Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7025 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/03/2011, (ud. 25/02/2011, dep. 25/03/2011), n.7025

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28850/2007 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA T.

MONTICELLI 12, presso lo studio dell’avvocato PILEGGI Antonio, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

STUDIO ASSOCIATO FORLAI – PASSEGGERI, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO MIRABELLO 25, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANELLI

Gianfranco, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2926/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/11/2006 R.G.N. 209/00;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PILEGGI ANTONIO;

Udito l’Avvocato SEBASTIANELLI GIANFRANCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda avanzata da F.L. nei confronti dello Studio Associato Forlai-Passeggeri e della società DR F., poi dichiarata fallita in corso di giudizio e nei cui confronti il processo veniva dichiarato interrotto, con la quale, sulla premessa di essere stata formalmente assunta dalla società, ma di aver lavorato contemporaneamente anche in favore di entrambi i soggetti convenuti che svolgevano la stessa attività con lo stesso personale e la stessa attrezzatura e gestione, chiedeva, accertata l’unitarietà del rapporto di lavoro e l’illegittimità del licenziamento intimatole dalla società, la condanna di quest’ultima e dello Studio al pagamento in solido delle differenze retributive.

La Corte territoriale poneva a base del decisum il rilievo fondante che le prove testimoniali e documentali deponevano per la imputazione del rapporto di lavoro esclusivamente in capo alla società.

Avverso questa sentenza F.L. ricorre in cassazione sulla base di un’unica censura, illustrata da memoria.

Resiste con controricorso lo Studio associato Forlai-Passeggeri.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente deduce motivazione contraddittoria,insufficiente ed illogica. Allega che la Corte del merito ha erroneamente valutato le risultanze istruttorie – in particolare quelle testimoniali – che smentiscono radicalmente l’assunto secondo cui non sarebbe provato lo svolgimento indifferenziato da parte della ricorrente di mansioni di segretaria non solo per la società, ma anche per lo Studio.

Preliminarmente va respinta l’eccezione, sollevata da parte resistente, di violazione dell’art. 366 bis c.p.c., per mancata indicazione del fatto controverso.

Invero, come desumesi dal su riportato motivo del ricorso la ricorrente ha avuto cura di specificare il fatto controverso puntualmente procedendo ad una sintesi delle ragioni in base alle quali ha dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Passando al merito della censura rileva il Collegio che la stessa è infondata. Va premesso che per costante giurisprudenza il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti, in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – il giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis da ultimo: Cass. 6 marzo 2008 n. 6064). Inoltre, nella stessa ottica, i giudici di legittimità hanno, altresì, precisato che nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato come vizio di motivazione della sentenza una insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dal giudice di merito, di un fatto principale della controversia, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una possibilità o anche una probabilità di una spiegazione logica alternativa, essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l’unica possibile (cfr. in tali sensi: Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 20499).

Sulla base di tali principi non può trovare ingresso in questa sede la censura in esame che, a fronte di una valutazione delle risultanze istruttorie sorretta da congrua motivazione, la quale da conto del percorso logico seguito dai giudici di appello per addivenire alla conclusione che le prestazioni lavorative della F. sono state svolte in esclusivo favore della società, mirano sostanzialmente a contestare la concludenza delle emergenze valutate. Le critiche, quindi, si risolvono, nella prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle prove che in quanto tali non sono ammissibili in sede di legittimità.

Del resto, e vale la pena di rilevarlo, dalle dichiarazioni dei testi, almeno per la parte riportata nel ricorso, in adempimento del principio di autosufficienza, si evince solo la possibilità di una ricostruzione del fatto diversa da quella ritenuta dal giudice del merito, ma non che tale ricostruzione sia l’unica possibile.

Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 20,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorario oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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