180 giorni dalla comunicazione del decreto di perenzione che il presidente ha da adottare all’esito del decorso del primo termine, dell’omesso deposito da parte del ricorrente di un atto con cui questi dichiara di avere ancora interesse alla trattazione della causa.

Deducono dunque che il Ministero, all’uopo onerato, non ha dato prova della comunicazione ad essi ricorrenti del decreto presidenziale di perenzione del giudizio, comunicazione da cui decorre l’ulteriore termine di 180 giorni per il deposito della dichiarazione di perdurante interesse alla trattazione della causa.

Deducono, al più, che l’ulteriore termine di 180 giorni al D.Lgs. n. 104 del 2010, ex art. 1, comma 2, all. 3, è venuto a scadenza in data 11.7.2018, siccome unicamente in data 12.1.2018, nell’ambito del giudizio di equa riparazione, alla stregua della documentazione tardivamente allegata dal Ministero, è stata ad essi comunicata per la prima volta la perenzione del giudizio “presupposto”.

Deducono pertanto che il dies ad quem della durata complessiva del giudizio “presupposto” si identifica con l’11.7.2018.

9. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 6, par. 1, C.E.D.U. in relazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, commi 1 e 2, all. 3.

Deducono in via subordinata che, pur a prescindere dalla mancata prova da parte del Ministero dell’avvenuta comunicazione ad essi ricorrenti del decreto presidenziale di perenzione del giudizio, la manifestazione del loro disinteresse alla trattazione della causa avrebbe potuto reputarsi concretizzata, al più presto, alla scadenza del 180 giorno successivo alla pubblicazione del decreto presidenziale di perenzione.

Deducono dunque che il decreto presidenziale di perenzione del giudizio “presupposto” risulta depositato il 19.9.2014, sicchè, pur ad ammettere che in pari data sia stato comunicato ai ricorrenti, il loro preteso disinteresse alla trattazione della causa si sarebbe concretizzato, al più presto, il 18.3.2015, di scadenza del 180 giorno successivo al deposito del decreto presidenziale.

Deducono pertanto, in via subordinata, che il dies ad quem della durata complessiva del giudizio “presupposto” si identifica con il 18.3.2015.

10. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, art. 6, par. 1, C.E.D.U. in relazione agli artt. 1226 e 1256 c.c..

Deducono che la corte di merito ha quantificato il “moltiplicatore” annuo in Euro 500,00, difformemente dalla indicazioni giurisprudenziali della C.E.D.U..

Deducono che la corte distrettuale ha utilizzato i medesimi argomenti sia per determinare la durata complessiva del giudizio “presupposto” sia per quantificare il “moltiplicatore” annuo.

11. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la parziale nullità del decreto impugnato per motivazione apparente.

Deducono che la corte territoriale ha solo apparentemente motivato, allorchè ha quantificato il “moltiplicatore” annuo in Euro 500,00.

Deducono segnatamente che la corte di Perugia non ha tenuto conto che il giudizio “presupposto” era giudizio “di lavoro”, avente ad oggetto il riconoscimento di differenze retributive e dell’indennità di missione per gli anni di servizio che hanno prestato, quali carabinieri, in (OMISSIS).

12. La sostanziale identità delle argomentazioni e dei rilievi che la delibazione del primo e del secondo motivo di ricorso postula e sollecita, ne giustifica appieno la disamina contestuale.

Entrambi i motivi di impugnazione comunque vanno respinti.

13. Ed invero il chiaro dettato delle disposizioni normative di riferimento (“1. Nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice, le parti presentano una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all’art. 24 del codice e dal suo difensore, relativamente ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di discussione. In difetto, il ricorso è dichiarato perento con decreto del presidente. 2. Se tuttavia, nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione del decreto, il ricorrente deposita un atto, sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui dichiara di avere ancora interesse alla trattazione della causa, il presidente revoca il decreto disponendo la reiscrizione della causa sul ruolo di merito”) induce inesorabilmente ai rilievi che seguono.

Per un verso il decreto presidenziale di perenzione ha mera valenza dichiarativa, dichiarativa di un effetto estintivo destinato a prodursi ex lege.

Per altro verso la prefigurazione del comma 2 cit. è incardinata, sì, sulla comunicazione del decreto di perenzione e nondimeno la medesima prefigurazione legislativa dà riflesso ad una situazione che unicamente in via eventuale, mercè il decreto presidenziale di revoca, è destinata ad innestarsi sul tronco della perenzione già prodottasi ope legis.

E’ significativo rimarcare, a riscontro della produzione ex lege della perenzione, quale effetto correlato ope legis al vano decorso del termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del codice, che il decreto presidenziale di revoca dispone la reiscrizione della causa sul ruolo di merito.

14. In questo quadro per nulla possono esser condivisi gli assunti patrocinati dai ricorrenti, ovvero l’assunto secondo cui il dies ad quem della durata complessiva del giudizio “presupposto” si identifica con l’11.7.2018 e l’assunto (subordinato) secondo cui il dies ad quem della durata complessiva del giudizio “presupposto” si identifica eventualmente con il 18.3.2015.

15. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono strettamente connessi; se ne giustifica del pari la disamina contestuale; ambedue i motivi di impugnazione comunque vanno respinti.

16. Non si configurano gli errores in iudicando specificamente prospettati con il terzo mezzo.

Questa Corte da tempo spiega che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce, a rigore, violazione di legge (cfr. Cass. 7.11.2011, n. 23029). Del resto, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la Corte E.D.U. in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative, nei quali gli interessati non risultavano aver sollecitato la trattazione o la definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, è risultato, di regola, oscillante tra gli importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. Cass. 6.9.2012, n. 14974; cfr. anche Cass. 23.7.2013, n. 17883).

D’altra parte questa Corte reputa, seppur in tema di equa riparazione da irragionevole durata del processo fallimentare, che è congrua la liquidazione dell’indennizzo nella misura solitamente riconosciuta per i giudizi amministrativi protrattisi oltre dieci anni, rapportata su base annua a circa Euro 500,00 (cfr. Cass. 16.7.2014, n. 16311; cfr. altresì Cass. (ord.) 19.5.2017, n. 12696).

17. Non si configura il vizio di motivazione “apparente” veicolato specificamente con il quarto mezzo.

Ben vero, il vizio di motivazione “apparente” ricorre quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

Nel caso di specie viceversa la corte d’appello ha ancorato la quantificazione del “moltiplicatore” annuo tra l’altro ed in special modo alla perenzione del giudizio “presupposto”, “segno evidente dell’assenza di interesse alla prosecuzione del giudizio” (così decreto impugnato, pag. 2).

E così ha esplicitato, con valutazione congrua, esaustiva ed esente, alla luce dalla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, da qualsivoglia forma di anomalia motivazione, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento (cfr. Cass. 3.2.2017, n. 2995, secondo cui, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, è legittima la liquidazione di un indennizzo inferiore alla soglia minima (pari ad Euro 500,00 per anno) ove tale riduzione sia motivata dalla specifica natura e rilevanza dell’oggetto del giudizio (ed, in particolare, dall’aleatorietà della domanda, dalla natura collettiva della controversia e dall’entità della posta in gioco), nonchè dal comportamento processuale delle parti).

18. A nulla vale addurre che la corte di merito ha utilizzato la medesima circostanza ad un duplice fine.

Invero il riferimento alla perenzione allo scopo della individuazione del dies ad quem della durata complessiva del giudizio “presupposto” costituisce esito indotto dalla stessa prefigurazione normativa, ossia dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, comma 1, all. 3.

D’altra parte il profilo della perenzione, allo scopo della quantificazione del “moltiplicatore”, costituisce circostanza che ben può esplicare rilievo preponderante, pur rispetto all’ulteriore circostanza, addotta dai ricorrenti specificamente con il quarto mezzo, alla cui stregua il giudizio “presupposto” era in sostanza un giudizio “di lavoro”.

19. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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