Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7031 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 24/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 24/03/2010), n.7031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 35 OPPURE 25, presso lo studio dell’avvocato GENOVESI

FEDERICO, rappresentato e difeso dagli avvocati APUZZO PAOLO, CARILE

CARLO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a margine del

ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3630/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2005 R.G.N. 2651/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI NUBILA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con lettera in data 13.9.2000, Poste Italiane spa contestava al dipendente D.M.A. di avere giustificato due assenze per malattia inviando la “copia per l’INPS” di due certificati (contrassegnati per numero) già utilizzati a copertura di precedenti assenze. Acquisite le giustificazioni, il datore di lavoro procedeva al licenziamento per giusta causa, licenziamento il quale veniva impugnato dal lavoratore sotto il profilo della sproporzione tra infrazione e provvedimento, anche perchè l’invio dei suddetti certificati era avvenuto per errore.

2. Il Tribunale di Roma, adito dal D.M., respingeva la domanda attrice. Proponeva appello il lavoratore e la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado. Questa in sintesi la motivazione della sentenza di appello: non è stata ascritta al lavoratore la falsificazione dei certificati di cui trattasi, bensì il loro utilizzo; l’utilizzazione di certificati falsificati costituisce giusta causa di licenziamento, come ritenuto dalla giurisprudenza; non è sostenibile la tesi dell’errore dovuto a “confusione mentale”.

3. Ha proposto ricorso per Cassazione D.M.A., deducendo due motivi. Resiste con controricorso la spa Poste Italiane.

Il ricorrente ha presentato memoria integrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2697 c.c., art. 132 c.p.c., art. 111 Cost., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo della controversia, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: la sentenza non indica le norme di legge ed i principi di diritto applicati, non indica i fatti di causa e non esamina criticamente le prove disponibili: la decisione è basata sull’accoglimento di un’eccezione di Poste Italiane sfornita di prova. Non risulta che il ricorrente abbia falsificato la documentazione; la sanzione viola l’art. 34 del CCNL. 5. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 24 Cost., nonchè vizio di motivazione con la lettera di contestazione la società invitava il lavoratore a giustificare sette giorni di assenza, posto che la certificazione prodotta ineriva ad assenze precedenti. Questa sola era la contestazione (vale a dire sette giorni di assenza ingiustificata) mentre il licenziamento è motivato con la falsità dei documenti. Il diritto di difesa del lavoratore è stato violato, posto il principio di immutabilità della contestazione.

6. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Essi risultano infondati.

Poste Italiane non risulta avere contestato altro che l’utilizzo di copie falsificate dei certificati medici; nessun addebito è stato mosso al D.M. in quanto presunto autore delle contraffazioni.

La contestazione, come si ricava dalla sentenza impugnata, inerisce all’uso di certificati falsi per la giustificazione di assenze per (presunta) malattia, e non solo all’assenza dal lavoro in sè considerata.

Nessuna violazione del principio di corrispondenza tra contestazione e provvedimento disciplinare è quindi ravvisabile. Quanto alla proporzionalità ed adeguatezza della sanzione, sarà sufficiente richiamare la giurisprudenza costante di questa Corte per cui la valutazione circa la ricorrenza della giusta causa di licenziamento e la gravità della condotta ascritta al lavoratore costituisce apprezzamento di fatto, non suscettibile di riesame in sede di ricorso per Cassazione e censurabile unicamente sotto il profilo della carenza di motivazione: il che non ricorre nella specie, giacchè la Corte di Appello ha supportato la propria sentenza con motivazione adeguata, immune da vizi logici o da contraddizioni, talchè essa si sottrae ad ogni possibilità di riesame e di censura in sede di legittimità. Si vedano “ex multis” Cass. n. 4369 del 23/02/2009: “La valutazione della gravità delle infrazioni e della loro idoneità ad integrare una giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, a meno che i giudizi formulati si pongano in contrasto con i principi dell’ordinamento espressi dalla giurisdizione di legittimità e con quegli “standard” valutativi esistenti nella realtà sociale (riassumibili nella nozione di civiltà del lavoro, riguardo alla disciplina del lavoro subordinato) che concorrono con detti principi a comporre il diritto vivente. Ed ancora Cass. 144 del 08/01/2008:

“in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, la sanzione disciplinare deve essere proporzionale alla gravità dei fatti contestati sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da parte del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità.

7. Il ricorso deve, per i suesposti motivi, essere rigettato. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna D.M.A. a rifondere a Poste Italiane spa le spese del grado, che liquida in Euro 12,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, spese generali, Iva e Cpa nelle misure di legge.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

 

 

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