Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7024 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. II, 12/03/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 12/03/2021), n.7024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe (da remoto) – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26148/2019 proposto da:

E.O.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato

ANTONIO GREGORACE, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio

in ROMA, VIA della GIULIANA 32;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 4979/2019 del TRIBUNALE di TORINO emesso il

31/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

E.O.A. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, di quella umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere nato a (OMISSIS); di essere figlio unico, orfano di entrambi i genitori fin da piccolo; di essere cresciuto con la nonna materna; di essere di religione cristiana come la madre, mentre il padre era musulmano; che, dall’età di 5 anni, i parenti del padre volevano che diventasse musulmano, ma che lui si era rifiutato; che con l’aiuto del suo datore di lavoro si era recato in Libia, dove aveva lavorato senza retribuzione ed era stato rapito; che infine era giunto in Italia; che temeva, in caso di rimpatrio, di essere ucciso dai parenti musulmani.

Con Decreto del 28.11.2017 il Tribunale di Torino rigettava il ricorso, ma tale decreto era cassato dalla Suprema Corte, che disponeva il rinvio della causa al Tribunale di Torino; il ricorrente provvedeva a riassumere il procedimento.

Con decreto n. 4979/2019, depositato in data 31.7.2019, il Tribunale di Torino (giudice del rinvio) rigettava il ricorso, ritenendo di condividere la valutazione della Commissione Territoriale in merito all’assenza dei presupposti necessari per la protezione internazionale, sia in quanto il richiedente avrebbe subito mere pressioni, sia in quanto la città di provenienza era a prevalenza cristiana, sia in quanto la partenza per la Libia, avvenuta molti anni dopo l’inizio delle pressioni da parte dei parenti, appariva motivata da ragioni di natura economica, finalizzate a migliorare la propria esistenza. Le dichiarazioni, inoltre, risultavano contraddittorie in ordine alle ragioni della fuga e alla data della morte dei suoi genitori, oltre che inverosimili e in contrasto con quanto risultante dalle fonti sulla situazione del sud della Nigeria, in cui prevalgono i cristiani. Inoltre, nella zona di origine del ricorrente (Edo State) non era sussistente una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato. Era così da escludere sia la concessione dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria. Infine, anche la domanda di protezione umanitaria non poteva essere accolta. Con riguardo a quest’ultima, dal punto di vista della vicenda personale, si ribadiva la valutazione di non credibilità del ricorrente; dal punto di vista della situazione del Paese e del tentativo di integrazione, si osservava che l’intrinseca inattendibilità del racconto fosse motivo sufficiente per negare tale forma di protezione.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione E.O.A. sulla base di quattro motivi, L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta ex “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 – Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla richiesta di audizione del ricorrente previa fissazione dell’udienza di comparizione delle parti”, deducendo che il Tribunale di Torino, con motivazione del tutto erronea, riteneva di dover fissare l’udienza di comparizione delle parti, così come disposto da questa Suprema Corte in sede di annullamento del precedente decreto di rigetto, ma di non procedere all’audizione del ricorrente. Si sottolineava da parte ricorrente che l’intenzione del Legislatore nel prevedere la videoregistrazione del colloquio fosse quella di consentire la percezione delle dichiarazioni dell’istante, anche sotto il profilo dei risvolti non verbali, per cui in assenza di videoregistrazione occorrerebbe consentire il pieno dispiegamento del contraddittorio attraverso l’udienza di comparizione delle parti con l’audizione del ricorrente; in caso contrario, si avallerebbe un processo in absentia che contrasta con i principi Europei e costituzionali, primo tra tutti l’art. 111 Cost..

1.1. – Il motivo è infondato.

1.2. – Nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. n. 5973 del 2019; Cass. 2817 del 2019).

Deve quindi formularsi il seguente principio di diritto: “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. n. 21584 del 2020).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure indicato le specifiche circostanze fattuali su cui avrebbe voluto essere sentito e rendere eventuali chiarimenti, limitandosi a dedurre che il Tribunale “avrebbe potuto” ascoltarlo nuovamente per dipanare le presunte (ed imprecisate) lacune del suo racconto, di talchè la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile (vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente contesta ex “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Omesso esame delle dichiarazioni del ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del Paese d’origine del ricorrente”, giacchè sia la Commissione Territoriale che il Tribunale non avrebbero valutato correttamente le dichiarazioni e le allegazioni del ricorrente. Si richiamano le fonti internazionali da cui risulterebbe una situazione di conflitto nella regione di provenienza del ricorrente.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Il Tribunale, giudice del rinvia, ha fornito ampio conto delle dichiarazioni rese dal ricorrente (pagine 5-9), riportando integralmente il loro contenuto e valutandole come inverosimili. Inoltre, dà conto della situazione della Nigeria, ritenendola non tale da esibire un conflitto armato generalizzato.

Dunque fatti non già omessi, ma considerati e valutati. In particolare da numerose fonti qualificate (quali il rapporto di Amnesty International 2017/2016; World Report 2018-Nigeria dell’Human Rights Watch pubblicato nel 2018), risulta sì una situazione di scarsa sicurezza nel Paese, in conseguenza della attività del gruppo terroristico di (OMISSIS), ma risuta altresì che siffatta situazione è concentrata in alcuni Stati del Nord e Nord Est (Adamawa, Bomo, Yobe, Kano, Kaduna). Laddove, la situazione di violenza descritta nelle informazioni pubblicate nel giugno del 2017 dall’EASO (EASO Nigeria Country Focus-June 2017) descrivono invero una situazione di violenza legata allo sfruttamento del petrolio e con connotati politici, che tuttavia non assume le caratteristiche del conflitto armato interno.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta ex “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Mancata concessione della protezione sussidiaria in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese d’origine: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”. Si ribadisce da parte del richiedente la grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale nella regione di provenienza del ricorrente, caratterizzata da forte instabilità e dalla sussistenza di un conflitto armato.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019) Non basta dunque riferire di situazioni di violenza o di repressione da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici, ma occorre che il conflitto sia tanto generalizzato da essere un pericolo per i cittadini in quanto semplicemente residenti nel paese, o nell’area del paese di provenienza, e dunque un pericolo che non discende da appartenenze politiche, religiose o altro, ma che è legato alla sola presenza sul territorio.

4. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce ex “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Errata applicazione in relazione alla Direttiva 2004/83/CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007 – Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle dichiarazioni rese dal ricorrente e al mancato supporto probatorio”. Tribunale avrebbe violato il criterio di comparazione cui fare ricorso per valutare il diritto alla protezione umanitaria, ossia considerando, da un lato, il livello di integrazione raggiunto, e dall’altro, il pericolo che, data la situazione del paese di origine, tale livello venga perduto. Adduce a sostegno di tale motivo che egli ha imparato l’italiano, ha svolto corsi di formazione durante la permanenza nel centro di accoglienza, ed ha un lavoro di cui documenta lo svolgimento.

4.1. – Il motivo è infondato.

4.2. – Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018) che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria (…) (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan. zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”.

La protezione umanitaria costituisce, dunque, una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 2017; Cass. n. 252 del 2019). Ciò che si demanda al giudice è “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.

4.3. – A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, allo scopo di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 12537 del 2020; cfr. Cass. n. 4455 del 2018). Nella specie, il Tribunale (lungi dall’omettere la doverosa attività istruttoria) ha correttamente posto in rilievo come non fossero stati addotti motivi o documenti dai quali ricavarsi che il ricorrente fosse affetto da stati patologici di rilievo o presenti specifici caratteri di vulnerabilità tali da far concludere che un rientro nel paese di origine lo avrebbe esposto a situazioni umanitarie di particolare complessità tali da giustificare l’applicazione della pronuncia residuale. Ciò influendo sulla praticabilità stessa della suddetta valutazione comparativa.

5. – Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

 

 

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