Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7041 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 12/03/2021), n.7041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16804/2019 R.G. proposto da:

CENTRO EDILE QUARTARELLA s.r.l., p.i.v.a. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Altamura, alla via Roma, n. 4,

presso lo studio dell’avvocato Giovanni Moramarco, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 3824/2018 della Corte d’Appello di Bari;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

L Con ricorso ex lege n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Bari il “Centro Edile Quartarella” s.r.l. si doleva per l’irragionevole durata del giudizio intrapreso, nel 1988, dinanzi al Tribunale di Bari e definito da questa Corte di cassazione con ordinanza di estinzione ex art. 391 c.p.c., depositata il 12.2.2018. Chiedeva ingiungersi al Ministero il pagamento di un equo indennizzo.

2. Il consigliere designato dichiarava inammissibile il ricorso.

3. Il “Centro Edile Quartarella” s.r.l. proponeva opposizione. Resisteva il Ministero della Giustizia.

4. Con decreto n. 3824/2018 la Corte di Bari rigettava l’opposizione.

Evidenziava la corte che nessun dubbio si delineava ai fini dell’applicabilità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c).

Evidenziava quindi che nessuna prova il ricorrente aveva fornito onde vincere la presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio; che in particolare il ricorrente non aveva dato alcuna prova del preteso danno alla propria immagine ed alla propria credibilità asseritamente scaturito dall’eccessiva durata del giudizio “presupposto”.

5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso il “Centro Edile Quartarella” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c).

Deduce che la Corte di Bari ha erroneamente applicato della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), contemplante l’ipotesi dell’estinzione del processo per rinunzia o per inattività delle parti ex artt. 306 e 307 c.p.c., alla diversa ipotesi della estinzione ex art. 391 c.p.c., del giudizio innanzi alla Corte di cassazione.

Deduce che l’estinzione del giudizio si atteggia diversamente in sede di merito ed in sede di legittimità.

Deduce inoltre che il “patema d’animo” correlato alla pendenza della lite si è protratto sino al di del deposito dell’ordinanza ex art. 391 c.p.c., pur dopo la rinuncia da parte sua al ricorso incidentale ed all’accettazione da parte sua della rinuncia al ricorso principale, siccome questa Corte di legittimità ben avrebbe potuto pronunciarsi in ordine alle spese processuali.

7. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c) e dell’art. 115 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che la Corte di Bari ha omesso la disamina della documentazione prodotta, idonea a dar ragione della sussistenza del diritto all’equo indennizzo.

8. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), e dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 6, par. 1, e 13 C.E.D.U..

Deduce che il proprio diritto all’equo indennizzo era maturato da epoca significativamente antecedente alla rinuncia ex art. 391 c.p.c..

Deduce ulteriormente che la Corte di Bari ha disatteso i principi elaborati da questa Corte di legittimità in tema di perenzione del giudizio amministrativo, principi applicabili pur al caso di specie ed alla cui stregua la dichiarazione di perenzione del giudizio amministrativo non esclude il danno per l’irragionevole durata del giudizio “presupposto” antecedente alla perenzione.

9. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, anche alla luce delle sentenza della Corte costituzionale n. 88/2018.

Deduce che la proposizione della domanda ex lege “Pinto”, in pendenza del giudizio “presupposto”, ai fini del conseguimento dell’equo indennizzo per l’irragionevole durata medio tempore maturata, risultava inibita dalla disposizione – poi dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 88/2018 – di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, che, appunto, aveva imposto la proposizione dalla domanda di equo indennizzo solo successivamente alla definizione del giudizio “presupposto”.

Deduce quindi che disconoscergli il diritto all’equo indennizzo per effetto della rinuncia ex art. 391 c.p.c., costituisce grave violazione.

10. Si giustifica appieno la disamina contestuale dei motivi di ricorso, siccome postulanti, ai fini della loro delibazione, sostanziale identità di argomentazioni e di rilievi.

Tutti i motivi in ogni caso vanno respinti.

11. Si premette – in linea di principio – che si applica, ratione temporis, al caso di specie la previsione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), a tenor della quale “si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di: (…) c) estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c. (…)” (il 2 co. sexies è stato inserito dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. d), a decorrere dall’1.1.2016).

Invero, ai fini dell’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), rileva unicamente la circostanza per cui il presente giudizio di “equa riparazione” ha avuto inizio successivamente all’1.1.2016 (cfr. Cass. 10.10.2019, n. 25542; Cass. 9.10.2019, n. 25323).

Non osta dunque all’applicazione della presunzione iuris tantum prefigurata dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), la circostanza per cui il giudizio “presupposto” si è svolto quasi integralmente in epoca antecedente all’1.1.2016.

12. Su tale premessa si osserva – con specifico riferimento al primo motivo – che correttamente la corte di merito ha assimilato la rinuncia ex art. 390 c.p.c., alla rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c., ed ha di conseguenza esteso pur alla prima ipotesi di rinuncia la previsione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c).

E’ vero senza dubbio che la rinuncia al ricorso per cassazione, diversamente dalla rinuncia ex art. 306 c.p.c., è atto unilaterale non “accettizio”, nel senso cioè che non esige, per la sua operatività, l’accettazione della controparte (cfr. Cass. 14.7.2006, n. 15980; Cass. 5.8.1985, n. 4384).

E tuttavia questa Corte da tempo spiega che l’art. 390 c.p.c., adatta al giudizio di cassazione la regola generale prevista dall’art. 306 c.p.c. per la rinunzia agli atti del giudizio (cfr. Cass. 12.6.1973, n. 1689).

Cosicchè appieno si legittima l’interpretazione estensiva operata dalla corte distrettuale (cfr. Cass. sez. lav. 3.6.1976, n. 2004, secondo cui l’interpretazione estensiva si limita a ricondurre, sotto la norma interpretata, quei casi che solo apparentemente ne sembrano esclusi, ma che in realtà il legislatore, stando all’obiettiva “ratio” della norma medesima, ha inteso ricomprendervi).

13. Innegabilmente questa Corte reputa – tanto con specifico riferimento al terzo motivo – che, in materia di equa riparazione, la dichiarazione di estinzione del giudizio (contabile) “presupposto” (per mancata riassunzione in esito all’interruzione per decesso della parte o del difensore) non esclude la sussistenza del danno non patrimoniale, in quanto, diversamente, verrebbe attribuita rilevanza ad una circostanza sopravvenuta, quale l’estinzione, sorta successivamente al superamento del limite di durata ragionevole del processo (cfr. Cass. 19.9.2016, n. 18333).

E nondimeno, in dipendenza della legittima operatività della presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, ex lett. c), la s.r.l. ricorrente avrebbe senz’altro dovuto ambire a dimostrare, specificamente, così come ha rimarcato la corte pugliese (cfr. pag. 2), il “patema d’animo” sofferto a causa e per effetto dell’irragionevole protrazione del giudizio “presupposto” sino al deposito del provvedimento di estinzione ex art. 391 c.p.c..

14. Più esattamente – nel quadro dell’insegnamento di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è (tenuto conto dell’orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo) conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione E.D.U., a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche (cfr. Cass. 1.12.2011, n. 25730) – si osserva quanto segue.

15. Per un verso, vanno appieno condivisi i rilievi della corte territoriale secondo cui il pregiudizio non può esser correlato al mero fatto del decorso del tempo, siccome, evidentemente, il “patema d’animo” non è in re ipsa.

Nè in pari tempo può essere recepito il rilievo del ricorrente secondo cui non può pretendersi la prova rigorosa del danno alla propria immagine ed alla credibilità commerciale (cfr. ricorso, pag. 7).

Per altro verso, allorchè il ricorrente adduce – specificamente con il secondo motivo di ricorso – che la corte pugliese ha omesso l’esame della documentazione prodotta, sovviene ovviamente al riguardo, con indubbia valenza concludente, l’insegnamento di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui il preteso cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui la documentazione il cui esame sarebbe stato omesso, non è volta propriamente, così come sarebbe stato necessario, a dar ragione del “patema d’animo” sofferto dalle persone fisiche preposte alla gestione della s.r.l. ricorrente o dai suoi soci, bensì a dar ragione del contegno processuale serbato, “volto ad accelerare i tempi del giudizio” (così ricorso, pag. 5).

Per altro verso ancora, a nulla vale addurre che la corte barese, in diversa composizione, ha accolto la domanda di equa riparazione esperita dalle altre parti del giudizio “presupposto” (cfr. ricorso, pag. 7).

Evidentemente nessuna preclusione nel caso di specie può derivarne (cfr. Cass. 25.10.2013, n. 24165, secondo cui dal principio fissato dall’art. 2909 c.c., secondo il quale le statuizioni contenute in una sentenza passata in giudicato fanno stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, si evince, “a contrario”, che tali statuizioni non estendono i loro effetti, e non sono vincolanti, per i soggetti rimasti estranei al giudizio, anche nel caso in cui il terzo sia un litisconsorte necessario pretermesso).

16. Con specifico riferimento al quarto motivo di ricorso, nel quadro dei rilievi tutti in precedenza enunciati, a nulla vale che il ricorrente prospetti che, in assenza della preclusione – di cui della L. n. 89 del 2001, art. 4 – poi dichiarata incostituzionale, avrebbe potuto azionare antecedentemente la sua pretesa e non incorrere nella presunzione relativa di insussistenza del pregiudizio di cui della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c).

Ben vero, ha rilievo esaustivo la circostanza per cui, allorquando la s.r.l. ricorrente ha esperito la domanda ex lege “Pinto”, la presunzione iuris tantum della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, ex lett. c), di insussistenza del pregiudizio esisteva ed in toto era – ed è – riferibile al caso di specie.

17. Una notazione finale si impone.

In dipendenza del rigetto del ricorso ed in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” si prescinde da qualsivoglia rilievo in ordine alla nullità della notificazione al Ministero della Giustizia del ricorso a questa Corte, siccome eseguita al Ministero presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari (cfr. Cass. sez. lav. 28.5.2014, n. 12002, circa il principio della “ragione più liquida”).

18. Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

19. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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