Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7033 del 28/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/03/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 28/03/2011), n.7033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TOMASELLI ANGELO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.A.;

– intimata –

sul ricorso 8295-2008 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, V. MONTE SANTO

25, presso lo studio dell’avvocato PATERNO’ RADDUSA PIETRO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AIELLO DANIELE, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 63 0/2 007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/12/2007 r.g.n. 262/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al giudice del lavoro di Catania M.M. esponeva di aver lavorato, quale addetto alla distribuzione di carburante, alle dipendenze di L.A., titolare dell’omonima ditta, dal 10 febbraio 1999 al 10 agosto 1999, data nella quale era stato licenziato verbalmente e in tronco. Ciò premesso conveniva in giudizio la L. chiedendo, in via principale, la declaratoria dell’illegittimità del licenziamento con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della convenuta al risarcimento del danno oltre che al pagamento di una somma, specificamente indicata in ricorso, a titolo, fra l’altro, di compenso per lavoro straordinario e festivo e di indennità sostitutiva delle ferie non godute; in via subordinata chiedeva la condanna di una somma comprensiva anche dell’indennità sostitutiva del preavviso e del trattamento di fine rapporto.

Si costituiva in giudizio L.A. la quale, deducendo che il ricorrente era stato assunto in data 30 aprile 1999 con contratto di formazione e lavoro e che il rapporto era cessato in data 15 maggio 1999 per dimissioni dello stesso che si era immotivatamente allontanato dal posto di lavoro, contestava la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto. In via riconvenzionale chiedeva la condanna del M. al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Il giudice adito rigettava entrambe le domande.

La Corte d’appello di Catania, per quanto rileva in questa sede, confermava le statuizioni del giudizio di prime cure.

Osservava, in particolare, che il ricorrente non aveva fornito la prova della natura e della durata del rapporto nei termini dedotti in ricorso essendosi limitato, a fronte della produzione, da parte del datore di lavoro, di documentazione attestante la data di assunzione, quella di cessazione del rapporto e l’effettivo adempimento dell’obbligazione retributiva, a contestare, peraltro genericamente, l’autenticità della fotocopia della busta paga prodotta. Osservava inoltre che la prova testimoniale aveva offerto adeguati riscontri probatori alla tesi della datrice di lavoro relativa all’avvenuta interruzione del rapporto ad iniziativa del lavoratore.

Rigettava inoltre l’appello incidentale, proposto dalla L. ed avente ad oggetto l’indennità di preavviso osservando che era mancata la prova del danno.

Avverso la suddetta decisione propone ricorso il M. affidato a due motivi illustrati da memoria. L.A. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in quanto concernenti la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Col primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 cod. civ. nonchè dell’art. 214 cod. proc. civ.. Deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha basato la decisione su documenti prodotti dalla parte datoriale, attestanti la data di assunzione e di cessazione del rapporto per dimissioni, l’effettivo adempimento delle prestazioni retributive. Allega che la busta paga era stata prodotta in fotocopia e che di tale fotocopia era stata contestata l’autenticità.

La censura è infondata.

Deve premettersi che la Corte territoriale ha fondato la propria decisione, in primo luogo, sul rilievo che era onere del lavoratore, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nei termini indicati nel ricorso introduttivo e che tale onere probatorio non è stato soddisfatto.

Inoltre, ha osservato la Corte, a fronte della produzione datoriale di documenti attestanti la data di assunzione e quella di cessazione del rapporto per dimissioni (quest’ultima circostanza suffragata dall’esito della prova testimoniale acquisita), nonchè l’effettivo adempimento delle prestazioni retributive (mediante produzione di fotocopia della busta paga), il lavoratore si è limitato ad una generica contestazione dell’autenticità della fotocopia della suddetta busta paga.

Ciò premesso deve osservarsi che non sussiste la violazione di legge denunciata, concernente, peraltro, unicamente il valore probatorio attribuito alla fotocopia della busta paga.

Secondo l’insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 14 marzo 2006 n. 5461), in tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto: tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia. Ne consegue che la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all’originale ai sensi dell’art. 215, n. 2, cod. proc. civ., se la parte comparsa contro cui è stata prodotta, non la disconosce in modo formale e specifico nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione.

Nel caso di specie l’autenticità del suddetto documento è stata contestata formalmente soltanto nella quarta udienza di discussione e quindi correttamente la Corte territoriale ha considerato tale fotocopia come riconosciuta avendo ritenuto (sulla base di una valutazione di merito, incensurabile come tale in sede di legittimità) generica, e pertanto inidonea, la contestazione effettuata dal M. nel corso dell’interrogatorio libero reso in sede di prima comparizione. Tale conclusione è conforme al principio, enunciato da Cass. 30 dicembre 2009 n. 28096, secondo cui l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti contestazioni generiche o onnicomprensive.

Col secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e della L. n. 604 del 1966, art. 2. Contesta in particolare l’utilizzazione, a fini probatori, da parte della Corte territoriale, della comunicazione dell’intervenuta cessazione del rapporto in data 19 maggio 1999 inviata all’Ufficio del lavoro di Catania. Sotto altro profilo deduce che l’istruttoria espletata aveva dimostrato che il M. aveva lavorato fino al 10 agosto 1999 e che era stato estromesso senza comunicazione scritta. Doveva pertanto escludersi che il rapporto fosse cessato per dimissioni dovendosi ritenere, al contrario, la sussistenza di un licenziamento inefficace per violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 3 dicembre 2007 ed è pertanto soggetta, ratione temporis, alla disciplina dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione delle censure, concernenti la violazione e falsa applicazione di norme di diritto non si conclude con la formulazione di un quesito di diritto rispettoso della prescrizione dettata dal citato art. 366 bis c.p.c..

Al riguardo, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal Giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in sostanza, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr., ad esempio, Cass., SS.UU. 25 novembre 2008 n. 28054). Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto alla prescrizione imposta dal citato art. 366 bis, atteso che l’illustrazione del motivo di ricorso, che è sostanzialmente riferito alla distribuzione fra le parti dell’onere della prova e alla valutazione delle prove acquisite, si conclude domandando alla Corte di dare atto che l’attuale ricorrente non presentò mai volontarie dimissioni, ma venne estromesso dal posto di lavoro e quindi licenziato senza comunicazione scritta. Risulta evidente la non riconducibilità del quesito, in tali termini formulato, allo schema previsto dalla legge atteso che la sua formulazione non indica in modo chiaro l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale L.A. denuncia violazione dell’art. 2118 cod. civ. e L. n. 604 del 1966, art. 2, nonchè vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento della domanda concernente la condanna del lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Deduce l’erroneità della statuizione secondo cui l’indennità suddetta non doveva ritenersi spettante in mancanza di prova del danno subito dal lavoratore.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata, pur avendo ritenuto provata la cessazione del rapporto per dimissioni, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dalla L.A. avente ad oggetto l’indennità sostitutiva del preavviso in quanto non era stato provato il danno derivante dal mancato preavviso delle dimissioni, danno la cui sussistenza era stata allegata a sostegno della suddetta domanda.

Tale soluzione deve considerarsi erronea in quanto contraria al costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr, ad esempio, Cass. 14 giugno 2006 n. 13732, in motivazione), secondo cui nella disciplina del recesso unilaterale dal rapporto di lavoro subordinato, posta dall’art. 2118 cod. civ., il preavviso ha la funzione economica, giuridicamente disciplinata, di attenuare le conseguenze dell’improvvisa interruzione del rapporto per chi subisce il recesso. Alla stessa funzione va ricondotta l’indennità sostitutiva prevista dalla stessa norma per il caso di violazione dell’obbligo di preavviso. Essa spetta pertanto a prescindere dalla prova della sussistenza di un danno.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice, indicato in dispositivo, il quale provvedere sulla domanda di indennità di preavviso applicando i principi sopra enunciati.

In relazione all’esito del giudizio di cassazione e tenuto conto della peculiarità della fattispecie esaminata si ritiene conforme a giustizia compensare fra le parti le relative spese processuali.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’appello di Messina. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2011

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