Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7025 del 21/03/2018

Cassazione civile, sez. trib., 21/03/2018, (ud. 17/01/2018, dep.21/03/2018),  n. 7025

Fatto

1. L’Agenzia delle Entrate Ufficio di Sciacca emetteva avviso di accertamento nei confronti della società ILSO (Industria Lavorazione Sostanze Oleaginose) srl per le somme di Euro 43.983,54 per imposta Ires ed di Euro 5.051,98 per imposta Irap, oltre alle sanzioni. Nell’avviso si teneva conto dei rilievi e delle risultanze emergenti dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza dal quale risultava che la società aveva omesso di contabilizzare e di dichiarare maggiori ricavi per Lire 230.174.250 (Euro 118.875,08). In particolare, dal processo verbale emergeva che la presunzione della resa della sansa per il periodo dall’1-7-1998 al 7-4-1999 (data di accesso della Guardia di Finanza) del 7%, calcolata con la media della percentuale di resa dei due esercizi precedenti (7,33% nel 1997 + 6,66% nel 1998 = 13,99%: 2= 7%), che il prezzo medio di vendita era di Lire 1.246 al Kg, che infatti dalle fatture relative al periodo di esercizio in contestazione emergevano ricavi per Lire 1.538.844,00, per Kg. 1.253.380 di olio di sansa (come da fatture), che, quindi, dividendo i ricavi per i chilogrammi di olio di sansa complessivamente venduti, si otteneva la somma al Kg di Lire 1.246,00, che era stata, quindi, acquistata sansa vergine nel periodo per quintali 207.798,50, che la giacenza iniziale di olio dichiarata dalla parte era di Kg. 1.015.000, cui doveva essere aggiunto l’olio prodotto nell’anno (7 % su quintali 207.798,50), quindi Kg. 2.469.500,00, per un totale di olio complessivo destinato alla vendita di Kg. 2.469.500,00, che la giacenza al momento dell’intervento era di Kg 1.049.800, che, quindi, il quantitativo di olio venduto era di Kg. 1.419.790, che con il prezzo medio di vendita al Kg. pari a Lire 1.246,00 la somma complessiva dei ricavi era di Lire 1.769.058.340, superiore a quella fatturata di Lire 1.538.844.000 (con maggiori ricavi accertati dunque di Lire 230.174.250,00).

2. La società contribuente presentava ricorso dinanzi alla Commissione Provinciale di Agrigento, che lo accoglieva evidenziando l’illegittimità del metodo misto utilizzato dall’Ufficio, fondato in parte sulle risultanze contabili ed in parte su presunzioni, che i maggiori ricavi erano stati ottenuti ponendo a base del calcolo dati assolutamente aleatori come la media della percentuale di resa degli ultimi due anni, la stima delle giacenze di magazzino ed il prezzo medio di vendita.

3. Avverso tale decisione proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale l’Agenzia delle Entrate.

4. La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva il gravame, rilevando che dal processo verbale di constatazione risultava che la Guardia di Finanza aveva determinato la giacenza di prodotto, alla data dell’accesso, in contraddittorio con la parte, accettando la misura determinata dalla parte stessa, che la percentuale di resa era stata ottenuto facendo la media dei due esercizi precedenti, che il prezzo medio di vendita era stato determinato dividendo i ricavi complessivi conseguiti dalla società per la quantità di olio venduta, ottenendo un prezzo di Lire 1.246,00 al Kg., che il reddito della impresa, in deroga al criterio dell’accertamento analitico poteva essere determinato in via induttiva ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, purchè con presunzioni gravi, precise e concordanti, che “la Guardia di Finanza ha ricostruito il volume dei ricavi sulla base delle giacenze determinate dalla parte, applicando una percentuale di resa ed un prezzo medio di vendita calcolati in base ai valori dichiarati dal contribuente”.

5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società ILSO srl.

6. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso per Cassazione la Ilso srl deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per omessa, carente, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare, il riferimento fatto in motivazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, non costituisce motivazione “giustificatrice del ricorso a tale metodo” da parte dell’Agenzia delle Entrate. La contabilità della società non giustificava il ricorso al metodo induttivo, in quanto gli organi accertatori hanno verificato le fatture emesse, con Kg. 1.253.380, hanno individuato le giacenze finali, non hanno mosso alcuna contestazione sul dato contabile delle fatture, nessun rilievo v’è stato in ordine alla regolare tenuta e veridicità delle scritture contabili. Non vi erano i presupposti per l’accertamento induttivo “misto”, ma solo un “innominato ed immotivato calcolo di media aritmetica – semplice (effettuato sulle due annualità precedenti dalla G. di F. e che produce solo una mera ipotesi) sulla pretesa resa in olio della sansa lavorata per giustificare il disconoscimento dei dati contabili, altrimenti inappuntabili”. La percentuale di resa era un fatto ignoto.

1.1. Tale motivo è infondato.

Anzitutto, si rileva che è ammissibile il motivo di ricorso per Cassazione che contiene la deduzione della violazione di due distinti motivi, qualora sia possibile all’interno del motivo individuare le argomentazioni e le censure relative a ciascuno di essi.

In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Civ., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100).

Quanto al merito, la motivazione della Commissione Tributaria Regionale è congrua completa e coerente, in quanto in essa si dà atto della ragione per cui si è proceduto ad accertamento analitico “misto”, in quanto, da un lato, sono state tenute in considerazioni le scritture contabili della società, ed in particolari i ricavi dalla stessa dichiarati e riportati nelle fatture, con l’indicazione dei chilogrammi di olio di sansa venduti, e dall’altra, si è proceduto con accertamento per presunzioni, in ordine alla quantità di olio di sansa ricavabile dalla lavorazione, tenendo presenti le percentuali dei due anni precedenti e facendo la media (7,33% nel 1997 e 6,33% nel 1998).

L’accertamento “misto” è stato possibile, quindi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, avendo proceduto la Guardia di Finanza ad un accesso presso la sede della società, e di questo si è dato atto in motivazione (“In particolare l’accertamento analitico induttivo è regolato dall’art. 39, comma 1, lett. d) che prevede che, qualora l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione o nei suoi allegati, risulti dalle ispezioni o verifiche compiute nei confronti del contribuente, e da dati e notizie raccolte dall’ufficio mediante l’esercizio dei suoi poteri ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 è prevista la possibilità per l’amministrazione di desumere l’esistenza di attività non dichiarate sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti”).

In particolare, la Commissione Regionale ha evidenziato che “nel caso di specie la Guardia di Finanza ha ricostruito il volume dei ricavi sulla base delle giacenze determinate dalla parte, applicando una percentuale di resa ed un prezzo medio di vendita calcolato in base ai valori dichiarati dal contribuente”. Pertanto, la motivazione spiega appieno il suo iter argomentativo, evidenziando che le giacenze di prodotto sono state indicate dalla contribuente, che la percentuale di resa della sansa è stata anch’essa individuata dalla società nei due anni precedenti ed il prezzo medio di vendita risulta proprio dalle fatture emesse dalla società.

Del resto, l’art. 39, comma 1, lett. d, dispone che “l’ufficio provvede alla rettifica….se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”. Nella specie, vi è stato proprio un accesso della Guardia di Finanza, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33,presso la sede della società, con individuazione della giacenze di magazzino in contraddittorio con la contribuente, che ha presentato un proprio calcolo, accettato dagli organi accertatori.

Il metodo di accertamento “misto”,a differenza del metodo induttivo puro, ha ad oggetto la ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi e passivi, non del reddito nella sua totalità. Pertanto, nel metodo “misto” la determinazione del reddito è effettuata sulla base delle risultanze del bilancio, discostandosi dalle stesse, ma senza contestarne l’attendibilità complessiva e solo per individuare talune voci che il contribuente ha erroneamente indicato.

Deve osservarsi, allora, che nel metodo misto ovvero analitico induttivo, come sostenuto dalla dottrina, la determinazione del reddito è effettuata nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, di cui risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza.

2. Con il secondo motivo la contribuente deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1073, art. 39, comma 1, lett. d, in relazione all’art. 2729 c.c. e dell’art. 360,comma 1, n. 5 per omessa, carente,insufficiente, contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare, non si è in presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, stante la disomogeneità del prodotto (sansa) su cui è stata applicata la percentuale di resa (di olio). La media aritmetica semplice tra due diverse annate è inattendibile, appunto, per la disomogeneità del prodotto. Lo scostamento di valore tra le due annate è del tutto naturale, in quanto la diversità di resa varia in ragione del luogo di produzione delle olive, del grado di umidità, della tipologia e modalità di estrazione dell’olio.

3. Con il terzo motivo la contribuente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa, carente, insufficiente, contraddittoria motivazione e mancato scrutinio del fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Commissione Regionale dopo aver riconosciuto che il calcolo delle rese è stato effettuato dalla Guardia di Finanza, conclude sostenendo che la resa sarebbe stata calcolata sui valori dichiarati dalla contribuente, ma ciò non risponde al vero.

4. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

5. Invero, la motivazione della Commissione Tributaria Regionale è congrua, chiara e completa sul punto, in quanto sia la percentuale di resa che il prezzo medio delle vendite sono stati individuati sulla scorta dei valori dichiarati dalla contribuente.

Infatti, la contribuente ha indicato la resa della sansa relativa ai due anni precedenti, mentre la Guardia di Finanza si è limitata ad operare la media tra le due annualità (7,33% e 6,66%). Così come la contribuente ha indicato le giacenze ed i ricavi complessivi dell’anno in relazione alla quantità complessiva di olio di sansa venduto.

Peraltro, gli indizi non devono essere plurimi, potendo il convincimento del giudice basarsi anche su un solo elemento, purchè grave e preciso, dovendosi ritenersi menzionato il requisito della “concordanza” solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass. Civ., 6 agosto 2009, n. 18021).

Inoltre tra il fatto noto e quello ignoto non occorre che sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, alla stregua di canoni di probabilità. Appare corretto il criterio della media aritmetica semplice, in quanto si applica la media ponderata solo se vi sono prodotti diversi rispetto ad altri, mentre nel caso che ci riguarda il prodotto è unico ed omogeneo.

La resa percentuale della sansa rispetto alla produzione di olio è stata oggetto di contraddittorio tra le parti, ed il contribuente ha indicato la resa dei due anni precedenti, per i quali è stata calcolata la media di resa.

Per la Suprema Corte, infatti, è legittimo l’accertamento in rettifica dell’imponibile ai fini IVA, effettuato ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, con riferimento al dato – resa medio fra materia prima e prodotti, che risulti determinato in contraddittorio con l’interessato che, nonostante la espressa riserva inserita nel verbale, si sia astenuto dal fornire ulteriori dati o delucidazioni (Cass. Civ., 23 gennaio 1991, n. 604, in una ipotesi di resa media fra materia prima – tronchi di legno – e prodotti finali compensato; anche Cass. Civ., 30 ottobre 2000, n. 14292).

Una volta che l’amministrazione ha fornito presunzione gravi, precise e concordanti, spettava alla contribuente fornire la prova contraria che in quell’anno la resa della sansa era stata minore di quella accertata dalla Guardia di Finanza.

6. La soccombenza impone il pagamento delle spese del giudizio di legittimità alla ricorrente, con liquidazione delle stesse come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la Ilso srl a rimborsare alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 3.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2018

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