Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7045 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 12/03/2021), n.7045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7341/2019 R.G. proposto da:

A.E., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Paola, al viale Mannarino, n.

4, presso lo studio dell’avvocato Edoardo Sommella, che la

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto dei 5.3/16.7.2018 della Corte d’Appello di

Perugina;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Perugia depositato il 13.6.2012 A.E. si doleva per l’irragionevole durata della controversia di lavoro promossa dinanzi al Tribunale di Roma con ricorso depositato il 9.11.2000, definita in primo grado con sentenza del 20.2.2007 – con cui erano state respinte le pretese della ricorrente – proseguita in appello, a seguito della proposizione di gravame in data 19.2.2008, e definita in seconde cure all’udienza del 21.6.2011, con la cancellazione della causa dal ruolo.

Chiedeva condannarsi il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale e patrimoniale sofferto.

2. Resisteva il Ministero della Giustizia.

3. Con decreto dei 5.3/16.7.2018 la Corte di Perugia accoglieva il ricorso e condannava il Ministero a pagare alla ricorrente la somma di Euro 2.375,00 a titolo di equo indennizzo per il danno non patrimoniale sofferto, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannava – con distrazione – il Ministero alle spese di lite, liquidate in Euro 465,00 per compenso professionale.

Evidenziava la corte che dalla complessiva durata del giudizio “presupposto”, pari – dal 9.11.2000 al 21.6.2011 – a dieci anni e sette mesi, andavano detratti i dieci mesi trascorsi antecedentemente alla proposizione dell’appello, il cui decorso era da ascrivere alla ricorrente.

Evidenziava quindi che della complessiva durata – nove anni e nove mesi – del giudizio “presupposto”, al netto della durata ragionevole – tre anni per il giudizio di primo grado e due anni per il giudizio di secondo grado – quattro anni e nove mesi erano da qualificare di durata irragionevole.

Evidenziava che, ai fini del ristoro del danno non patrimoniale, il “moltiplicatore” annuo poteva essere quantificato nell’importo di Euro 500,00.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso A.E.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 2697 c.c. e segg., art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, par. 1, e art. 53 C.E.D.U.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancanza e l’illogicità della motivazione.

Deduce che la durata complessiva del giudizio “presupposto”, a decorrere dal 9.11.2000, di del suo inizio, al 13.6.2012, di proposizione del ricorso per equa riparazione, è pari a dodici anni.

Deduce che la durata ragionevole del giudizio in materia di lavoro è pari a diciassette mesi per il primo grado e a dodici mesi per il secondo grado.

Deduce che ha errato la Corte di Perugia a detrarre dalla complessiva durata del giudizio “presupposto” il lasso temporale di dieci mesi decorso ai fini della proposizione dell’appello.

6. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., L. n. 89 del 2001, art. 2,artt. 2043 e 2056 c.c. e L. n. 848 del 1955, artt. 1,6 e 13; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che la corte di merito ha ignorato le istanze istruttorie e non ha deciso in ordine alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale.

Deduce che la corte distrettuale ben avrebbe potuto riscontrare in via presuntiva il danno patrimoniale.

7. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 6, par. 1, C.E.D.U., L. n. 89 del 2001, art. 2,artt. 2043 e 2056 c.c., L. n. 848 del 1955, artt. 1,6 e 13; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il difetto, l’apparenza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., il contrasto con la documentazione.

Deduce che la corte territoriale ha quantificato in maniera riduttiva il “moltiplicatore” annuo e si è così discostata immotivatamente delle indicazioni della Corte E.D.U., alla stregua delle quali il “moltiplicatore”, per ciascun anno di irragionevole durata, deve essere determinato in misura oscillante tra l’importo di Euro 1.000,00 e l’importo di Euro 1.500,00 in considerazione dell’entità della “posta in gioco”.

Deduce che nelle cause di lavoro deve essere accordato un bonus di Euro 2.000,00.

Deduce che la corte perugina ha senza motivazione alcuna, in presenza di un’analitica nota specifica, globalmente liquidato le spese legali in Euro 450,00.

8. Il primo motivo di ricorso va respinto.

9. Evidentemente il termine finale del giudizio “presupposto” è da identificare non già con la “data di avvio del (presente) giudizio di equa riparazione” (così ricorso, pag. 11), cioè con la data del 13.6.2012, di in cui A.E. ebbe a depositare presso la corte umbra il ricorso ex lege n. 89 del 2001, bensì con la data del 21.6.2011, di in cui il giudizio “presupposto” fu – in seconde cure – cancellato dal ruolo (cfr. ricorso, pag. 4).

10. Per nulla si giustifica l’assunto della ricorrente secondo cui la durata ragionevole dei giudizio “di lavoro” è pari a diciassette mesi per il primo grado e a dodici mesi per il secondo grado.

E’ sufficiente ribadire gli insegnamenti (maturati in epoca antecedente al varo del D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito con modifiche nella L. n. 134 del 2012) di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ai fini della determinazione del termine di ragionevole durata del processo, alle cause di lavoro e previdenziali si applicano gli “standards” comuni fissati dalla Corte E.D.U., posto che la disciplina del processo del lavoro non prevede forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in rapporto all’oggetto della controversia e da richiedere l’applicazione di parametri diversi (cfr. Cass. 30.10.2009, n. 23047; Cass. 6.6.2011, n. 12172).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice nazionale può discostarsi dai parametri tendenziali fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (tre anni per il giudizio di primo grado, due anni per il giudizio di appello, un anno per il giudizio di legittimità) soltanto con argomentazioni complete, coerenti e congrue (cfr. Cass. 5.12.2011, n. 25955, ove si soggiunge che, al fine di dilatare i tempi della durata ragionevole, non è sufficiente motivare in ordine alla particolare complessità del giudizio con riferimento alla pluralità delle disposte consulenze tecniche d’ufficio).

In tal guisa ineccepibilmente la Corte d’Appello di Perugia ha computato in tre anni la durata ragionevole del giudizio di primo grado ed in due anni la durata ragionevole del giudizio di secondo grado.

11. E’ fuor di dubbio che la parte soccombente ha facoltà di fruire dell’intero termine, “breve” o “lungo” che sia, ai fini della proposizione dell’impugnazione.

E tuttavia il ricorrente ex lege “Pinto” – già soccombente/impugnante in un dato grado del giudizio “presupposto” – deve dar puntualmente conto delle ragioni che lo hanno indotto a posticipare in modo significativo la proposizione dell’impugnazione, siccome, altrimenti, si configura e residua tout court la sua mera “inerzia”, che, quantunque riconducibile ad una sua legittima facoltà, non può – in nome degli inderogabili doveri costituzionali di solidarietà – essere riversata, nei suoi “costi economici”, sulla collettività.

12. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

13. La corte di merito si è pronunciata in ordine al danno patrimoniale.

Invero, allorchè ha specificato (cfr. decreto impugnato, pag. 2) che il danno patrimoniale non è in re ipsa, la corte ha in tal guisa, implicitamente nondimeno chiaramente, puntualizzato che del medesimo pregiudizio non era stato acquisito alcun riscontro probatorio.

14. Nella cornice del rito camerale (contenzioso) operante nel caso di specie a norma della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4 (nella formulazione applicabile ratione temporis; al riguardo cfr. comunque Cass. (ord.) 21.7.2020, n. 15493) le parti, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 (nella formulazione applicabile ratione temporis) “hanno diritto, unitamente ai loro difensori, di essere sentite in Camera di consiglio se compaiono”.

E però la ricorrente non ha in questa sede in alcun modo addotto – nè risulta specificamente – che è comparsa di persona ai fini della sua audizione.

15. La corte distrettuale di certo non era tenuta, pur in rapporto alla finale prefigurazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 (nella formulazione applicabile ratione temporis), a conceder termine per consentire la produzione di “documentazione medica e fiscale”.

Ovviamente a tal riguardo a nulla vale prospettare che trattavasi di documentazione “di non immediata reperibilità” (così ricorso, pag. 15), siccome ben avrebbe potuto la ricorrente acquisirla ed allegarla anzitempo.

16. La mancata disposizione della consulenza tecnica d’ufficio (nella fattispecie, medica e contabile) da parte del giudice, di cui si asserisce l’indispensabilità, è incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, laddove la consulenza sia – è il caso di specie – finalizzata ad esonerare la parte dall’onere della prova o richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati (cfr. Cass. 5.7.2007, n. 15219).

17. In tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, il ricorrente ha l’onere di provare che la lesione della sua sfera patrimoniale costituisca la conseguenza diretta ed immediata della violazione del termine di ragionevole durata del processo (cfr. Cass. 15.5.2018, n. 11829); la prova del danno patrimoniale, inoltre, deve essere piena e rigorosa (cfr. Cass. 12.6.2013, n. 14775).

Su tale scorta ed in ogni caso – ovvero a prescindere dai precedenti rilievi – è difficile riconnettere, in via eziologica immediata e diretta, alla irragionevole durata del giudizio “presupposto” il preteso danno patrimoniale identificato (cfr. ricorso, pag. 16), per un verso, nel pregiudizio correlato alla vendita dell’alloggio dovuta al trasferimento in altra regione della sede di lavoro ed individuato nella presunta differenza di valore tra il quantum ricavato ed il valore attuale del cespite; identificato (cfr. ricorso, pag. 16), per altro verso, negli esborsi sostenuti per le visite mediche specialistiche e per l’acquisto dei farmaci necessari per la cura della malattia psicologica asseritamente insorta (a motivo dell’irragionevole durata del giudizio “presupposto”. In parte qua appieno si condivide il rilievo del Ministero: cfr. controricorso, pag. 4).

18. Del tutto genericamente la ricorrente adduce che nella fattispecie sussistevano i presupposti della prova presuntiva (cfr. ricorso, pag. 16).

Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui spetta senz’altro al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni (cfr. Cass. 11.5.2007, n. 10847).

19. Il terzo motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento nei termini che seguono.

20. Con riferimento all’assetto normativo applicabile ratione temporis nella fattispecie questa Corte spiega quanto segue.

Da un canto, che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale; sicchè, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass. (ord.) 30.7.2010, n. 17922; Cass. 28.5.2012, n. 8471).

D’altro canto, che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce violazione di legge e non configura vizio di motivazione, se il giudice del merito giustifichi lo scostamento dall’ordinario parametro alla luce della modesta entità della “posta in gioco”, del modesto valore della causa, della natura collettiva del ricorso – che può indurre ad una minore personalizzazione della controversia e, di conseguenza, ad una minore sofferenza per il suo prolungarsi – della circostanza per cui la pretesa azionata è basata su principio di diritto fermamente escluso dalla uniforme giurisprudenza (cfr. Cass. 12.7.2011, n. 15268; Cass. 7.11.2011, n. 23029).

21. Nel quadro surriferito la Corte di Perugia si è evidentemente discostata dai criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, allorchè ha determinato in Euro 500,00 il quantum del “moltiplicatore” annuo.

E però la corte distrettuale è incorsa nel vizio di motivazione “apparente”.

22. Sussiste il vizio di “motivazione apparente” quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

Più esattamente la corte territoriale si è limitata ad affermare, in verità in maniera piuttosto criptica, che “il patema d’animo per la durata di questo tipo di procedimenti (…) appare meno rilevante rispetto a quello determinato da una causa “ordinaria”” (così decreto impugnato, pag. 2).

23. Evidentemente l’operato riscontro del denunciato vizio di motivazione “apparente” assorbe la doglianza concernente la pretesa illegittimità della liquidazione delle spese e competenze nella misura di Euro 450,00 (recte, nella misura di Euro 465,00).

24. In accoglimento, nei termini suindicati, del terzo motivo del ricorso il decreto dei 5.3/16.7.2018 della Corte d’Appello di Perugia va cassato con rinvio alla stessa corte in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

25. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile – al di là del parziale buon esito del ricorso – il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,1 comma 1 quater (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei termini suindicati; cassa – in relazione e nei limiti dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso – il decreto dei 5.3/16.7.2018 della Corte d’Appello di Perugia; rinvia alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; rigetta il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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