Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7044 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 12/03/2021), n.7044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11118/2019 R.G. proposto da:

F.G., c.f. (OMISSIS), G.D., c.f.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma, alla via dei

Dardanelli, n. 37, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe

Campanelli, che li rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso.

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto dei 19/28.9.2018 della Corte d’Appello di Torino;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Torino depositato il 28.5.2018 F.G. e G.D. si dolevano per l’irragionevole durata dell’espropriazione immobiliare – e della divisione endoesecutiva scaturitone – nei loro confronti promossa, dinanzi al Tribunale di Cuneo, nell’anno 1998, dalla “Banca Nazionale del Lavoro” s.p.a..

Chiedevano ingiungersi al Ministero della Giustizia il pagamento di un equo indennizzo.

2. Con decreto del 19.6.2018 il consigliere designato rigettava il ricorso.

3. F.G. e G.D. proponevano opposizione. Resisteva il Ministero della Giustizia.

4. Con decreto dei 19/28.9.2018 la Corte d’Appello di Torino rigettava l’opposizione e condannava in solido gli opponenti alle spese del giudizio.

5. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso F.G. e G.D.; ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

6. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, dell’art. 6 C.E.D.U. e degli artt. 24 e 111 Cost..

Deducono che ha errato la Corte di Torino a reputare insussistente il danno non patrimoniale.

Deducono che il danno non patrimoniale correlato all’irragionevole durata del processo si configura a prescindere dalla posizione processuale della parte.

7. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 e art. 2 bis e degli artt. 1226 e 2056 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il difetto di pronuncia su fatto rilevante, la nullità del decreto impugnato, l’omessa valutazione dei mezzi di prova.

Deducono che l’affermazione della corte d’appello, secondo cui l’esecutato è tenuto ad allegare uno specifico suo interesse al celere compimento della espropriazione, contrasta con il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, lett. b) e c).

Deducono comunque che hanno dato prova del loro interesse alla pronta definizione dell’espropriazione, estintasi a seguito della rinuncia agli atti di tutti i creditori.

8. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, nonchè degli artt. 1226 e 2056 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto impugnato e la violazione dell’art. 116 c.p.c..

Deducono che, benchè la procedura si sia estinta a seguito della rinuncia agli atti di tutti i creditori, è tuttavia indubitabile nella fattispecie il danno non patrimoniale ovvero il patema d’animo sofferto in dipendenza del timore di perdere la proprietà – non già il mero diritto abitativo – della propria abitazione.

9. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la nullità della sentenza impugnata, il difetto di motivazione ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., l’omessa, contraddittoria ed erronea motivazione su circostanza rilevante ai fini della valutazione del danno patrimoniale.

Deducono che la corte territoriale ha omesso la valutazione delle prove – in particolare di due atti di precetto notificati ad istanza del creditore procedente – offerte ai fini della dimostrazione del danno patrimoniale correlato alla maggiorazione degli interessi passivi maturati in dipendenza dell’irragionevole protrarsi dell’esecuzione a vantaggio dei creditori intervenuti nell’esecuzione.

Deducono dunque che la corte distrettuale ha negato il danno patrimoniale alla stregua di una valutazione avulsa dalla documentazione allegata.

10. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la nullità del decreto impugnato per omessa pronuncia su fatto rilevante.

Deducono che l’espropriazione forzata è stata sospesa in data 28.1.2002 a seguito della proposizione da parte loro di opposizione all’esecuzione.

Deducono che con ricorso della L. n. 89 del 2001, ex art. 3, alla Corte d’Appello di Milano hanno lamentato l’irragionevole durata del giudizio di opposizione all’esecuzione; che la Corte di Milano ha reputato fondata l’azionata pretesa ed ha accordato, a ciascuno, l’indennizzo di Euro 4.500,00.

Deducono dunque che tra le medesime parti sussiste un giudicato sostanziale e la Corte di Torino, in applicazione del principio della “ragione più liquida”, ha omesso al riguardo ogni pronuncia.

Deducono quindi che la corte distrettuale avrebbe dovuto valutare il periodo di sospensione dell’esecuzione e tenerne conto ai fini della liquidazione dell’indennizzo spettante per la fase di esecuzione.

11. Si giustifica appieno la disamina contestuale del primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo di ricorso, siccome tutti concernenti il preteso pregiudizio non patrimoniale asseritamente scaturito dalla dedotta irragionevole protrazione della espropriazione immobiliare “presupposta” e siccome tutti, conseguentemente, postulanti, ai fini della loro delibazione, sostanziale identità di argomentazioni e di rilievi.

Gli anzidetti motivi di impugnazione vanno in ogni caso respinti.

12. Ovviamente questa Corte non può che ribadire i propri insegnamenti.

Ovvero l’insegnamento secondo cui il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicchè egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore (cfr. Cass. 7.1.2016, n. 89).

Ovvero l’insegnamento secondo cui “il debitore esecutato, sebbene sia parte (…) del processo esecutivo, non è necessariamente percosso dagli effetti negativi di un’esecuzione forzata di durata irragionevole, atteso che dall’esito finale di tale processo egli ritrae essenzialmente un (giusto) danno. E dunque, deve aggiungersi, quella presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza del processo (…), non può operare di regola quanto alla posizione del debitore esecutato” (così in motivazione Cass. 9.7.2015, n. 14382).

Cosicchè, ai fini del ristoro del danno non patrimoniale, l’esecutato “ha l’onere di allegare non un generico ma uno specifico suo interesse ad un’espropriazione celere, e di dimostrarne l’effettiva esistenza” (così in motivazione Cass. 9.7.2015, n. 14382).

Più esattamente, ai fini del ristoro del danno non patrimoniale, occorre che l’esecutato alleghi e dimostri che “l’attivo pignorato, o comunque pignorabile in altra sede esecutiva, fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori; e che a causa dell’irragionevole dilatazione dei tempi processuali spese ed interessi siano lievitati in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile residuo attivo ovvero la restante garanzia generica, altrimenti capiente” (così in motivazione Cass. 9.7.2015, n. 14382. Si veda anche Cass. (ord.) 7.5.2018, n. 10857).

13. In questi termini non possono che formularsi i seguenti rilievi.

Innanzitutto non hanno precipua valenza gli assunti secondo cui essi ricorrenti/esecutati hanno senz’altro subito gravi limitazioni dei propri diritti fondamentali a causa dell’irragionevole protrazione dell’espropriazione forzata (cfr. ricorso, pag. 2), secondo cui il danno patrimoniale è in re ipsa (cfr. ricorso, pag. 3), secondo cui hanno comunque dato prova del danno non patrimoniale ovvero del patema d’animo sofferto e correlato al timore di perdere la proprietà della propria abitazione (cfr. ricorso, pag. 5).

Evidentemente l’affermazione della corte d’appello circa la necessità dell’allegazione di uno specifico interesse degli esecutati al celere compimento della espropriazione (cfr. decreto impugnato, pag. 6) è mero riflesso della surriferita elaborazione di questa Corte, sicchè è vano addurre pretesi contrasti con la disciplina legislativa.

In pari tempo riscontro dell’imprescindibile specifico interesse dei ricorrenti alla pronta definizione dell’espropriazione di certo non può essere rinvenuto nella mera circostanza per cui G.D. è intervenuto nell’esecuzione per il tramite del curatore del proprio fallimento e F.G. vi è intervenuta di persona e non si è opposta (cfr. ricorso, pag. 4).

Analogamente, in difetto di allegazione del necessario specifico interesse, è vano prospettare che la corte di merito non ha compiuto i dovuti accertamenti ai fini della valutazione dei danni non patrimoniali asseritamente sofferti (cfr. ricorso, pag. 5).

14. Nei termini giurisprudenziali surriferiti non ha specifico rilievo che l’espropriazione immobiliare “presupposta” si sia estinta a seguito e per effetto delle rinunce agli atti ex art. 629 c.p.c., depositate dal creditore pignorante e dai creditori intervenuti.

15. E’ fuor di dubbio, d’altro canto, che il “tempo” della sospensione ex art. 624 c.p.c., dell’esecuzione correlata alla proposizione dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., è, propriamente, “tempo” dell’esecuzione forzata, non già “tempo” dell’opposizione all’esecuzione forzata.

Del resto l’esecuzione è, se del caso, sospesa dal giudice dell’esecuzione. E, d’altra parte, se è vero, come è vero, che le opposizioni esecutive, tra cui l’opposizione all’esecuzione, sono funzionalmente correlate alla vicenda esecutiva che le occasiona, sono nondimeno, rispetto alla medesima vicenda, caratterizzate da piena “autonomia strutturale”.

16. In tal guisa non possono che formularsi i seguenti ulteriori rilievi.

Per un verso, pur con riferimento alla parentesi processuale costituita dal periodo di sospensione innestatosi nel corso del processo di esecuzione ha rilievo concludente la mancata allegazione e dimostrazione da parte dei ricorrenti/esecutati – mancata allegazione e dimostrazione di cui la Corte di Torino ha sostanzialmente dato atto – di uno specifico loro interesse alla celere celebrazione dell’espropriazione forzata in loro danno intrapresa.

Per altro verso, al cospetto della testè riferita “ratio decidendi”, quale connotante l’impugnato dictum, per nulla si giustifica il denunciato vizio di omessa pronuncia in ordine alla addotta – con il quinto mezzo di impugnazione – interferenza del giudicato sostanziale (cfr. Cass. sez. lav. 26.1.2016, n. 1360, secondo cui il vizio d’omessa pronuncia, configurabile allorchè manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, deve essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza).

In ogni caso, alla stregua dell'”autonomia strutturale” che qualifica il rapporto esecuzione – opposizione all’esecuzione, non esplica nella fattispecie valenza alcuna il giudicato sostanziale correlato al decreto in data 16.11.2015, con cui la Corte d’Appello di Milano ha opinato per la irragionevole durata del giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c., all’esecuzione forzata promossa dalla “B.N.L.” in danno dei ricorrenti.

Cosicchè per nulla si giustifica l’assunto di F.G. e G.D. secondo cui l’equo indennizzo dalla Corte di Torino “doveva almeno, per il medesimo motivo, essere riconosciuto e liquidato anche nel processo esecutivo” (così ricorso, pag. 8).

17. Il quarto motivo di ricorso similmente va respinto.

18. Si premette che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, il ricorrente ha l’onere di provare che la lesione della sua sfera patrimoniale costituisca la conseguenza diretta ed immediata della violazione del termine di ragionevole durata del processo (cfr. Cass. 15.5.2018, n. 11829); inoltre, che la prova del danno patrimoniale deve essere piena e rigorosa (cfr. Cass. 12.6.2013, n. 14775).

Su tale scorta si evidenzia che, se è vero – come è vero – che l’espropriazione immobiliare “presupposta” si è estinta a seguito e per effetto delle rinunce agli atti ex art. 629 c.p.c., depositate dal creditore pignorante e dai creditori intervenuti, di certo i ricorrenti non possono, sic et simpliciter, ricollegare eziologicamente la maggiorazione degli interessi passivi alla addotta irragionevole protrazione dell’esecuzione forzata.

D’altronde ben avrebbero potuto i ricorrenti definire anzitempo in via transattiva le esposizioni debitorie su di essi gravanti.

Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo della corte di merito secondo cui “non è stato allegato e tanto meno dimostrato in che termini tali transazioni siano avvenute” (cfr. decreto impugnato, pag. 7).

19. In ogni caso i ricorrenti con il quarto mezzo censurano l’asserita erronea valutazione delle risultanze istruttorie (“dagli atti non emerge alcuno dei suddetti elementi, (…) infatti il giudice per giungere a tale convincimento ha desunto elementi non rilevabili dagli atti”: così ricorso, pag. 7).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

20. Una notazione finale si impone.

In dipendenza del rigetto del ricorso ed in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” si prescinde da qualsivoglia rilievo in ordine alla nullità della notificazione al Ministero della Giustizia – formalmente costituito dinanzi alla Corte d’Appello di Torino – del ricorso a questa Corte, siccome eseguita al Ministero in proprio ed, inoltre, presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino (cfr. Cass. sez. lav. 28.5.2014, n. 12002, circa il principio della “ragione più liquidà).

21. Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

22. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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