Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7045 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 24/03/2010, (ud. 03/02/2010, dep. 24/03/2010), n.7045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.I.F., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dagli avvocati MONDIN CLAUDIO, URBANI ENZO, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

NORTH EAST SERVICES S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 32 6, presso lo studio dell’avvocato SCOGNAMIGLIO RENATO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRARESI PAOLO, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 660/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/11/2005 R.G.N. 184/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/02/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.I.F. con il ricorso introduttivo ha lamentato l’illegittimità del licenziamento in intimatole, con lettera del 10 maggio 1999 dalla datrice di lavoro North East Services s.p.a., per assenza dal posto lavoro in Treviso, ove era stata in precedenza trasferita (lettera del 17 settembre 1998), con la motivazione della soppressione dell’ufficio amministrativo di Vicenza, già assegnatole ed ove aveva sin ad allora operato, negando la legittimità del licenziamento in quanto successivamente l’ufficio di sua provenienza aveva continuato ad operare e non era stato soppresso venendo le sue mansioni svolte da altri impiegati, nonchè per non essere stato eseguito alcun trasloco di mobilia ed attrezzatura, nè data alcuna comunicazione della chiusura della sede alla C.C.I.A. competente.

In via subordinata la C. ha contestato la sussistenza dei presupposti dell’art. 2103 c.c., attesa la natura disciplinare del trasferimento intervenuto nonchè la violazione dell’art. 37 c.c.n.l.

quanto al rispetto del termine di preavviso del trasferimento e per la mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali di settore.

Inoltre ha dedotto l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori e art. 32 c.c.n.l.

trattandosi di sanzione disciplinare (il licenziamento era stato intimato dopo 15 giorni dall’avvenuta presentazione delle giustificazioni in asserita violazione dell’art. 32 cit.) Sosteneva poi la ricorrente che il licenziamento intimatole, essendo illegittimo il trasferimento, era illegittimo perchè il suo rifiuto di prendere servizio nella diversa sede assegnatole doveva ritenersi giustificato ai sensi dell’art. 1460 c.c..

2. Con sentenza n. 2/02 dell’1.1.2002 il Tribunale di Vicenza, nell’instaurato contraddittorio con la società convenuta che sosteneva l’infondatezza del ricorso sotto ogni profilo, ha rigettato nella quasi totalità le domande della ricorrente, rilevando che l’assunto fondato sulla “mancata soppressione del posto di lavoro” non aveva trovato conferma all’esito delle prove assunte, le quali invece avevano confermato l’effettività della soppressione dell’ufficio amministrativo della filiale di Vicenza e l’avvenuto potenziamento di quello della filiale di Treviso (anche con personale proveniente da Padova, ove parimenti era stata attuata una contrazione del personale con ridimensionamento del medesimo) nonchè avevano mostrato che dopo il trasferimento della ricorrente l’ufficio di Vicenza non era più stato operativo.

Ha concluso Tribunale che effettivamente sussistevano le ragioni di cui all’art. 2103 c.c., (con riguardo sia gli uffici di Vicenza che a quello di Treviso); che dopo sette mesi di protratta assenza (agosto 1998 – marzo 1999) legittimamente il datore di lavoro, dopo aver invitato la dipendente a riprendere servizio a Treviso, aveva contestato il 15 aprile 1999 l’assenza ingiustificata della medesima dal 31 marzo 1999 e ricevute (dopo venti giorni) le giustificazioni della dipendente, l’aveva licenziata in tronco in data 10 maggio 1999.

Riconosceva in favore della ricorrente, a norma dell’art. 37, comma 3, del c.c.n.l. di settore, il diritto alla prevista indennità bimestrale sostitutiva del preavviso.

3. Con atto depositato il 6 marzo 2003 C.I.F. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza riproponendo le difese svolte in primo grado.

Chiedeva che fosse accertata l’illegittimità del trasferimento disposto da parte datoriale e per l’effetto dichiarata la sua inefficacia per violazione dell’art. 2103 c.c. e della normativa contrattuale per il personale dipendente dell’imprese di. spedizione;

che fosse accertata e dichiarata la nullità od invalidità del licenziamento intimatole per avvenuta violazione del disposto della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè degli artt. 32 e ss. del c.c.n.l., ovvero in quanto del tutto privo di giustificato motivo e di giusta causa, con condanna della società appellata alla sua reintegrazione o alla sua riassunzione, ed al risarcimento del danno.

Si costituiva ritualmente in giudizio la società appellata che replicava alle avverse argomentazioni chiedendo il rigetto del gravame, con conferma dell’impugnata sentenza.

La Corte d’appello di Venezia con sentenza del 17.5.-7.11.2005 ha rigettato l’appello confermando la sentenza di primo grado.

4. Avverso questa pronuncia propone ricorso per Cassazione l’originario ricorrente.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in sette motivi.

Con i primi due motivi la ricorrente censura l’impugnata sentenza per non aver fatto corretta applicazione delle garanzie procedimentali, di fonte contrattuale (art. 37 c.c.n.l. per i dipendenti di aziende di spedizione) e legale (L. n. 300 del 1970, art. 7).

Sostiene la ricorrente che il suo trasferimento da Vicenza a Treviso, che costituisce l’antecedente ed il presupposto del successivo licenziamento, è affetto da illegittimità innanzi tutto per mancata osservanza della procedura di consultazione sindacale prevista dall’art. 37 del c.c.n.l. (primo motivo) ed inoltre per violazione delle garanzie procedimentali previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, stante la sua natura disciplinare.

Con il terzo motivo, la ricorrente afferma che all’atto di recesso datoriale dal rapporto di lavoro, che ha fatto seguito al trasferimento, deve riconoscersi natura “ontologicamente” disciplinare, donde la sua illegittimità per violazione di regole procedurali stabilite dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 e dall’art. 32 del c.c.n.l..

Con il quarto motivo, si denuncia la non corretta interpretazione dell’art. 37 del c.c.n.l. nella parte in cui dispone che la mancata accettazione del trasferimento, pur in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, comporti la risoluzione del rapporto di lavoro.

Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta che i Giudici di merito non avrebbero tenuto dei principi generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., nel valutare le ragioni del licenziamento.

Con il sesto motivo, la ricorrente sostiene che l’esigenza di mantenere il suo posto di lavoro in Vicenza risulterebbe dalla obbligatorietà di tenuta di libri paga e matricola e del registro infortuni.

Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia ancora l’insufficiente e carente motivazione delle ragioni tecniche e organizzative del trasferimento.

2. I primi due motivi del ricorso – che possono essere esaminati congiuntamente attenendo entrambi alle garanzie procedimentali del trasferimento sono infondati.

In particolare la ricorrente invoca le garanzie procedimentali previste a favore del lavoratore trasferito sotto un duplice profilo.

Da una parte richiama quelle previste espressamente per il trasferimento dall’art. 37 c.c.n.l. cit. che prescrive il preavviso di un mese per il lavoratore e la previa comunicazione del trasferimento anche alle r.s.a., le quali possono richiedere l’esame congiunto; d’altra parte la ricorrente, assumendo che in concreto il trasferimento avesse assunto natura disciplinare e quindi fosse da equiparare ad una vera a propria sanzione disciplinare, sostiene che nella specie trovavano applicazione anche le garanzie procedimentali previste in generale dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, per le sanzioni disciplinari.

3. La prima prospettazione difensiva si sostanzia in una assunta violazione della contrattazione collettiva deducibile (solo) sotto il profilo della difettosa applicazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 ss. c.c.), non trovando applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2; norma questa che, consentendo il ricorso per cassazione anche per violazione delle norme della contrattazione collettiva di livello nazionale, si applica, per espressa previsione del d.lgs. cit., art. 27, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo (2 marzo 2006), laddove l’impugnata sentenza è stata depositata prima di tale data (7 novembre 2005).

E’ sufficiente allora rilevare che la Corte d’appello da una parte ha riscontrato il rispetto del preavviso di un mese previsto dall’art. 37 cit. (il trasferimento è stato comunicato in data 12 agosto 1998 e veniva espressamente indicato come operativo a partire dal successivo 21 settembre 1998); d’altra parte, con motivazione sufficiente e I non contraddittoria, ha interpretato l’art. 37 cit.

nel senso che esso prevede inoltre una prerogativa sindacale (la previa comunicazione del trasferimento alle r.s.a. in funzione di un possibile esame congiunto) che si colloca sul diverso piano delle relazioni sindacali e non introduce un ulteriore presupposto, oltre quelli di fonte legale previsti dall’art. 2103 c.c. e quello del preavviso, di fonte contrattuale, per l’adozione del trasferimento del lavoratore. Ciò comporta – come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello – che della assunta violazione di tale prerogativa poteva dolersi non già la lavoratrice, ma l’istanza sindacale aziendale eventualmente denunciando il comportamento antisindacale della datrice di lavoro.

4. La seconda prospettazione difensiva predica la natura sostanzialmente disciplinare del trasferimento.

In proposito deve considerarsi che è vero che l’autonomia collettiva è abilitata ad individuare nuove e diverse sanzioni rispetto a quelle tipiche alle quali fa riferimento la L. n. 300 del 1970, art. 7 – e sempre nel rispetto del divieto d’irrogazione di “sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”, sancito dall’art. 7, comma 4. Non vi è quindi un impedimento all’ammissibilità della previsione – ad opera della contrattazione collettiva, appunto – del trasferimento come sanzione disciplinare (cfr. Cass., sez. lav., 16 agosto 2004 n. 15950), essendo esso rispettoso del canone di cui al cit. art. 7 cit., comma 4, in ragione del suo carattere conservativo che non comporta un mutamento definitivo del rapporto di lavoro, ma incide soltanto sul luogo di adempimento della prestazione lavorativa. Cfr. anche Cass., sez. lav., 28 settembre 1995, n. 10252, secondo cui il trasferimento disciplinare è legittimo sempre che esso sia previsto come tale dalla contrattazione collettiva, non potendo, in caso contrario, il datore di lavoro sanzionare l’inadempimento del lavoratore col suo trasferimento, atteso che il potere disciplinare deve essere esercitato nel rispetto degli obblighi di predeterminazione e di tipicità previsti dall’art. 7 cit., comma 5.

Nella specie però da una parte non risulta – e comunque la ricorrente neppure allega – che la contrattazione collettiva di categoria abbia previsto come possibile sanzione disciplinare il trasferimento del lavoratore; d’altra parte si è fuori dall’area del (possibile) trasferimento disciplinare ove, come nella specie, il datore di lavoro si limiti ad esercitare lo jus variandi riconosciutogli dall’art. 2103 c.c., allegando la sussistenza di un giustificato motivo tecnico, organizzativo e produttivo per il mutamento del luogo di lavoro, quale appunto la soppressione dell’attività prima svolta presso ufficio di Vicenza e l’accentramento della stessa nella sede di Treviso.

La Corte d’appello poi con tipica valutazione di merito, assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha escluso che tale motivo, attinente all’organizzazione aziendale, fosse meramente apparente (e quindi in realtà insussistente) per essere il provvedimento sorretto in realtà da un motivo disciplinare riguardante la lavoratrice ricorrente.

5. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso.

La sentenza impugnata, dopo aver correttamente escluso che nella specie il trasferimento potesse qualificarsi come sanzione disciplinare, ha affermato: “Il mancato riconoscimento della natura sanzionatoria del trasferimento e, conseguentemente, del licenziamento intimato, preclude ogni valutazione relativamente alle doglianze inerenti al mancato rispetto delle procedure previste dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori”. Ossia: non avendo il trasferimento natura disciplinare, neppure il successivo licenziamento poteva avere tale natura.

Tale affermazione e la predicata inferenza dal pur corretto disconoscimento della natura disciplinare del trasferimento recano effettivamente – come a ragione deduce la ricorrente – il denunciato vizio di violazione di legge (art. 7 cit.) giacchè la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che il licenziamento intimato al lavoratore per una qualche mancanza o inadempienza degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro ha ex se (“ontologicamente”, si suoi dire) natura disciplinare. Cfr. ex plurimis Cass., sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652, che ha ribadito che il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal L. n. 300 del 1970, commi 2 e 3, art. 7, circa la contestazione dell’addebito ed il diritto di difesa.

Nella specie è pacifico tra le parti che il licenziamento sia stato intimato alla 1 lavoratrice per la sua protratta assenza presso la nuova sede di lavoro in Treviso, assegnatale dalla datrice di lavoro con il menzionato trasferimento; comportamento questo che costituisce una tipica inadempienza degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e ciò è sufficiente per riconoscere la natura disciplinare del licenziamento, erroneamente negata dalla Corte d’appello.

Tale errore di diritto ha comportato che la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante – come già notato – la prospettazione difensiva della lavoratrice appellante che si doleva del mancato rispetto delle regole procedimentali previste, dalla legge (art. 7 cit.) e dal contratto collettivo (art. 32 cit.), in caso di sanzioni disciplinari.

Non appare superfluo aggiungere che nella specie risulta che la previa contestazione dell’addebito (con lettera del 15 aprile 1999) da parte della datrice di lavoro ci sia stata sicchè in questa parte la garanzia del contraddittorio (audiatur et altera pars), posta dall’art. 7 cit., è stata rispettata tant’è che la lavoratrice ha comunicato le sue giustificazioni in data 21 aprile 1999; risulta invece controversa tra le parti – questione questa che dovrà essere delibata dal giudice di rinvio – l’applicabilità, o meno, delle più estese garanzie procedimentali previste dall’art. 32 della contrattazione collettiva di categoria, cit., per le sanzioni disciplinari (assunta tardività – in riferimento ai termini previsti dall’art. 32 cit. – sia della contestazione dell’addebito sia del licenziamento intimato il 10 maggio 1999).

6. L’accoglimento del terzo motivo di ricorso comporta l’assorbimento degli altri motivi attinenti, sotto vari profili, alla contestata sussistenza del giustificato motivo di licenziamento per essere ingiustificato il trasferimento.

7. Il ricorso va quindi accolto con conseguente cassazione in parte qua dell’impugnata sentenza e rinvio della causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trieste.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trieste.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

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