Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7009 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. un., 11/03/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 11/03/2020), n.7009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32205-2018 proposto da:

B.L., + ALTRI OMESSI, rappr. e dif. dall’avv. Aurelio

Marino, aureliomarino.avvocatinapoli.legalmail.it, elett. dom. in

Roma, piazza della Libertà n. 10, presso lo studio dell’avv.

Francesca Colombaroni, come da procura speciale in calce all’atto

(per i primi dieci) e procura notaio B. F. (per l’ultimo)

contro

PROCURATORE GENERALE presso la CORTE DEI CONTI, dom. in Roma, via

Baiamonti n. 23, procura.generale.atticassazione.corteconticert.it;

– controricorrente –

PROCURATORE REGIONALE PER LA CALABRIA presso la CORTE DEI CONTI,

Sezione Giurisdizionale per la CalabriaM

C.N.R., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

F.G., rappr. e dif. dall’avv. Riccardo Leonardi

riccardo.leonardi.pec-ordineavvocatiancona.it, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Walter Feliciani, in Roma, piazzale Jonio n. 50,

come da procura in calce all’atto di costituzione al fine di

partecipare all’udienza;

– costituito –

per la cassazione della sentenza Corte dei Conti, Sezione I

giurisdizionale centrale d’appello, n. 140 del 2018 dep. 30.3.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18.2.2020 dal consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona

dell’Avvocato Generale Dott. Salvato Luigi, che ha concluso per il

rigetto del ricorso;

vista la memoria dei ricorrenti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.L., + ALTRI OMESSI impugnano la sentenza Corte dei Conti, Sezione I giurisdizionale centrale d’appello, n. 140 del 2018, dep. 30.3.2018, che, riunendo gli appelli principali degli stessi (ed altri) n. 51524, nonchè n. 51227 ( S.B.) e incidentale n. 52736 ( Sa.Gi.), avverso la sentenza Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Calabria n. 175 del 2016, dep. il 11 luglio 2016, in accoglimento parziale del solo appello di S. e rigettando gli altri, ha così confermato la declaratoria di condanna alla restituzione delle somme indebitamente percepite quali contributi comunitari, in base all’addebito di danno procurato all’AGEA e già ritenuto dal primo giudice;

2. secondo la sentenza impugnata, e per quanto qui di interesse, vertendosi in materia di contributi disciplinati dai Regolamenti CEE 1094/88, n. 1272/88, n. 2328/91 e D.M. 19 febbraio 1991, n. 63 ed erogati per il miglioramento del settore agrario, attraverso il ritiro dalla produzione di terreni di tipo seminativo, con relativa riconversione (cd. settore set aside): a) la responsabilità dei percettori privati, per condotte – in coordinamento con intermediari e funzionari Agea – rivelatesi altresì materialmente coincidenti con reati e determinative di pregiudizio patrimoniale, appartiene alla giurisdizione contabile, venendo in questione un’ingiusta locupletazione a danno dell’Erario, emersa da una non corretta gestione di danaro pubblico, ancorchè i fatti di indebito incameramento siano propri di soggetti privati che tuttavia adottino comportamenti incidenti in termini negativi sul modo d’essere del programma imposto dalla P.A.; b) in tal modo il danno si produce ove il coinvolgimento nella realizzazione di detto programma, mediante l’atto di concessione del contributo, ne operi lo sviamento rispetto alle finalità perseguite, anche nel senso di sottrarre le medesime risorse a terzi soggetti cui il finanziamento sarebbe spettato per analogo rapporto partecipativo al piano pubblico; c) la disciplina della prescrizione, a sua volta, si applica considerando, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il momento da cui il diritto può essere fatto valere, conseguendone, per il caso di occultamento doloso, la coincidenza del dies a quo con la scoperta del danno prima occultato; d) dall’accertamento – alla stregua delle fonti del P.M. e della Guardia di Finanza – di un unico disegno criminoso, per il dolo discende una responsabilità in solido per il maggior danno, per frode all’agenzia pubblica (Agea) e al Ministero dell’Economia e delle Finanze, oltre alla responsabilità che resta personale per la valutazione – indicata in quote – delle singole appropriazioni senza titolo; e) non sussistevano infine le condizioni per l’esercizio del potere riduttivo;

3. il ricorso è su un unico complesso motivo; ad esso resiste con controricorso il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti; Gabriele F. si è costituito al fine di poter partecipare alla udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. nel motivo si contesta la nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., in violazione degli artt. 24 e 103 Cost., R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, artt. 13 e 52, L. n. 20 del 1994, art. 1 nonchè per eccesso di potere giurisdizionale, avendo essa violato le regole d’individuazione del giudice naturale, oltre a quelle di determinazione della giurisdizione contabile; in particolare viene contestato alla sentenza che: a) sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario, stante la estraneità dei ricorrenti alla P.A. e il difetto di un rapporto funzionale con essa, la mancanza di loro domande ai fini del ricevimento del contributo e di una condotta causativa del risultato finale della erogazione; b) la mancanza di un accertamento di colpevolezza penale, posta la conclusione assolutoria del relativo procedimento e la non raggiunta prova di un impegno preventivo consapevole alla ricezione sui propri conti correnti dei fondi, in punto di qualità pubblica degli stessi, escludono ogni rapporto di servizio; c) la mera percezione delle somme, non oggetto di domanda, non è sufficiente a configurare nel privato la gestione di pubblico danaro come agente, ove non ne sia stato provato l’apporto allo svolgimento di un’attività in vece della stessa P.A., configurandosi un indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c.; d) nel settore set aside, a propria volta, la natura dei contributi inerisce a scopi di solidarietà sociale e ambientale, senza relazione con un programma di attività della P.A., con ciò non venendo in essere alcun collegamento del privato con questa per realizzare un pubblico interesse, ma piuttosto una destinazione indennitaria o risarcitoria dei fondi;

2. il ricorso, per la parte in cui avversa la pronuncia positiva sulla propria giurisdizione quale enunciata dalla Corte dei Conti, è infondato; risulta pacifico dalla sentenza impugnata che, secondo la normativa UE e domestica, l’agenzia Agea, nello svolgimento dei compiti di somministrazione dei contributi, ha provveduto alla regolazione della produzione agricola, in concreto attuando la gestione di danaro pubblico e, con ciò, associando alla realizzazione del relativo programma tutti i soggetti inseriti nelle attività preparatorie e di finalizzazione esecutiva; l’apprezzamento della Corte dei Conti ha pertanto correttamente ascritto anche ai percettori senza titolo dei citati fondi, per il concreto impegno alla illecita fruizione degli stessi, la qualità di parte di un rapporto di servizio, in continuità con il principio, espresso con chiarezza fin da Cass. s.u. 4511/2006, per cui “è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o in un contratto di diritto privato. Il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto – che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicchè ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue scelte incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla P.A., alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, esso realizza un danno per l’ente pubblico – anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore -, di cui deve rispondere davanti al giudice contabile” (conf. Cass. s.u. 20434/2009); così come, se è stato precisato che l’erogazione di contributi comunitari “avvenuta sulla base di dichiarazioni non veritiere del proprietario dell’allevamento in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti” dalla normativa configura un’ipotesi di danno erariale, e dunque rientra nell’ambito della giurisdizione della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 103 Cost., comma 2, (Cass. s.u. 1515/2016; Cass. s.u. 154342/2018), identica configurazione concerne l’accertamento (e conseguente sanzione, in caso di positivo riscontro) del contributo causale apportato dal privato che, inserendosi in modo determinante nel procedimento amministrativo, se ne assicuri indebite utilità sviandone le funzioni istituzionali e così alterando la programmazione dell’attività amministrativa (Cass. s.u. 111/2020);

3. nè si pone una questione di distinzione circa il danno, ove la restituzione sia dovuta (con gli accessori collegati all’indebita percezione) verso la P.A., essendo consolidato il principio, cui va data continuità, secondo cui “in caso di azione di responsabilità erariale promossa per la restituzione alla Commissione Europea dei contributi comunitari erogati in via diretta, l’alveo della giurisdizione del giudice contabile non è limitato, ai sensi del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 52 al solo danno arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico nazionale, ma si estende all’intero importo finanziato, attesa l’estensione dell’ambito dell’azione di responsabilità operata dalla L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4, di cui non è consentita una discriminazione applicativa in funzione del carattere sovranazionale dell’amministrazione tutelata ovvero della natura del contributo erogato, dovendosi anzi – in applicazione del principio di assimilazione, in forza del quale gli interessi finanziari Europei sono assimilati a quelli nazionali assicurare, per la tutela dei medesimi beni giuridici, le stesse misure previste dal diritto interno” (Cass. s.u. 20701/2013);

4. mentre lo stesso precedente ha chiarito che anche l’azione di risarcimento dei danni erariali e la possibilità per le P.A. interessate di promuovere le ordinarie azioni civilistiche di responsabilità restano – anche quando investano i medesimi fatti materiali – reciprocamente indipendenti, integrando le eventuali interferenze tra i giudizi una questione di proponibilità dell’azione di responsabilità innanzi al giudice contabile e non di giurisdizione (conf. Cass. s.u. 33092/2019);

5. occorre pertanto assicurare coerenza applicativa all’indirizzo, anche di recente ribadito, per cui, proprio nella materia, queste Sezioni Unite, con sentenza 24858/2019, hanno statuito che “sussiste la responsabilità erariale dei soggetti privati che, avendo percepito fondi pubblici, abbiano disposto della somma in modo diverso da quello programmato, ancorchè non abbiano presentato la domanda di concessione del finanziamento, poichè tra la P.A. che eroga un contributo e colui che lo riceve si instaura un rapporto di servizio, inserendosi il beneficiario dell’importo nel procedimento di realizzazione degli obiettivi pubblici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la giurisdizione contabile in relazione ad un giudizio di responsabilità nei confronti di un soggetto che aveva messo la sua identità ed i propri conti correnti bancari a disposizione per commettere una truffa concernente dei contributi dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura – denominati “Set Aside” – ed aveva così percepito i detti contributi, successivamente utilizzandoli per finalità diverse da quelle previste)”;

6. la parte del motivo in cui è contestato un asserito eccesso di potere giurisdizionale s’infrange, a sua volta, nel principio tratteggiato da questa Corte ove è precisato – dopo Corte Cost. n. 6 del 2018 e con Cass. s.u. 7926/2019 – che esso, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, deve essere riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, “quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento) ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; ne consegue che il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze cui pur si contesti di essere abnormi o anomale ovvero di essere incorse in uno stravolgimento delle norme di riferimento” (Cass. s.u. 29082/2019, 31023/2019, 31268/2019, 413/2020, 414/2020); i vizi nella specie avanzati, alla stregua di una critica delle risultanze istruttorie o di violazioni di legge, al più attengono dunque ad errores in iudicando o in procedendo, rientranti nei limiti interni della giurisdizione contabile, come tali estranei alla verifica delle Sezioni Unite, conseguendone, sul punto, l’inammissibilità della censura;

7. va conclusivamente dichiarata l’infondatezza del ricorso; dandosi atto che non vi è luogo a pronunzia sulle spese del giudizio di legittimità, atteso che il Procuratore generale della Corte dei conti, contraddittore del ricorrente soccombente, è parte soltanto formale; sussistono invece i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per l’impugnazione (Cass. s.u. 23535/2019).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e, rispettivamente, incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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