Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7041 del 20/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 20/03/2017, (ud. 30/11/2016, dep.20/03/2017),  n. 7041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6675-2015 proposto da:

V.G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

TRE OROLOGI 10/E, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO RANIERI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ALBERTO MURATORE APROSIO,

FABIO FRANCHINI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO

10, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALBERTO PAPINI giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Z.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 49/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato FABIO FRANCHINI;

udito l’Avvocato ERICA DUMONT per delega non scritta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità dei primi tre

motivi in subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.L.A., dopo aver acquistato un immobile in (OMISSIS) da Z.A. con scrittura privata del (OMISSIS), chiese ed ottenne pronuncia (sentenza Trib. Verbania 7.3.2000, passata in giudicato) dichiarativa della autenticità della sottoscrizione della Zamboni, nonchè la sua condanna al rilascio; conseguentemente, avviò l’esecuzione ex art. 608 c.p.c. in forza di tale titolo esecutivo. La Z., frattanto, aveva alienato l’immobile a V.G.B. con rogito del (OMISSIS), trascritto però solo successivamente alla trascrizione della domanda proposta dal D.L.. La stessa Z., peraltro, aveva anche avviato autonoma domanda di nullità del contratto con il D.L. per pretesa violazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 nonchè del D.Lgs. n. 90 del 1990, art. 3, comma 13 ter e quater vicenda processuale definita da questa Corte di cassazione con sentenza n. 103/2011, col rigetto nel merito della domanda stessa e, quindi, con la formazione del giudicato sul punto.

Proposta dal V. opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c. – sull’assunto della pretesa nullità della scrittura privata del (OMISSIS) intercorsa tra la Z. e il D.L. e quindi dell’inefficacia della trascrizione della relativa domanda ex art. 2652 c.c., n. 3 da parte dello stesso D.L., con conseguente prevalenza dell’acquisto di esso opponente – con sentenza del 25.7.2011 il Tribunale di Verbania la rigettò; la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 14.1.2015, confermò la prima statuizione, rigettando l’appello proposto dal V..

Questi propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’intimato resiste con controricorso, mentre la Z. non ha resistito. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, deducendo “nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – Violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccezione di nullità della scrittura privata del 19 dicembre 1996”, il ricorrente censura la sentenza impugnata perchè il giudice d’appello non avrebbe pronunciato sulla detta eccezione, ritualmente formulata con l’atto d’appello, per essere stata negletta anche dal primo giudice. Si sostiene che, poichè la trascrizione della domanda effettuata dal D.L. ex art. 2652 c.c., comma 1, n. 3), nulla potrebbe aggiungere alla sua sfera giuridica, trattandosi in tesi di atto (la scrittura privata del (OMISSIS)) nullo ed improduttivo di effetti, dalla declaratoria della nullità non potrebbe che discendere la prevalenza dell’acquisto di esso ricorrente dalla Z., tanto più che il giudicato di Cass. n. 103/2011 e le altre statuizioni definitive rese tra la stessa Z. ed il D.L. erano da considerare res inter alios actae e gli erano quindi inopponibili.

1.2 – Con il secondo motivo, deducendo “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2643 c.c., comma 1, n. 1, art. 2644 e art. 2652 c.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, censura la sentenza impugnata perchè si è attribuito rilievo decisivo alla circostanza che la domanda giudiziale proposta dal D.L. fosse stata trascritta prima dell’acquisto di esso ricorrente. Afferma in proposito il V. che la disciplina della trascrizione presuppone necessariamente – al fine di dirimere i conflitti – che sussista un’ipotesi di doppia alienazione, nel caso di specie mancante perchè il suo acquisto non potrebbe giammai considerarsi a non domino: assumerebbe invece rilievo decisivo la pretesa nullità della ripetuta scrittura privata, questione tuttavia pretermessa dalla Corte d’appello.

1.3 – Con il terzo motivo, deducendo “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, si censura la sentenza impugnata perchè il giudice d’appello ha ritenuto che i giudicati formatisi tra la Z. e il D.L. gli fossero opponibili. Ciò in quanto da un lato il giudizio concernente l’autenticazione della sottoscrizione della Z. non può estendersi al contenuto sostanziale della scrittura privata inter partes, e dall’altro perchè dette statuizioni definitive sono insuscettibili di produrre effetti nei suoi confronti, sia diretti, sia riflessi.

1.4 – Con il quarto motivo, infine, deducendo “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui è stata accolta la domanda di risarcimento del danno per lite temeraria proposta dal D.L., negandosi sussista nella specie alcuna temerarietà della spiegata azione.

2.1 – Preliminarmente, rileva il Collegio che l’esame dei motivi sopra riportati è precluso dalla necessità di verificare e rilevare, d’ufficio, l’improponibilità della domanda proposta da V.G.B., nei termini che seguono.

3.1 – Deve anzitutto evidenziarsi come – da quanto è dato desumersi dal ricorso e dalla sentenza impugnata – l’esecuzione per rilascio d’immobile opposta dal V. venne avviata da D.L.A. nei confronti di Z.A., rimasta con ogni evidenza nel possesso del bene, fino a consegna coattivamente eseguita. Si tratta di circostanza che ha rilevanti implicazioni, poichè, rispetto all’esecuzione diretta, è terzo non soltanto colui che non risulti contemplato nel titolo esecutivo azionato, ma anche che non si trovi nel possesso o nella detenzione del bene e non subisca quindi direttamente gli effetti dell’operato dell’organo esecutivo. Ciò perchè, come è stato osservato in dottrina (nello stesso senso, sostanzialmente, Cass., 17.1.2003, n. 601), solo colui che possegga o detenga il bene è in grado di restituirlo all’avente diritto, così realizzando la sua pretesa.

L’odierno ricorrente, quindi, è da considerarsi terzo non già perchè tale qualità gli deriverebbe dal giudicato interno asseritamente formatosi sul punto (v. ricorso, p. 23), ma perchè l’esecuzione per rilascio venne avviata e proseguita nei confronti di colei che esercitava il corpus sul bene per cui è causa, ossia Z.A., unico soggetto ad essere stato destinatario degli atti esecutivi.

3.2 – Quanto precede, tuttavia, non risolve d’emblee il problema di fondo, ossia l’individuazione del corretto strumento processuale offerto al terzo che si dolga dell’esecuzione per rilascio di un bene sul quale egli vanti un diritto incompatibile con quello del procedente.

Infatti, ribadito – in linea con la più recente e maggioritaria impostazione dottrinale – che l’opposizione di terzo all’esecuzione è istituto applicabile anche all’esecuzione in forma specifica e non solo a quella per espropriazione, nonostante il tenore letterale dell’art. 619 c.p.c. (si veda sul punto Cass., S.U., 23.1.2015, n. 1238, che supera il contrario precedente di Cass., 17.9.2003, n. 13664), si tratta di stabilire la linea di confine tra tale rimedio e l’opposizione di terzo ordinaria di cui all’art. 404 c.p.c., comma 1, ove – come nella specie – il titolo azionato sia una sentenza formatasi inter alios.

La questione è stata affrontata dall’appena citato precedente delle Sezioni Unite, sia pure come obiter dictum, e risolta nel senso che il terzo, per far valere il suo diritto autonomo sul bene, incompatibile con il diritto vantato dall’esecutante, non potrebbe certamente coltivare una opposizione ex art. 619 c.p.c.: infatti, detta opposizione sarebbe proponibile “solo allorquando la posizione del terzo venga minacciata o attinta dall’esecuzione per un errore nell’attività esecutiva, che si dirige verso un bene diverso da quello contemplato nel titolo. Il che non accade se l’esecuzione riguardi il bene contemplato dalla sentenza inter alios che il terzo di cui all’art. 404 c.p.c., comma 1, detenga materialmente” (così, Cass. S.U. n. 1238/2015, in motivazione).

Ritiene il Collegio di dover dare continuità a tale impostazione – che si innesta su questioni di ben più ampia portata riguardo ai rapporti tra l’opposizione di terzo ordinaria e l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. – con le precisazioni che seguono.

3.3 – Occorre muovere da un dato: nell’esecuzione per consegna o rilascio, vi è, di regola, coincidenza tra il bene indicato nel titolo e il bene assoggettato ad esecuzione. Il che vuol dire che, mentre nell’espropriazione forzata la direzione dell’azione esecutiva è preminentemente soggettiva (in quanto occorre principalmente individuare l’obbligato inadempiente, e quindi “specificare”, mediante il pignoramento, l’oggetto dell’azione stessa, così concretizzando la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., in quanto il debitore risponde fino a quel momento con qualsiasi bene gli appartenga), nell’esecuzione in forma specifica, invece, la direzione dell’azione è preminentemente oggettiva, in quanto il titolo indica un determinato diritto avente ad oggetto un certo bene: ciò esclude in radice, in linea di massima, che l’esecuzione possa attingere i beni di un terzo.

Scopo dell’esecuzione in forma specifica è, quindi, quello di adeguare la situazione di fatto a quella giuridica consacrata nel titolo, ossia di intervenire coattivamente, con l’autorità statuale, per spossessare l’obbligato e immettere l’avente diritto nel possesso o nella detenzione (a seconda che si agisca a tutela di un diritto reale o personale di godimento) della res.

3.4 – Ora, il terzo che si affermi pregiudicato dall’esecuzione per consegna o rilascio in forza di sentenza resa inter alios, può reagire in sede giudiziaria optando tra l’opposizione ordinaria, ex art. 404 c.p.c., comma 1, e l’opposizione di terzo all’esecuzione, ex art. 619 c.p.c.. Naturalmente, dovendo escludersi l’alternatività secca tra i due rimedi, occorre individuare i presupposti dell’uno e dell’altro e verificare quale via debba conseguentemente percorrere il terzo, in relazione al caso concreto.

3.4.1 – L’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c. è un mezzo di impugnazione straordinario, dato cioè anche riguardo a sentenza divenuta definitiva, tendente ad eliminare – o quantomeno rendere inopponibile – una statuizione resa inter alios, di per sè inidonea a pregiudicare il terzo, stante la portata del giudicato sostanziale, ai sensi dell’art. 2909 c.c., tra le sole parti del giudizio, i loro eredi ed aventi causa. Il pregiudizio, tuttavia, può derivare in concreto al terzo dal c.d. “danno da esecuzione”, ossia dall’attuazione (spontanea o coattiva) del comando giudiziale che impone al soccombente un comportamento incompatibile con il diritto autonomo (ossia, in alcun modo dipendente dall’efficacia della sentenza) dello stesso terzo.

Questi ben potrebbe agire nei confronti del suo dante causa, per ottenere il risarcimento del danno. Ma l’ordinamento gli concede un ben più incisivo rimedio, l’opposizione ordinaria ex art. 404 c.p.c., comma 1, appunto, mediante la quale egli può ottenere l’eliminazione del pregiudizio, o meglio della sua fonte: la sentenza resa inter alios. Come peraltro non manca di notare il citato precedente delle Sezioni Unite, la tutela così apprestata al terzo è molto incisiva, ben potendo questi chiedere al giudice dell’impugnazione la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza gravata, ai sensi dell’art. 407 c.p.c., qualora dall’esecuzione possa derivare un grave ed irreparabile danno.

3.4.2 – L’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c., invece, ha come funzione tipica quella di sottrarre il bene all’azione esecutiva in quanto di proprietà dell’opponente (Cass. 2.12.2016, n. 24637), ovvero in quanto comunque oggetto di un diritto di godimento del terzo, autonomo e prevalente rispetto a quello dell’esecutante.

In quest’ottica, l’opposizione non è quindi volta a mettere in discussione il diritto portato dal titolo esecutivo (titolo che, in caso di accoglimento dell’opposizione stessa, resterebbe intatto e pienamente utilizzabile dall’esecutante in altro procedimento), bensì ad escludere quel determinato bene dall’espropriazione o dall’esecuzione specifica, così come avviata e proseguita. In altre parole, con l’opposizione ex art. 619 c.p.c. il terzo può lamentare il pregiudizio derivante non già dalla sentenza azionata, bensì dallo svolgimento di un procedimento esecutivo inter alios, idoneo a pregiudicare il proprio diritto, che assume autonomo e prevalente: si tratta, in sostanza, di un rimedio contro gli errori di esecuzione, e non contro quelli contenuti nel titolo. Se questa è, quindi, l’essenza del rimedio in discorso, è evidente che l’opponente non potrà servirsene per contestare il contenuto del titolo giudiziale, poichè, in tal modo, l’opposizione di terzo all’esecuzione finirebbe col trasformarsi in un rimedio impugnatorio, in contrasto sia con la sua natura e funzione, sia col c.d. principio dell’onere del gravame, secondo cui le opposizioni esecutive non possono utilizzarsi per far valere pretesi vizi della sentenza azionata: in caso contrario, esse diverrebbero – inammissibilmente – un doppione dei mezzi di impugnazione. Pertanto, se la sentenza è ancora impugnabile, le ragioni di merito andranno fatte valere con i mezzi di impugnazione, mentre laddove non lo sia più, esse incontreranno la preclusione del giudicato.

3.4.3 – Alla luce di quanto fin qui considerato, può quindi darsi compiuta risposta alla questione iniziale, quella cioè dell’individuazione della linea di confine tra l’opposizione ex art. 404 e quella ex art. 619 c.p.c.. La prima sarà proponibile quando il terzo si affermi pregiudicato dalla statuizione giudiziale azionata in executivis, mentre la seconda lo sarà quando il terzo assuma che il pregiudizio gli derivi da un errore compiuto nel processo esecutivo: o per essere stato pignorato un bene non appartenente al debitore, ma ad esso opponente, ovvero (nell’esecuzione diretta) per essere stato appreso un bene dallo stesso opponente legittimamente posseduto o detenuto, e di cui chieda dichiararsi il diritto di continuare a farlo. E’ per questa ragione, quindi, che l’opposizione di terzo all’esecuzione non può essere utilizzata dal terzo per conseguire il corpus: essa, come è stato osservato da attenta dottrina, mira a tutelare lo ius possessionis, non già lo ius possidendi.

4.1 – Facendo governo delle superiori considerazioni rispetto al ricorso in esame, ritiene la Corte (come già anticipato al par. 2.1) che l’opposizione ex art. 619 c.p.c. a suo tempo spiegata da V.G.B. sia improponibile.

Egli, infatti, sostenendo la tesi della nullità della scrittura privata del (OMISSIS) tra la Z. e il D.L., mira chiaramente a porre nel nulla, non solo l’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione della stessa Z. (e quindi l’effetto traslativo derivante dalla stessa scrittura privata), ma anche la condanna di questa al rilascio dell’immobile in favore dell’odierno controricorrente, statuizioni pronunciate dal Tribunale di Verbania con sentenza del 7.3.2000, confermate dalla Corte d’appello di Torino con sentenza del 17.5.2001 e ormai coperte dal giudicato a seguito di Cass. n. 15382/2005. Pertanto, poichè il ricorrente non lamenta un errore sorto nel processo esecutivo per rilascio riguardo all’individuazione del bene, ma si duole della situazione giuridica soggettiva riconosciuta da quel giudicato in favore del D.L., egli avrebbe dovuto proporre l’opposizione ordinaria ex art. 404 c.p.c., comma 1, al fine di ottenere la demolizione di quel titolo, che ostacola il preteso diritto di proprietà da lui vantato sul bene per cui è causa.

E’ appena il caso di precisare, infine, che l’opposizione ex art. 619 c.p.c. spiegata dal V. dinanzi al Tribunale di Verbania non potrebbe riqualificarsi come opposizione ex art. 404 c.p.c., comma 1. Vi osta, infatti, la diversità strutturale e funzionale tra le due azioni: e ciò sia per la competenza (l’una da proporsi dinanzi al giudice dell’esecuzione, l’altra dinanzi al giudice che ha emesso la sentenza pregiudicante, da individuarsi peraltro nella decisione d’appello del 17.5.2001, che confermò Trib. Verbania 7.3.2000 – v. sul punto Cass., 5.2.1977, n. 577 -; l’eventuale domanda rescindente, quindi, avrebbe comunque dovuto proporsi dinanzi alla Corte d’appello di Torino), vuoi per la causa petendi, vuoi infine per il petitum (il V., come si evince chiaramente dalle conclusioni di primo grado, riportate in ricorso a pp. 8 e 9, non ha comunque chiesto alcuna pronuncia rescindente).

Si impone, in definitiva, la cassazione dell’impugnata sentenza senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, perchè la domanda non poteva essere proposta, dovendo affermarsi il seguente principio di diritto: “nell’esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa inter alios, ove il terzo lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli deriva non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato un diritto incompatibile con quello da lui vantato, egli non può proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ma deve invece impugnare il provvedimento stesso con l’opposizione di terzo ordinaria, ai sensi dell’art. 404 c.p.c., comma 1”.

4.1 – Le spese dei gradi di merito, nonchè del giudizio di legittimità, devono integralmente compensarsi. Ciò in considerazione del fatto che la questione della improponibilità dell’opposizione ex art. 619 c.p.c. è stata rilevata d’ufficio e che essa era obiettivamente controversa, tanto che solo con la citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 (e quindi, ben dopo l’inizio del presente giudizio) si è avviata una puntuale riflessione in proposito.

Quanto precede giustifica ampiamente il rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., avanzata anche in questa sede dal D.L., ove pure si consideri che l’ordinamento appresta all’odierno ricorrente uno specifico rimedio giurisdizionale a tutela della sua posizione, evidentemente da lui non percorso. In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

cassa la sentenza impugnata senza rinvio. Compensa integralmente le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del magistrato assistente di studio dr. S.S..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017

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