Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7017 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 7017 Anno 2016
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 19263-2014 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente contro
DE NUNZIO CATERINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI
CATINI, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE
MERCONE, giusta procura speciale a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 11/04/2016

- rentrerievtrepte avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA del
09/12/2013, depositata il 05/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/02/2016 dal Presidente Relatore Dott. FELICE MANNA;

verbale dell’Avvocato MERCONE PASQUALE, difensore della
controricorrente, per sola presenza in quanto e’ comparso dopo la
chiusura dell’udienza.

Ric. 2014 n. 19263 sez. M2 ud. 04-02-2016
-2-

udito l’Avvocato SILVESTRO MERCONE, giusta delega allegata al

IN FATTO
Con ricorso del 29.9.2010 Caterina De Nunzio adiva la Corte d’appello di
Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di
un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n.89, in

al Pretore di Teano nel luglio del 1987 e ancora pendente in grado d’appello
alla data di proposizione della domanda.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 5.3.2014 la Corte d’appello, stimata in cinque anni la
durata ragionevole per il primo ed il secondo grado di giudizio, liquidava in
favore della ricorrente un indennizzo pari a C 22.250,00, in base ad un
moltiplicare di € 750,00 per ciascuno dei primi tre anni e di E 1.000,00 per
ogni anni successivo di durata eccedente.
Per la cassazione di tale decreto il Ministero della Giustizia propone
ricorso, affidato a quattro motivi.
Caterina De Nunzio non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo e il secondo motivo di ricorso denunciano la violazione
dell’art. 2 legge Pinto e la perplessità della motivazione, in relazione,
rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., perché dal computo della
durata del processo non è stata detratta la frazione di durata ragionevole di 5
anni per i due gradi di giudizio; il terzo motivo lamenta, in relazione all’art.
360, n. 5 c.p.c., l’omessa motivazione sulla non addebitabilità all’ufficio
giudiziario dell’intero ritardo e sulla eccepita genericità dei fatti allegati nel
ricorso; il quarto mezzo d’annullamento, infine, lamenta la violazione o falsa
3

relazione all’art. 6, per l’eccessiva durata di una causa civile iniziata innanzi

applicazione dell’art. 2 legge n. 89/01 e dell’art. 112 c.p.c., per aver il decreto
impugnato riconosciuto in favore della De Nunzio gli interessi legali sulla
somma liquidata dalla domanda, benché non ne fosse stata fatta richiesta.
2. – I primi due motivi, da trattare congiuntamente per la loro

La motivazione del provvedimento impugnato si snoda in maniera
incoerente alle sue premesse di diritto. Infatti, dal luglio 1987, data
d’introduzione del giudizio, al 29.9.2010, data di proposizione della domanda
d’equa riparazione, intercorrono 23 anni circa, per cui detratti 5 anni di durata
ragionevole, si perviene a quantificare in 18 anni la durata eccedente. Ne
deriva, applicando il criterio di liquidazione prescelto dal giudice di merito,
una somma diversa, ossia E 2.250,00 per i primi tre anni ed E 15.000,00 per i
15 anni successivi, e così in totale e 17.250,00.
3. – Il terzo motivo è infondato.
In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole
durata del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la parte istante,
con l’allegazione e dimostrazione del protrarsi della controversia oltre il
termine mediamente qualificabile come ragionevole, secondo parametri di
normalità ed anche alla luce dei criteri al riguardo elaborati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo, offre il titolo della propria richiesta indennitaria,
ed identifica quindi la causa petendi della pretesa azionata, cui si collega il
danno (patrimoniale o non patrimoniale) lamentato in conseguenza
dell’addotta violazione. Ne consegue che la parte istante ha un onere di
allegazione e di dimostrazione riguardante la sua posizione nel processo
presupposto (la data iniziale di questo, la data della sua eventuale definizione
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complementarietà, sono fondati.

e gli eventuali gradi in cui si è articolato), mentre su di essa non incombe
l’onere “di specificare passo passo le cadenze dei ritardi lamentati e di
argomentare analiticamente in proposito”, atteso che la legge demanda al
giudice – munito, in coerenza con il modello procedimentale adottato, di

informazioni che, espressamente prevista dall’art. 738 c.p.c., non resta
subordinata all’istanza di parte – il compito di accertare in concreto la
violazione (Cass. nn. 18241/04, 18723/04 e 5820/06).
4. – Il quarto motivo è fondato.
L’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura, non già
come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in
base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di
obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico e dal suo carattere
indennitario discende che gli interessi legali possono decorrere, sempreché
richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio
secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda,
nonostante il carattere d’incertezza e illiquidità del credito prima della
pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del carattere indennitario
dell’obbligazione, nessuna rivalutazione può essere accordata (Cass. n.
18150/11).
Nella specie, l’allora ricorrente non formulò istanza per la corresponsione
degli interessi, per cui la pronuncia impugnata è incorsa nel prospettato vizio
di ultrapetizione, dovendo invece decorrere gli interessi, in difetto di
domanda, dalla data del decreto.

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poteri di iniziativa, i quali si estrinsecano attraverso l’assunzione di

5. – Sulla base delle considerazioni svolte, il decreto impugnato va cassato
in relazione al motivo accolto, e sussistendo le condizioni per decidere il
merito, il Ministero della Giustizia va condannato al pagamento in favore
della De Nunzio della (minor) somma di 17.250,00, oltre interessi legali

6. – Ferme le spese del procedimento di merito, necessario per la
liquidazione dell’indennizzo, l’accoglimento parziale del ricorso giustifica la
compensazione integrale delle spese del presente giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo, respinto il terzo,
cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della
Giustizia al pagamento in favore di Caterina De Nunzio della somma di C
17.250,00, oltre interessi legali dalla data del decreto impugnato fino al saldo;
compensa le spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 4.2.2016.

dalla data del decreto impugnato fino al saldo.

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