Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7028 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 12/03/2021), n.7028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35025/2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

C.M., FIDEURAM INTESA SAN PAOLO PRIVATE BANKING

S.P.A., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 17, presso

lo studio dell’avvocato RENZO RISTUCCIA, che li rappresenta e

difende giusta procura in calce al controricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1331/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 01/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/01/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie dei controricorrenti.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

C.M. e Fideuram – Intesa Sanpaolo Private Banking S.p.A. (d’ora in poi Fideuram) proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 7280 del 7 febbraio 2017, emessa dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Modena per la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9, perchè il primo quale amministratore delegato della società, aveva conferito a M.M., docente scolastico presso il Liceo Scientifico (OMISSIS), l’incarico di agente finanziario per gli anni dal 2012 al 2015, in assenza della preventiva autorizzazione da parte del dirigenti scolastico, essendo quindi tenuta anche la società, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, al pagamento della sanzione determinata in misura pari a complessivi Euro 2.404.640,34, e cioè al doppio degli emolumenti corrisposti al M. durante gli anni in questione.

Il Tribunale di Modena con la sentenza n. 2051 del 17 novembre 2017, disattesa l’eccezione di tardività della contestazione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, posto che la notifica dell’ordinanza era avvenuta in data 13/7/2016, avendo la Guardia di Finanza terminato l’acquisizione del materiale probatorio solo in data 21/6/2016, accoglieva l’opposizione.

A tal fine, ritenuto che nella fattispecie trovava applicazione, in ragione del rapporto di servizio del M., la disciplina di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 508, sicchè si imponeva il rilascio di una autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extra lavorativo, una volta esclusa, per la natura privata del soggetto conferente, la possibilità di invocare la formazione del silenzio assenso, la sentenza rammentava che ai sensi del citato art. 508, comma 15, l’autorizzazione allo svolgimento di libere professioni deve verificare l’assenza di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione di docente e che siano incompatibili con l’orario di insegnamento e di servizio.

Quanto alla durata di tale autorizzazione, la decisione di prime cure, rilevava che la stessa è correlata alla mancata modifica degli impegni orari (istituzionali ed extra), sicchè la rinnovazione si impone solo quando si modifichi il quadro di fatto già vagliato in occasione della precedente autorizzazione. Nella specie il prof. M. aveva ottenuto un’autorizzazione dal proprio dirigente scolastico per l’esercizio dell’attività di promotore finanziario alcuni anni prima (e ciò sin dal 1992), sicchè, non essendo mutate nè la situazione di fatto in cui il docente aveva continuato a svolgere l’attività extra lavorativa nè le modalità con le quali aveva prestato l’attività di insegnante, la preesistente autorizzazione doveva intendersi idonea a reggere anche le attività prestate durante gli anni oggetto dell’ordinanza opposta.

La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 1331 del 1/6/2018, ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, compensando le spese di lite.

Ad avviso dei giudici di seconde cure era però necessario adottare una diversa motivazione.

Non era, infatti, corretta la conclusione secondo cui l’autorizzazione del dirigente scolastico rilasciata nel 1992 potesse valere anche per gli anni successivi, e precisamente per l’attività prestata dal 2012 al 2015, in quanto gli elementi da prendere in esame ai sensi di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 508, comma 15, necessitano di una rivalutazione annuale circa la permanenza della compatibilità tra l’incarico esterno e l’attività di insegnamento, il che denotava l’infondatezza del motivo di appello incidentale degli opponenti, con il quale si evidenziava che l’assenza dal servizio del M., per essere stato posto in aspettativa, costituiva una circostanza già sottoposta al vaglio del dirigente.

In conclusione, doveva reputarsi che la prima autorizzazione risalente agli anni ‘90, ed altresì qualificata espressamente come provvisoria e sottoposta a rinnovo annuale, ostava a legittimare lo svolgimento dell’attività oggetto della contestazione, ed impediva altresì di poter ravvisare la buona fede degli opponenti.

Tuttavia, la stessa ordinanza aveva sanzionato il C. quale responsabile della violazione, individuando Fideuram quale obbligata in solido ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6.

Ma dalla stessa contestazione emergeva che il M. aveva concluso un contratto di agenzia con la società, con la conseguenza che alcuna responsabilità poteva essere ascritta al C., essendo la sanzione indirizzata al soggetto privato che si avvalga delle prestazioni di lavoro rese da un dipendente pubblico in assenza di autorizzazione.

Dall’esclusione di responsabilità del C., scaturiva anche l’assenza di responsabilità di Fideuram, che è invece il soggetto che avrebbe direttamente posto in essere la condotta illecita, senza che però la stessa sia stata sanzionata a tale titolo.

Ciò implica anche l’illegittimità dell’ordinanza emessa nei suoi confronti.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi.

C.M. e la Fideuram resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato a tre motivi, il tutto illustrato da memorie.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, in combinato disposto con il D.L. n. 79 del 1997, art. 6.

Si rileva che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere il C. estraneo alla vicenda, in quanto il rapporto di lavoro del M. sarebbe stato intrattenuto direttamente con Fideuram, non avvedendosi i giudici di merito che la persona fisica è stata individuata come responsabile in quanto amministratore delegato della società, la quale è invece chiamata a rispondere della sanzione pecuniaria, solo per effetto del regime di solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6 e ciò sul presupposto che l’illecito sia ascrivibile al suo rappresentante o ad un suo dipendente.

La responsabilità per l’illecito amministrativo resta sempre personale ed è riferibile alla persona fisica che ha commesso il fatto.

Il secondo motivo del ricorso principale deduce la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6, sempre nella parte in cui ha ritenuto di escludere la responsabilità personale del C., nonostante il ruolo ricoperto all’interno della società committente, trascurando tuttavia di considerare il peculiare rapporto di solidarietà delineato dall’art. 6 in esame.

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono fondati.

La sentenza impugnata è pervenuta all’accoglimento dell’opposizione, reputando che il rapporto professionale fosse intercorso direttamente tra la società ed il M., e che pertanto l’autore dell’illecito non poteva essere il C., sebbene lo stesso rivestisse la qualità di legale rappresentante della società, in quanto amministratore delegato.

La sentenza d’appello, senza indagare il personale coinvolgimento della persona fisica indicata come legale rappresentante e se alla stessa fosse effettivamente imputabile la funzione di verificare anche, nell’ambito della complessa organizzazione aziendale, la presenza per i pubblici dipendenti chiamati a collaborare delle prescritte autorizzazioni, a monte ha ritenuto preclusa la configurabilità di una sua responsabilità, in quanto il contratto sarebbe stato formalmente concluso tra il M. e la società.

Trattasi però di conclusione che contrasta in maniera evidente con la costante giurisprudenza di questa Corte.

Anche di recente, è stato affermato che (Cass. n. 30766/2018) in tema di sanzioni amministrative, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 3, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, sicchè, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone, non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (conf. Cass. n. 26238/2011; per la deroga a tale principio possibile solo in presenza di un’esplicita e contraria volontà del legislatore, si veda Cass. n. 18292/2020, a mente della quale in tema di protezione dei dati personali, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 28, il titolare del trattamento è la persona giuridica e non il suo legale rappresentante o l’amministratore, venendo in rilievo un’autonoma responsabilità in deroga al principio dell’imputabilità personale della sanzione di cui alla L. n. 689 del 1981, in quanto tale responsabilità è fondata sul concetto di “colpa di organizzazione”, da intendersi, in senso normativo, come rimprovero derivante dall’inosservanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione degli illeciti).

Diversamente da quanto opinato dal giudice di appello, poichè il sistema introdotto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, è fondato sulla natura personale della responsabilità, autore dell’illecito amministrativo può essere soltanto la persona fisica che ha commesso il fatto, e non anche un’entità astratta, come società o enti in genere, la cui responsabilità solidale per gl’illeciti commessi dai loro legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, rispondendo anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d’imputazione di tale responsabilità è chiaramente individuato della L. n. 689 cit., art. 6, il quale, richiede che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, e stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell’interesse dell’ente (così Cass. n. 3879/2012).

In linea di continuità con quanto già a suo tempo affermato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 890/2004 (secondo cui, in tema di irrogazione di sanzioni pecuniarie per illeciti amministrativi, l’identificazione del trasgressore non è un requisito di legittimità dell’ordinanza – ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, ancorchè necessaria ai fini dell’esperimento dell’azione di regresso della L. n. 689 del 1981, ex art. 6, ovvero ai fini della prova della violazione nel giudizio di opposizione o della valutazione della motivazione del provvedimento sanzionatorio o, infine, della contestazione dei presupposti della solidarietà, in relazione ai rapporti fra il trasgressore ed il coobbligato), le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 22082/2017, hanno ribadito che la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, non si limita ad assolvere una funzione di garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, sicchè l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale e, pertanto, non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della detta L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., si estingua per mancata tempestiva notificazione.

Costituisce quindi principio consolidato quello secondo cui (Cass. n. 11643/2010) l’identificazione e l’indicazione dell’autore materiale della violazione non costituiscono requisito di legittimità dell’ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, in quanto la “ratio” della responsabilità di questi non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza dell’autore della trasgressione, bensì quella di evitare che l’illecito resti impunito quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile il soggetto obbligato solidalmente a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1 (conf. ex multis Cass. n. 4688/2009; Cass. n. 24573/2006; Cass. n. 1114/1997).

La sentenza impugnata non risulta essersi conformata a tali principi, avendo travisato la regola immanente al sistema sanzionatorio degli illeciti amministrativi, della necessità della responsabilità della persona fisica che abbia agito per la persona giuridica, ritenendo, in contrasto con la stessa, che la responsabilità dovesse essere ascritta alla società, e travisando altresì il senso della previsione in tema di solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6, non considerando il ruolo di garanzia che peculiarmente (e quindi non per far fronte al rischio di insolvenza del responsabile persona fisica) il legislatore ha inteso tratteggiare.

La sentenza deve quindi essere cassata in relazione ai motivi in esame.

2. L’ordine logico delle questioni impone poi la preventiva disamina dei motivi di ricorso incidentale, ed in primo luogo del secondo motivo del ricorso de quo, che denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 508 comma 15. Si richiama la specialità di tale norma rispetto a quella generale in tema di autorizzazione ad incarichi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53.

A tal fine la giurisprudenza amministrativa ha chiarito la necessità che l’autorizzazione sia frutto di una valutazione in concreto da parte del dirigente scolastico che è chiamato a valutare la compatibilità tra la docenza e l’incarico extrascolastico.

Nella specie la dirigente del Liceo ove prestava la sua attività il prof. M. nel settembre del 2015 ha rilasciato una dichiarazione nella quale ribadiva come sino a quella data il M. aveva richiesto l’autorizzazione a svolgere le mansioni di promotore finanziario per Fideuram e che aveva sempre svolto l’attività di docenza con professionalità e correttezza.

Inoltre, occorre considerare che negli anni scolastici dal 20122013 al 2014-2015 il M. aveva avuto legittime ragioni per non svolgere la propria attività didattica.

Il motivo è infondato.

Rileva il Collegio che, come accertato in fatto dal giudice di appello, il provvedimento di autorizzazione versato in atti, ed invocato in sede di merito dalla difesa degli opponenti (relativo all’anno 1994), aveva espressamente carattere provvisorio ed era sottoposto a rinnovo annuale, sicchè proprio in ragione del tenore dell’art. 508 (che non consente la formazione del silenzio assenso a fronte di richiesta di autorizzazione di incarichi provenienti da soggetti privati), era necessario fornire la prova della autorizzazione espressamente riferita agli anni oggetto di contestazione, non potendo supplire a tale assenza la dichiarazione di contenuto assolutamente generico richiamata in controricorso a pag. 14.

Nè la stessa può in ogni caso sopperire alla assenza originaria dell’autorizzazione, avendo questa Corte di recente affermato che la violazione dell’obbligo di munirsi della previa autorizzazione non può essere sanata da un’autorizzazione successiva (ora per allora), stante la specificità del rapporto di pubblico impiego, e la necessità di verificare “ex ante” la compatibilità tra l’incarico esterno e le funzioni istituzionali, e tenuto conto altresì della circostanza che il potere sanzionatorio è attribuito all’Agenzia delle Entrate e non all’amministrazione di provenienza del dipendente (Cass. n. 18206/2020; Cass. n. 11811/2020).

D’altronde, proprio l’esigenza di assicurare da parte del dirigente scolastico una verifica circa la compatibilità tra le mansioni affidate dall’amministrazione scolastica (e mutevoli evidentemente in ragione non solo della sede di svolgimento della prestazione didattica, ma anche della concreta distribuzione delle ore di insegnamento, dell’eventuale coinvolgimento in attività extra didattiche) non consente di accedere alla tesi propugnata dai ricorrenti incidentali secondo cui l’autorizzazione abbia tendenzialmente carattere permanente, e ciò anche voler soprassedere sulla espressa qualificazione dell’autorizzazione versata in atti come provvisoria e necessitante di rinnovo annuale.

Anzi, proprio la circostanza addotta in controricorso, secondo cui il M. non avrebbe svoto attività di insegnamento durante gli anni di cui alla contestazione, per diverse esigenze personali, avrebbe potuto incidere sulla valutazione del dirigente scolastico di autorizzare l’esercizio dell’attività di promotore finanziario, onde riscontrare la compatibilità della stessa con quelle didattiche, interessate da una richiesta di esonero da parte del docente.

Conforta tale conclusione anche il principio di recente affermato da questa Corte secondo cui (Cass. n. 6637/2020) in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’autorizzazione allo svolgimento di attività extra lavorativa retribuita è necessaria anche ove il dipendente si trovi in regime di aspettativa, in quanto, da un lato, la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto di lavoro, e, dall’altro, la predetta aspettativa non fa cessare il rapporto stesso, sicchè la persistente appartenenza del dipendente medesimo ad una pubblica amministrazione non fa venir meno i rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di entrature che la citata previsione è preposta a prevenire.

Infine, non potrebbe essere invocata quale esimente la preesistenza dell’autorizzazione per un anno diverso, essendosi sempre di recente affermato che (Cass. n. 4701/2019) in tema di conferimento di incarichi retribuiti al pubblico dipendente da parte di soggetti pubblici e privati, il pregresso svolgimento, ad opera del medesimo dipendente, di incarichi similari e la comunicazione degli emolumenti percepiti negli anni pregressi al datore di lavoro non sono idonei a fondare il ragionevole affidamento che la necessaria autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza sia stata concessa, sicchè essa va, comunque, nuovamente richiesta.

Il motivo deve quindi essere rigettato.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia il vizio di omessa pronuncia sull’appello incidentale in punto di tardività della contestazione della L. n. 689 del 1981, ex art. 14.

Si deduce che il motivo di opposizione era stato rigettato esplicitamente dal Tribunale ed aveva costituito motivo di appello incidentale.

La Corte d’Appello ha però confermato l’accoglimento dell’opposizione sulla base di una diversa motivazione, senza quindi fornire risposta al motivo di appello incidentale.

Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la contrarietà del combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9 e del D.L. n. 79 del 1997, art. 6, comma 1, conv. nella L. n. 140 del 1997, al principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione (artt. 3 e 27), dalla CEDU (art. 1 del primo protocollo addizionale, rilevante ex art. 117 Cost.) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 49).

Si assume che l’avere commisurato la sanzione al doppio degli emolumenti percepiti dal pubblico dipendente che abbia svolto un’attività in assenza di preventiva autorizzazione rende evidente l’afflittività della sanzione stessa, in base ai cd. Criteri Engel della Corte EDU.

Entrambi i motivi sono inammissibili.

La giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 22095/2017; Cass. n. 11270/2020) in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale sebbene condizionato allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (conf. ex multis Cass. n. 4130/2014; Cass. n. 4472/2016; Cass. n. 134/2017; Cass. n. 574/2016).

La sentenza impugnata nella sostanza ha ritenuto assorbito il motivo di appello incidentale di cui i controricorrenti lamentano il mancato esame, avendo confermato l’accoglimento dell’opposizione sulla base di una diversa ragione, mentre, proprio in conseguenza del rigetto dell’appello, ha omesso di decidere sulla legittimità della sanzione, trattandosi quindi di una statuizione che non è presente nella sentenza gravata.

4. Atteso l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, risulta poi assorbito il terzo motivo del ricorso principale con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, nella parte in cui la Corte d’Appello, nel rigettare l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, ha previsto l’obbligo dell’appellante principale del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, trascurando la natura pubblica della parte, peraltro beneficiaria della prenotazione a debito del contributo unificato.

5. Il giudice del rinvio che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Bologna, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

6. Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Accoglie i primi due motivi del ricorso principale, dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e nei limiti di cui in motivazione, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad una diversa Sezione della Corte d’Appello di Bologna;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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