Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7008 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/03/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 25/03/2011), n.7008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 19, presso lo studio dell’avvocato IOVANE CLAUDIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LANDI ALFONSO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

SUD SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. DI CASALOTTI 53, presso lo

studio dell’avvocato BRAGGIO BARBARA, rappresentata e difesa

dall’avvocato CAPUANO PASQUALE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 842/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 12/06/2006 R.G.N. 781/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al Tribunale di Salerno, V.A. deduceva di essere stato indotto dalla società Sud Service s.r.l. a presentare lettera di dimissioni, ma, in realtà, di essere stato licenziato senza giusta causa, per il solo fatto di essersi adoperato al fine di favorire l’inserimento nell’ambiente di lavoro dei rappresentanti sindacali.

Il ricorrente chiedeva, pertanto, che, previo accertamento della condotta antisindacale tenuta in suo danno, nonchè previo annullamento dell’atto di dimissioni, venisse disposta la reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato, con conseguente corresponsione degli stipendi maturati dalla data del licenziamento fino a quella della effettiva reintegra, oltre al risarcimento dei danni. Il V., con un secondo ricorso proposto dinanzi al medesimo Tribunale e riunito al primo, chiedeva, la condanna della società al pagamento delle spese in suo favore – a titolo di differenze retributive (per essere stato inquadrato in un livello inferiore), tredicesima mensilità, compenso lavoro straordinario, indennità di ferie non godute e trattamento di fine rapporto – della complessiva somma di L. 33.544.637, con accessori di legge e vittoria delle spese di giudizio.

2. Il Tribunale, con sentenza del 12 gennaio 2005, rigettava entrambi i ricorsi e condannava il V. al pagamento delle spese di giudizio.

3. La suddetta sentenza veniva impugnata in appello dal V..

4. La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 781 del 2005, rigettava il ricorso e compensava tra le parti le spese del grado di giudizio.

5. Ricorre per la cassazione della suddetta pronuncia V.A. prospettando due motivi di ricorso.

6. Resiste con controricorso la soc. Sud Service s.r.l.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione della disciplina sui licenziamenti individuali, della legge n. 108 del 1990, del CCNL del 20 luglio 1990, e degli artt. 2697 e 2702 c.c. nonchè vizio di motivazione.

Ad avviso del ricorrente, l’imprenditore doveva dare la prova della legittimità del licenziamento.

In ordine al suddetto motivo sono stati articolati i seguenti quesiti di diritto:

se, tenuto conto della vigente disciplina in materia di licenziamenti individuali ex Lege 108 del 1990, nonchè del CCNL del 20 luglio 1990, sia ammissibile l’impugnativa del licenziamento da parte del lavoratore che deduca il carattere simulato della lettera di dimissioni dallo stesso sottoscritto;

se la comunicazione del datore di lavoro all’INPS dell’avvenuto licenziamento di un dipendente costituisca prova scritta del licenziamento stesso, da valutarsi ai sensi dell’art. 2702 c.c. e se tale dichiarazione, in caso di mancato disconoscimento della sottoscrizione, produca gli effetti della piena prova.

1.1. Il motivo non è fondato. La censura per un verso non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte d’Appello. Il quesito di diritto prospettato dal ricorrente è inconferente in quanto verte su disposizioni che non sono alla base della decisione assunta dal Giudice dell’appello. Per altro verso non sussiste il prospettato difetto di motivazione.

La valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nel l’attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall’istruttoria piuttosto che ad un altro. In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti; è invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 14972 del 2006).

La Corte d’Appello ha rilevato, con motivazione adeguata, che dalla documentazione prodotta in giudizio dalla società appellata si evinceva che la risoluzione del rapporto di lavoro in questione si verificava a causa delle dimissioni rassegnate dal V. per motivi personali, con lettera recante la sottoscrizione V.A. giammai disconosciuta.

La Corte ha, altresì, affermato che nessuno dei testi escussi nel giudizio di prime cure aveva fatto riferimento a presunte minacce o ad intimidazioni poste in essere nei confronti del V. al fine di indurlo a rassegnare le dimissioni, mentre il teste C. D., responsabile della produzione, riferiva che il V., dopo aver iniziato il turno di lavoro, si era allontanato per recarsi nell’ufficio del titolare dell’azienda e al ritorno aveva detto che si era licenziato. Analogamente il teste G.R., già dipendete della società in questione, dichiarava che il V. gli aveva chiesto di dattiloscrivere la lettera di dimissioni che poi aveva sottoscritto. Nè poteva assumere rilievo la dichiarazione fatta dal datore di lavoro al fine della corresponsione dell’indennità di disoccupazione, dal momento che non risultavano attivate le procedure ex Lege n. 223 del 1991. La decisione della Corte d’Appello è, dunque, circostanziata e congruente e, in quanto tale per le ragioni sopra esposte, esente da vizi.

2. Con il secondo motivo di ricorso è stato prospettata violazione e falsa applicazione delle norme dettate dalle lettere I e L del CCNL 20 luglio 1990 per i dipendenti delle industrie chimiche e farmaceutiche, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se in applicazione delle norme relative a qualifiche, mansioni o livelli retributivi, dettati dal CCNL del 20 luglio 1990, al dipendente, che da solo assicuri il regolare svolgimento dell’intero ciclo produttivo di un bene, spetti il livello indicato alla lettera I del suddetto accordo collettivo di lavoro.

2.2. Il motivo non è fondato.

Il motivo di ricorso, che si avvale di un quesito generico, si sostanzia in una censura alla valutazione del quadro probatorio effettuata dal Giudice dell’appello.

Tuttavia, anche con riguardo a tale profilo della controversia, tenuto conto dei principi sopra richiamati, la Corte d’Appello offre una motivazione adeguata, congrua e logicamente plausibile, ritenendo la mancanza delle condizioni per il riconoscimento al V. delle differenze retributive per l’espletamento di mansioni superiori e per l’osservanza di un orario di lavoro maggiore rispetto a quello contrattualmente previsto, in ragione delle univoche risultanze della prova testimoniale. Ed infatti, in ragione di quanto riferito dai testi escussi, la Corte d’Appello, riteneva che il V. svolgeva mansioni di estrema semplicità, che escludevano un inquadramento superiore, e che lo stesso osservava l’orario previsto dalla contrattazione collettiva, con corrispondenza tra le indicazioni contenute nella busta paga e l’attività svolta.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 15,00 per esborsi, Euro 2000 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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