Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7018 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/03/2011, (ud. 17/02/2011, dep. 25/03/2011), n.7018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21489-2009 proposto da:

INPGI – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI

“GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69,

presso lo studio dell’avvocato BOER PAOLO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.R.H. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. GRAMSCI 20, presso lo

studio dell’avvocato SPADAFORA MARIA TERESA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PERONE GIAN CARLO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CALIULO LUIGI,

SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 8477/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2008 R.G.N. 5073/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato BOER PAOLO;

udito l’Avvocato CARLA D’ALOISIO per delega SGROI ANTONINO e PERONE

GIAN CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Gambero Rosso Editore spa (ora GRH spa) propose opposizione avverso i decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Pretore di Roma su istanza dell’Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” per contributi e sanzioni civili, in relazione alla posizione previdenziale, relativamente al periodo 12.8.1994 – 29.2.1996, del giornalista pubblicista G.A., per il quale era stato disposta, con decorrenza retroattiva, l’iscrizione al registro dei praticanti del Lazio e del Molise. Il primo Giudice respinse l’opposizione.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 30.11.2006 – 13.10.2008, pronunciando sul gravame proposto dall’Inps e nel radicatosi contraddittorio con la GRH spa e con l’Inps, a cui l’originaria opponente aveva versato i contributi, rigettò l’appello, osservando, per ciò che qui specificamente rileva, quanto segue:

– l’obbligazione contributiva verso l’Inpgi, trovante la sua origine nella L. n. 416 del 1981, art. 38, come sostituito dalla L. n. 67 del 1987, art. 26, era imposta all’epoca dei fatti unicamente per i giornalisti professionisti e per i praticanti, ma non per i pubblicisti, non trovando applicazione, ratione temporis, in difetto di portata retroattiva, la L. n. 388 del 2000, art. 76, che ha esteso anche a favore dei pubblicisti la gestione già prevista per i giornalisti professionisti e per i praticanti;

– il datore di lavoro, quale terzo non legittimato ad impugnare il provvedimento di iscrizione del dipendente all’albo dei giornalisti, può far valere davanti al giudice ordinario, a tutela di propri diritti, l’effettiva natura dell’attività svolta dal lavoratore e la mancanza dei presupposti per la sua iscrizione all’albo;

– alla stregua dell’espletata istruttoria il G. aveva svolto un’attività non assimilabile ad un praticantato e non in contrasto con la qualifica di pubblicista attribuitagli; infatti la non esclusività dell’esercizio della professione giornalistica non costituiva, per la normativa vigente all’epoca dei fatti, requisito essenziale per essere qualificati pubblicisti, potendo continuare ad appartenere a detta categoria, in base al disposto dell’art. 36 del CCNL di settore, anche giornalisti esercitanti in via continuativa la predetta attività.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale l’Inpgi ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.

La GRH spa ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

L’Inps ha depositato procura, partecipando alla discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 17, comma 3; L. n. 416 del 1981, art. 38, come sostituito dalla L. n. 67 del 1987, art. 26; L. n. 63 del 1969, art. 33), deducendo che la Corte territoriale aveva riconosciuto la natura subordinata e giornalistica del rapporto di lavoro de quo.

Con il secondo motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia violazione dell’art. 36 CCNL giornalistico del 20.7.1991, nonchè dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendo che, in base all’effettivo tenore della norma pattizia richiamata, all’epoca per cui è causa non potevano più essere instaurati rapporti di lavoro con pubblicisti a tempo pieno e con esercizio esclusivo dell’attività giornalistica.

Con il terzo motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla qualificazione della natura del rapporto di lavoro dedotto in giudizio.

Con il quarto motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia violazione dell’art. 2126 c.c., deducendo che la delibera di iscrizione retrodatata comporta soltanto una diversa qualificazione del rapporto giornalistico, senza attribuzione di un diverso status, dovendo pertanto ritenersi che, tra gli effetti fatti salvi dalla suddetta previsione codicistica, rientri anche la tutela sostitutiva dell’Inpgi in luogo di quella obbligatoria di base presso l’Inps.

2. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo di gravame per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla presente controversia. In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione dei ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). Nel caso che ne occupa nel secondo motivo di ricorso sono state dedotte sia la violazione di norme di diritto e di contratto collettivo nazionale (riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), che il vizio di motivazione (riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), mentre nel terzo motivo di ricorso è stato denunciato il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); tuttavia il secondo motivo è privo della formulazione del corrispondente quesito di diritto ed entrambi i motivi sono privi del momento di sintesi diretto a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali. Ne discende, come detto, l’inammissibilità di ambedue i motivi all’esame.

3. Le questioni su cui vertano gli altri motivi di ricorso sono già stata oggetto di reiterate disamine da parte della giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le più recenti, Cass., nn. 16383/2008;

21112/2009), dai cui esiti (con ciò dissentendo dalla richiamata Cass., n, 14944/2009), il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi.

Deve infatti rilevarsi che:

– ai sensi della L. n. 69 del 1963, art. 45 l’iscrizione nell’Albo dei giornalisti è requisito di validità del contratto di lavoro del giornalista (cfr, ex plurimis, Cass., n. 27608/2006), cosicchè l’attività svolta in assenza di iscrizione, in quanto resa da soggetto privo di questo requisito, è attuazione d’un contratto nullo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 13778/2001) e tale nullità sussiste fino all’iscrizione e non è sanata (giusta la previsione dell’art. 1423 c.c.) dalla successiva retrodatazione dell’iscrizione stessa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7461/2002; 7016/2005);

– tuttavia, in applicazione dell’art. 2126 c.c., la nullità (non essendovi illiceità della causa o dell’oggetto) non esclude che l’attività svolta (fino ai provvedimento di iscrizione) conservi, nell’ambito dei suoi naturali e strutturali caratteri, giuridica rilevanza ed efficacia, determinando il diritto del lavoratore al trattamento economico e previdenziale (cfr, ex plurimis, Cass., n. 7020/2000); ma il fondamento di questi effetti non è la (pur retrodatata) iscrizione, bensì l’attività svolta, con i suoi naturali caratteri, cosicchè è funzione del giudice valutare autonomamente la natura e la struttura di questa attività, non al fine di disapplicare l’atto amministrativo di iscrizione (che conserva la sua funzione ed i suoi effetti), bensì di accertare la sussistenza di diritti del datore di lavoro (cfr, ex plurimis, Cass., n. 536/1993) e degli Istituti previdenziali (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3716/1997; 13778/2001); – deve quindi riaffermarsi che, poichè l’obbligo di iscrizione all’Inpgi presuppone che il lavoratore, quale giornalista professionista o praticante giornalista, sia regolarmente iscritto al rispettivo Albo o Registro (L. n. 1564 del 1951, L. n. 69 del 1963, L. n. 67 del 1987; L. n. 274 del 1991) e abbia un rapporto di lavoro subordinato avente per oggetto attività giornalistica, la retrodatazione dell’iscrizione nell’Albo dei praticanti giornalisti, non sanando la nullità del contratto di lavoro, non elimina, per il periodo per cui è disposta, la mancanza del requisito dell’iscrizione e che, nel periodo corrispondente alla retrodatazione, il presupposto per l’iscrizione all’Inpgi non sussiste; a maggior ragione, l’obbligo di iscrizione a tale Istituto non sussiste ove l’attività non abbia i caratteri normativamente previsti per il lavoro del praticante giornalista (cfr, Cass., n. 16383/2008, cit.).

L’ulteriore precedente di questa Corte richiamato dall’istituto ricorrente (Cass., n. 11944/2004) non appare pertinente, non risultando che, nella fattispecie esaminata, si fosse in presenza di un’iscrizione con effetti retroattivi al registro dei praticanti e fermo restando che, comunque, anche con tale pronuncia venne riconosciuto che l’obbligo dell’iscrizione e della contribuzione all’Inpgi può essere negato a seguito della prova che il possesso dei necessari requisiti sia illegittimo.

I motivi di ricorso all’esame non possono quindi essere accolti.

4. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida, quanto alla GRH spa, in Euro 48,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, e, quanto all’Inps, in Euro 10,00 oltre ad Euro 1.000,00 (mille) per onorari, il tutto oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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