Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7017 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 03/03/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 03/03/2022), n.7017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21796-2020 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato LELIO MARITATO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, ANTONIETTA CORETTI;

– ricorrente –

contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 213/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 09/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catania ha dichiarato inammissibile l’appello dell’INPS in quanto rivolto contro una sola delle rationes decidendi della sentenza impugnata (difetto di prova, di cui era onerato l’Istituto, sulla abitualità dell’esercizio dell’attività professionale di avvocato) e non contenente censure rispetto alle altre due autonome rationes decidendi, la prima secondo cui “il regime previdenziale previsto per l’esercizio della professione forense è disciplinato, per il periodo in contestazione, unicamente dalla L. n. 576 del 1980, norma di carattere speciale, da ritenersi prevalente sulla successiva disciplina concernente l’iscrizione alla gestione separata, la quale dunque non si applica al caso di specie”; la seconda per cui “in ogni caso, l’attività dell’avvocato produttiva di un reddito inferiore alle soglie reddituali previste dalla L. n. 576 del 1980, art. 22,….non può mai integrare il requisito dell’abitualità previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26”.

2. Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. A.G. non ha svolto difese.

3. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, commi 1 e 2, conv. con mod. nella L. n. 111 del 2011, della L. n. 247 del 2010, art. 21, comma 8, del D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. con mod. nella L. n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5. Ha censurato la declaratoria di inammissibilità dell’appello precisando di avere, col ricorso in appello, individuato come soggetti obbligati all’iscrizione alla gestione separata coloro che “svolgono attività che, pur prevedendo una iscrizione ad un albo, quindi anche ad una specifica Cassa o ente previdenziale, non siano tenuti al versamento dei contributi agli enti medesimi…”; che tale espressione era riferita all’ipotesi contemplata dalla L. n. 576 del 1980, art. 22, da ritenersi assorbita in forza dell’applicazione generale della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26.

6. Ha ribadito, nel merito, l’esistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l’INPS a carico del professionista avvocato che, pur esercitando la libera professione, non abbia obbligo di iscriversi alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense. Ha sostenuto che l’iscrizione della controparte all’Albo e l’apertura di una partita IVA costituissero indici presuntivi dell’esercizio abituale della professione.

7. L’INPS assume di avere, col ricorso in appello, censurato la ratio decidendi, di inapplicabilità alla fattispecie in esame della disciplina in materia di gestione separata, per la esistenza di una disciplina di settore di carattere speciale ed esclusivo (L. n. 576 del 1980), attraverso il riferimento alla L. n. 335 del 1995.

8. Si rileva, anzitutto, che nulla è dedotto, anche nel ricorso in esame, sull’avvenuta censura in appello della ratio decidendi, posta a fondamento della sentenza di primo grado, concernente il conseguimento di redditi al di sotto delle soglie reddituali.

9. Inoltre, quanto alla ratio decidendi che si assume censurata, se pure è vero che la Corte di cassazione non è vincolata dall’interpretazione degli atti processuali compiuta dai giudici di appello, ma ha il potere dovere di valutare direttamente tali atti, al fine di stabilire se rispetto alla questione, su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione di detta questione nel giudizio di appello, con la conseguente preclusione di ogni esame della stessa (v. Cass. n. 7499 del 2019; n. 11322 del 2003), tuttavia, dal contenuto dell’atto di appello, come veicolato col ricorso per cassazione, non risulta che una, anche implicita, censura di detta ratio decidendi fosse inclusa nei motivi di appello, contenenti una esclusiva deduzione di violazione di leggi sostanziali. Ne’ può darsi seguito alla pretesa dell’Istituto, secondo cui la deduzione di violazione delle citate leggi sostanziali includesse la censura di erronea statuizione di inammissibilità dell’appello.

10. Per tali ragioni, il ricorso risulta inammissibile.

11. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità poiché la controparte non ha svolto difese.

12. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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