Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7016 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. III, 11/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 11/03/2020), n.7016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33705-2018 proposto da:

A.A., in proprio e quale erede di + ALTRI OMESSI,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. SERPIERI 8, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO BUSCEMI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti -e

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZ.PER LA SOCIETA’ E LA BORSA (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G.B.MARTINI 3, presso lo studio

dell’avvocato FABIO BIAGIANTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GIULIANA MANTO, SALVATORE PROVIDENTI,

RAFFAELLA SETTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2421/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2421de1 14.04.2018, ha rigettato l’appello principale proposto A.A., unitamente ad altri 87 investitori nel (OMISSIS) spa e (OMISSIS) s.r.l., nei confronti di CONSOB, confermando la decisione di prime cure che aveva dichiarato prescritta l’azione volta ad accertare la colpa omissiva della CONSOB – per mancata vigilanza sulla attività di intermediazione mobiliare svolta dalle società (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.p.a. del (OMISSIS) – al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale dagli stessi subito per la perdita delle somme investite nei prodotti finanziari proposti dalle predette società di intermediazione, successivamente dichiarate fallite e, quindi, collocate in liquidazione coatta amministrativa. Più precisamente, il Giudice dell’appello riteneva che il termine di prescrizione di cinque anni fosse decorso inutilmente, in quanto la conoscenza di eventuali responsabilità della Consob dovesse ritenersi acclarata sin dal 2004, allorchè la Consob era stata già condannata a risarcire altri investitori, mentre la domanda di insinuazione al passivo fallimentare non poteva considerarsi atto idoneo a interrompere la prescrizione nei confronti del coobbligato Consob, ex art. 1310 c.c., in quanto non coautrice di un unico illecito commesso unitamente agli amministratori, bensì di un unico danno. Inoltre, assumeva che alla Consob, non essendo solidalmente responsabile per il reato di bancarotta fraudolenta contestato agli amministratori del (OMISSIS), non dovesse applicarsi l’art. 2947 c.c., comma 3.

2. A.A., unitamente ad altri ricorrenti, in epigrafe specificati, in data 11-15 nov. 2018 hanno proposto ricorso avverso la sentenza affidandolo a due motivi. Consob ha resistito notificando controricorso. Le parti ricorrenti hanno prodotto memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 1310,2055,2943 e 2945 c.c., nonchè art. 94 L.fall. in relazione alla mancata considerazione dell’efficacia interruttiva della istanza di insinuazione al passivo fallimentare.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c. ex art. c.p.c., nn. 3 e 5 in quanto non sarebbe stato considerato che, nonostante in atti siano rinvenibili solo tre istanze di insinuazione dei creditori al passivo fallimentare, sarebbe stata la stessa Consob ad affermare che a gli attori si sono tutti insinuati al passivo fallimentare.

3. I motivi vanno trattati congiuntamente in quanto tra loro collegati.

4. Per quanto qui di interesse, la Corte d’appello ha ritenuto che i titoli di responsabilità degli obbligati in solido siano diversi, e che per tale ragione ciascun titolo debba essere disciplinato dalle relative norme, anche in punto di prescrizione; inoltre, ha ritenuto di non dovere aderire all’orientamento giurisprudenziale di legittimità espresso con la sentenza n. 17353/2017.

5. Questa Corte, sul punto, intende dare continuità al precedente di cui sopra, e alla successiva pronuncia n. 13365/2018 della Suprema Corte, quest’ultima concernente la medesima fattispecie qui in esame, in quanto, ai fini della prescrizione del diritto al reintegro nella situazione patrimoniale, la decorrenza del termine, nonchè la sua interruzione, vanno considerate in relazione all’unico fatto dannoso subito dagli attori, rappresentato dalla perdita dei risparmi affidati dai medesimi al gruppo SFA, di cui gli attori chiedono, a vario titolo, ristoro. La prospettiva, difatti, deve essere riferita al danno in concreto causato alla parte danneggiata che ne chiede, a vario titolo, ristoro.

6. La responsabilità della CONSOB per omessa vigilanza delle società del (OMISSIS), nel caso in questione, è stata accertata definitivamente dalla Corte Suprema con la sentenza della Corte di cass., sez. III, n. 6681 del 23 marzo 2011 e, pertanto, nel presente giudizio, gli attori, con atto notificato del 15 marzo 2011, hanno convenuto in giudizio la CONSOB per ottenere il risarcimento del danno. Nel far ciò, ai fini interruttivi della prescrizione, i ricorrenti fanno valere che l’insinuazione al passivo fallimentare delle società del gruppo, di cui è stato dichiarato il fallimento l’8 febbraio 1993, avrebbe interrotto il termine prescrizionale dei loro diritti restitutori e risarcitori sino alla chiusura delle procedure fallimentari, avvenute nel 2007 e nel 2012; assumevano, inoltre, che anche la costituzione di parte civile nel processo penale per il reato di bancarotta fraudolenta avviato contro gli amministratori delle società del gruppo valesse ad interrompere la prescrizione.(pacificamente quinquennale) anche nei confronti del coobbligato in solido CONSOB.

7. Ed invero, la motivazione della sentenza impugnata, trova esplicazione unicamente nella diversa natura del “credito restitutorio” (relativo al capitale investito) oggetto della insinuazione al passivo di cui si chiede integrale restituzione, e del “credito risarcitorio”, fatto valere nei confronti di CONSOB (cfr. sentenza appello in motivazione, p. 6 e 7). Tale elemento di discrimine, tuttavia, non ha una valida ragione, posto che non corrisponde alla giusta prospettiva di valutazione dell’azione proposta dagli investitori.

8. Si osserva, al riguardo, che mentre la nozione di restituzione non determina alcun sacrificio economico per l’obbligato (e dunque non necessita di una causa giustificativa esterna), trattandosi di riconsegnare la “res” od il “tantundem” (in caso di prestazione infungibile), e dunque di eseguire una prestazione “eguale e contraria” intesa a ripristinare lo status quo ante in cui si trovavano originariamente i soggetti del rapporto obbligatorio, non assumendo, pertanto, rilevanza la qualificazione dell’elemento psicologico – in termini di colpa o dolo – della condotta dell’accipiens (lo stato soggettivo dell’accipiens – buona o mala fede – viene in rilievo limitatamente all’arricchimento da quello conseguito attraverso la disponibilità della res – o della somma di denaro ex art. 2033 c.c., u.p. ed ex art. 2036 c.c., comma 2; art. 2038 c.c.); invece, con riguardo a un illecito perpetrato, la conseguenza patrimoniale pregiudizievole (il danno ingiusto), derivante dalla violazione di obblighi di condotta imposti da uno specifico titolo negoziale, ovvero dalla norma generale del neminem laedere (che integra per colui che la subisce una deminutio della propria situazione patrimoniale, intesa staticamente come il complesso dei diritti, beni ed obbligazioni facenti capo ad un soggetto in determinato momento), fa insorgere la responsabilità civile – per dolo o colpa – del soggetto autore del danno, tenuto in conseguenza a ristorare il danneggiato – in forma specifica o per equivalente – della perdita patrimoniale e non patrimoniale subita.

9. Avuto riguardo alla posizione del soggetto obbligato, l’obbligo di restituzione o di ripetizione trova fondamento nell’indebito, e cioè nella ricezione di una prestazione avente ad oggetto beni o servizi in difetto di un titolo giustificativo dello spostamento patrimoniale, sicchè la restituzione non implica per la parte obbligata alcuna variazione negativa della propria situazione patrimoniale qual era al tempo della indebita percezione, atteso che la restituzione è determinata dalla nullità del titolo o dal venire meno del titolo di scambio. Si confronti, in proposito, l’art. 1458 c.c. nell’azione risolutoria (sulla autonomia delle domande di restituzione e di risarcimento danni, cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 7083 del 28/03/2006; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21895 del 20109/2017; cfr. anche l’indennizzo dovuto in caso di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c., che mira a riequilibrare la situazione patrimoniale del depauperato rispetto alla diminuzione patrimoniale determinata dalla erogazione della prestazione sine causa).

10. La distinzione, dunque, attiene tanto alla “causa petendi”, atteso che gli obblighi restitutori, sono ricollegati a fatti costitutivi che prescindono dalla violazione di obblighi di condotta imputabili a titolo di dolo o colpa e dalla verificazione di un danno ingiusto (e dunque prescindono dal titolo di responsabilità del soggetto tenuto alla restituzione), quanto al “petitum”, limitato – quantitativamente – nella pretesa restitutoria all’oggetto della prestazione in natura da ripetere od alla cosa determinata da recuperare od al controvalore di essi; mentre nel risarcimento del danno non si chiede (soltanto) il ripristino dello “status quo ante” (ossia della medesima – situazione statica – del patrimonio di un soggetto considerato in determinato momento anteriore all’illecito), ma si chiede il ristoro integrale di una situazione patrimoniale – compromessa dalla condotta illecita – nella sua “evoluzione dinamica”, da valutarsi, pertanto, non soltanto in relazione ai decrementi subiti, ma anche in relazione agli incrementi di valore che il patrimonio del danneggiato avrebbe potuto conseguire – con elevato grado di certezza ex art. 1223 c.c. – in assenza dell’illecito.

11. Per quanto riguarda il soggetto che agisce, non può, tuttavia, negarsi, pur nella rilevata distinzione concettuale delle due azioni, che il risultato finale cui le due azioni tendono venga a sovrapporsi, in particolare, ove i fatti costitutivi delle domande si cumulino nella medesima fattispecie concreta (la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, non di durata, può dare luogo contemporaneamente all’obbligo di restituzione della prestazione eseguita, nonchè all’obbligazione risarcitoria della parte inadempiente colpevole), ovvero nel caso in cui si abbia una coincidenza tra la “res” oggetto della restituzione ed il pregiudizio patrimoniale – oggetto di risarcimento – arrecato dall’illecito civile. In tal caso, infatti, l'”obbligo di restituzione” della “res”, ad esempio illecitamente sottratta (art. 185 c.p.), se non risulta già interamente coincidente con la “obbligazione risarcitoria”, è comunque idoneo ad assolvere, ed in parte elidere, anche tale obbligazione (in forma specifica ex art. 2058 c.c.), con la conseguenza che la evidenziata distinzione concettuale delle due azioni non consente di scindere l’oggetto dei due diritti di credito, che viene pur sempre – almeno in parte – ad identificarsi nel minimo comune denominatore della reintegrazione della diminuzione patrimoniale corrispondente alla prestazione od al bene da restituire.

12. Costituisce logico corollario – per quanto rileva ai fini della soluzione della questione di diritto sottoposta all’esame della Corte – che, nel caso in cui vengano a cumularsi, nella medesima fattispecie produttiva della perdita patrimoniale, plurime e distinte condotte, anche riferibili a soggetti giuridici diversi, alcune sanzionate con la responsabilità civile (contrattuale od extracontrattuale) ed altre invece anche non qualificabili illecite, ma che obbligano comunque alle restituzioni, deve essere ravvisata la unitarietà dell’evento pregiudizievole, idoneo a fondare la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. di tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale previsto dall’art. 41 c.p., a produrre il medesimo “eventus damni”, tutte le volte in cui quest’ultimo, nel suo atteggiarsi fenomenico, implichi una effettiva coincidenza tra l’oggetto della restituzione ed il danno risarcibile o comunque la continenza del primo nel secondo.

13. Nel caso di specie, a quanto emerge dagli atti, i risparmiatori hanno agito, costituendosi parte civile nel procedimento penale a carico degli amministratori e sindaci del (OMISSIS), imputati dei reati di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita, per far valere la loro responsabilità ai sensi dell’art. 2395 c.c. richiedendo il risarcimento dei danni corrispondenti alla perdita dei capitali investiti; gli stessi risparmiatori hanno agito, inoltre, anche nei confronti di CONSOB, per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. consistita nella omessa vigilanza e mancata adozione di misure di intervento intese ad impedire le irregolarità commesse dalle società del (OMISSIS) nelle operazioni finanziarie, nonchè nella gestione dei risparmi raccolti dagli investitori, richiedendo all’ente pubblico il risarcimento del danno, individuato – anche in questo caso – nella perdita dei capitali investiti; hanno, inoltre, proposto “domande di insinuazione” al passivo della procedura concorsuale delle società di capitali del (OMISSIS), che il Giudice di prime cure ha qualificato come domande di “restituzione” dei capitali investiti, fondate sull’inadempimento dei contratti di intermediazione finanziaria (non avendo potuto beneficiare i risparmiatori della restituzione o liquidazione separata degli strumenti finanziari, prevista dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 91, comma 2, – vigente ratione temporis – atteso che le società collocate in LCA non avevano osservato, nella gestione delle somme raccolte, il principio della separazione dei patrimoni facenti capo rispettivamente ai clienti ed alla società).

14. Tutte le azioni e condotte imputabili ai predetti soggetti, nei confronti dei quali sono state proposte le domande di condanna al risarcimento ed alle restituzioni, convergono nella determinazione del medesimo evento dannoso consistito nel pregiudizio arrecato ai risparmiatori per la perdita del capitale investito.

15. Tanto premesso, ritiene il Collegio errata in diritto la statuizione della Corte d’appello di Roma che ha inteso escludere la unitarietà dell’evento dannoso sulla base delle seguenti argomentazioni: a) i fatti di reato imputati agli amministratori e sindaci (bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita) erano distinti da quelli contestati ai funzionari CONSOB (abuso d’ufficio) e le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalle fattispecie criminose realizzate dagli amministratori e sindaci delle società del (OMISSIS) e quelle invece derivanti dall’illecito omissivo – per mancato esercizio dei poteri di vigilanza ed intervento – ex art. 2043 c.c., oggetto della domanda risarcitoria proposta nei confronti di CONSOB, integravano “eventi dannosi differenti”, non potendosi quindi ravvisare una responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. tra i soggetti privati ed il soggetto pubblico, e risultando in conseguenza inefficace la costituzione di parte civile nel processo penale concernente gli amministratori, ad interrompere ex art. 1310 c.c., comma 1, la prescrizione del credito risarcitorio anche nei confronti di CONSOB; b) neppure la domanda di insinuazione al passivo delle società in LCA era utile ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni fatto valere nei confronti di CONSOB, in considerazione della diversa qualificazione giuridica dei diritti (credito restitutorio e credito risarcitorio) fatti valere, rispettivamente, nei confronti delle società poste in LCA e della CONSOB (così il Giudice di appello che ha implicitamente confermato la decisione di prime cure).

16. Osserva la Corte, infatti, che la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere, è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell'”eventus damni”, attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del “più probabile che non”) tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse. Deve al proposito ribadirsi il consolidato principio di diritto, enunciato da questa Corte, secondo cui “l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicchè ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse. Deve, altresì escludersi, a norma dell’art. 41 c.p., comma 2, l’imputabilità del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, relegati al rango di mere occasioni, mentre non contrasta con tale principio la disposizione dell’art. 187 cpv c.p., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l’obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilità solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no” (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 7507 del 04/06/2001; id. Sez. 1, Sentenza n. 13272 del 07/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 17397 del 08/08/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 6041 del 12/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 20192 del 25/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 18899 del 24/09/2015; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 18753 del 28/07/2017; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 23450 del 28/09/2018).

– 17. In ultimo si osserva che i precedenti richiamati non si contrappongono ad altra coeva sentenza di questa Corte, pronunciata da Cass. sez. 1, n. 27118/2018, citata dalla CONSOB quale precedente difforme a quello sopra considerato: tale pronuncia, resa in un differente giudizio, in realtà affronta una diversa fattispecie, ove al riguardo viene preliminarmente considerato che, sotto il profilo processuale, non sia stata mossa alcuna censura alla motivazione che ha dato conto del carattere meramente restitutorio dell’istanza di ammissione al passivo, ritenendo inammissibile la censura per come è stata processualmente formulata.

18. Conclusivamente, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui è irrilevante, ai fini interruttivi della prescrizione, la domanda di ammissione al passivo dei crediti dei risparmiatori, in considerazione della incomunicabilità dell’effetto interruttivo ex art. 1310 c.c., comma 1 e art. 2055 c.c. stante la diversa natura del “credito restitutorio” fatto valere con le domande di insinuazione al passivo, rispetto al “credito risarcitorio” fatto valere nei confronti di CONSOB, deve essere disattesa alla stregua dei precedenti argomenti di diritto, dovendo aversi riguardo all’unicità dell’evento pregiudizievole prodotto dalla fattispecie concreta, caratterizzata da condotte tutte convergenti alla produzione del medesimo evento pregiudizievole, tale per cui si instaura, quanto all’oggetto delle pretese, una relazione di continenza tra la domanda di restituzione della “res” e quella di integrale ristoro del danno, rimanendo del tutto indifferente la non identità del fatto materiale generatore della responsabilità – nella specie, l’illecito di natura contrattuale, ascrivibile alle società collocate in LCA, e quello, invece, di natura extracontrattuale attribuito a CONSOB – ai fini della configurabilità della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. – che richiede unicamente il concorso causale di fatti distinti – e della conseguente applicabilità dell’effetto estensivo interruttivo della prescrizione ex art. 1310 c.c., comma 1.

19. Tale argomento assorbe ogni ulteriore rilievo in ordine al c.d. principio di pertinenza dell’atto interruttivo della prescrizione, sollevato dalla resistente, qui non in discussione per quanto sopra detto circa l’effetto estensivo della interruzione nei confronti degli solidalmente coobbligati, seppur a diverso titolo, ex art. 1310 c.c.. Difatti, il caso di specie non può essere assimilato a quello in cui è stato affermato che “la domanda proposta per chiedere l’adempimento di un’obbligazione per legge, o per convenzione o per atto dell’autorità, non vale ad interrompere la prescrizione della azione, successivamente esperita, di arricchimento senza causa”, essendo in tale fattispecie valevole il suddetto principio in ragione della diversa natura dell’indennizzo richiesto a una parte diversa da quella inizialmente citata a titolo contrattuale (cfr. Cass. sez.3, n. 5575 del 9.04.2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6570 del 29/03/2005; Cass. Sez. 3, sentenza n. 24540 del 20/11/2009).

20. Quanto alle ulteriori eccezioni di Consob, attinenti al fatto che in atti siano state prodotte solo tre istanze di insinuazione al passivo fallimentare, e comunque non sia stata provata la qualità di eredi di alcuni attori, si osserva che le eccezioni della Consob mosse sul punto, oggetto del secondo motivo di censura dei ricorrenti, non sono state specificamente e adeguatamente considerate dalla Corte di merito ai fini del decidere, in quanto la Corte di merito ha ritenuto che l’azione dovesse essere ritenuta preliminarmente prescritta, affrontando tale ultima questione come “ragione più liquida” (p. 4 della sentenza). Tutto quanto qui osservato assorbe ogni ulteriore motivo di censura in ordine ad affermazioni della Corte di merito che, in realtà, non costituiscono una vera e propria autonoma ratio decidendi.

21. Conseguentemente, il ricorso va accolto, quanto al primo motivo, per quanto di ragione, dichiarando assorbito il secondo motivo, con conseguente rinvio del procedimento alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese di questo procedimento.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo motivo; per l’effetto, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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